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Cultura

One Photo One Day, l’inviato di Striscia da 9 anni fa un selfie al giorno per “fermare il tempo”: dallo scatto con Papa Francesco all’album di famiglia

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Uno scatto al giorno per fermare il tempo. Con One Photo One Day, Luca Abete, inviato di Striscia La Notizia, da nove anni realizza un selfie ogni giorno raccontando la sua vita privata e professionale. Lanciato nel 2010, il progetto ha suscitato interesse e curiosità riscuotendo un seguito crescente anno dopo anno. “Sono un non fotografo che ama comunicare con la fotografia”, racconta Abete a Juorno. Nelle sue frenetiche giornate da inviato, si ritaglia sempre uno spazio per il suo selfie quotidiano, per fissare brandelli di esistenza che lo scorrere del tempo sbiadisce in modo lento ma inesorabile.

Come nasce “One Photo One Day”? 

Nasce nel dicembre del 2010. Sembra ieri, ma da allora tecnologia e comunicazione sono cambiate tantissimo. In quegli anni Facebook diventava popolare, non c’erano i cellulari con la fotocamera frontale e la moda dei selfie non aveva ancora preso piede. Volevo creare un album online per raccontare la mia vita di tutti i giorni. Pensavo di farlo per un anno, poi è diventata un’abitudine e pochi giorni fa ho festeggiato i nove anni di One Photo One Day. L’attenzione intorno all’iniziativa è cresciuta col tempo. Non sono mancate anche dispute con fotografi professionisti. Io ho sempre detto di non ritenermi un fotografo, ma semplicemente una persona che ama comunicare con la fotografia.

Si potrebbe dire che lei ha anticipato di qualche anno la moda del selfie…

In qualche modo sì. I primi che iniziarono a farsi le foto da soli, fra cui il sottoscritto, erano visti come imbecilli. Quando per strada mi facevo una foto, c’era sempre qualche passante di buona volontà che mi diceva: “Scusi, la vedo in difficoltà, vuole che gliela scatto io?”. Man a mano la persone hanno iniziato a farsi le foto da sole, poi con quel famoso selfie agli Oscar e altri autoscatti delle celebrità, quello del selfie è diventato un linguaggio universale.

Qual è il filo conduttore del suo progetto?

E’ una sfida col tempo e con me stesso, è la volontà di raccontarsi mentre si cambia e soprattutto il desiderio di non perdere la memoria di tanti momenti quotidiani. Ad oggi ho superato le tremila fotografie; le assicuro però che se guardo una di quelle foto ricordo perfettamente cosa succedeva quel giorno, chi c’era con me e qual era il mio umore in quel momento. Il filo conduttore del progetto è allora la volontà di non perdere tanti frammenti di vita che lo scorrere del tempo tende inevitabilmente a diluire.

C’è qualche scatto che ricorda con particolare piacere?

Fra quelli che hanno avuto più seguito va annoverato sicuramente quello con Papa Francesco. Le foto che sono piaciute di più, però, sono quelle con la mia famiglia, con i miei genitori o i miei fratelli, e anche per me sono senza dubbio quelle più belle ed interessanti. Attraverso la mia collezione di scatti vedo cambiare me stesso e gli altri, è una sensazione particolare.

Il selfie che sogna di fare e non ha ancora fatto?

Le potrei dire che mi manca un selfie con un figlio, perché ancora non ce l’ho. La mia vita è piuttosto frenetica e in questi anni mi sono dedicato tanto al lavoro, alle cause in cui credo. Pian piano però sto ritrovando un po’ di calma e di tempo per me stesso.

E’ stato mai accusato di esibizionismo?

All’inizio sì, succedeva sempre. Io sono abituato alle polemiche e col tempo ho capito che bisogna credere fortemente nei propri valori e nelle proprie idee. Per me è sempre stato solo un modo per comunicare. Dopo qualche anno gli apprezzamenti sono arrivati, quelli che parlavano di egocentrismo magari sono gli stessi che oggi si fanno i selfie e li mandano agli amici.

Qual è il suo rapporto con i social?

Con i social ho un rapporto fantastico, mi piace sperimentare. Sono sommerso dall’affetto di tante persone: circa 600mila su Facebook, 160mila su Instagram. Non ho mai voluto affidare le mie pagine a qualcuno che le gestisse per me, penso sia una questione di rispetto nei confronti di chi ti segue. Per il mio lavoro rappresentano uno strumento prezioso; un attore di teatro capisce dalle facce del pubblico se il suo lavoro è stato apprezzato. Chi lavora in televisione non può entrare nelle case delle persone. Allora i social network diventano importanti per sondare la bontà del tuo lavoro, per correggere il tiro, e anche per ricevere utili segnalazioni da parte degli utenti. 

Lei è uno di quelli che stampa ancora le foto o si affida solo al digitale?

Ne faccio talmente tante che diventa difficile stamparle. Quando posso cerco di raccoglierle in modo organico, ma non sempre ci riesco. One photo One Day nasce anche per questo: mi sono accorto che molte fotografie restavano sepolte nei cellulari o in vecchi computer. Dare vita ad un album digitale, come quello di onephotooneday.it, è un modo per non perdere ciò che hai scattato. Ormai si fanno tantissime foto. Prima avevamo i rullini da 24 o al massimo da 36 scatti. Magari te ne tornavi da una vacanza con non più di due rullini. Adesso quel numero di foto lo fai in una giornata. 

Per quanto tempo ancora andrà avanti il suo progetto?

Doveva durare un anno, adesso è diventata un’abitudine che porto avanti con piacere e non ho intenzione di fermarmi, almeno per il momento. Non mi pesa particolarmente e sento che è un qualcosa di prezioso e di valido. Non lo faccio perché mi porta vantaggi in termini economici o di visibilità; per me è un piccolo scrigno impolverato dentro il quale custodisco i ricordi di una vita. 

La passi0ne del non fotografo che comunica con le fotografie, alla fine è anche diventata una mostra. Infatti gli scatti più significativi sono esposti  in un spazio allestito in questi giorni a Visiva, nella Capitale.

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Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

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Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

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Cultura

Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

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Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

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Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

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Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

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