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Omicidio Cucchi, una catena di falsi e depistaggi: otto carabinieri rischiano il processo

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Dure accuse su una catena di falsi, partita dall’allora capo del Gruppo Roma Alessandro Casarsa, messa in atto per eliminare i sospetti sulle cause della morte di Stefano Cucchi. E ora il generale dei carabinieri e altri sette militari dell’Arma rischiano di finire imputati in un nuovo processo che potrebbe essere decisivo per stabilire la verità sui depistaggi nel caso del decesso del 33enne quasi undici anni fa. Dopo l’annuncio della chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, potrebbe arrivare presto la richiesta di rinvio a giudizio per una serie di indagati.

Il corpo di Stefano Cucchi. Così si presentava sul tavolo del medico legale il ragazzo arrestato per droga

A dover rispondere di falso per la manipolazione dei documenti, potrebbe essere il generale Alessandro Casarsa, il quale insieme ai colonnelli Francesco Cavallo e Luciano Soligo, al luogotenente Massimiliano Colombo Labriola e al carabiniere Francesco Di Sano avrebbe – secondo gli inquirenti – manipolato una serie di documenti. L’ex capo del nucleo operativo di Roma, il colonnello Lorenzo Sabatino, e il capitano Tiziano Testarmata sono invece accusati di favoreggiamento e omessa denuncia. Se l’imminente richiesta di rinvio a giudizio dovesse essere accolta, si tratterebbe del quarto processo sul caso Cucchi in dieci anni. Dopo il primo, a carico del dirigente penitenziario, si è svolto quello a carico dei medici e della polizia penitenziaria, tutti assolti. Ma sotto i riflettori c’e’ il processo scaturito dall’inchiesta bis, oggi al vaglio della Corte d’Assise, in cui sono imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale.

Ilaria Cucchi. Da anni si batte per la verità sulla morte del fratello. Nella foto sotto col suo avvocato

È proprio in questo dibattimento che si sono avvicendati una serie di colpi di scena, primo fra i quali la confessione di uno degli imputati che ha accusato i suoi colleghi del pestaggio di Stefano, e la serie di depistaggi messi in atto dalla catena di comando. Presunte manipolazioni che hanno portato agli otto avvisi di garanzia nell’inchiesta appena conclusa. “In questi momenti di difficolta’ emotiva per la nostra famiglia e’ di conforto sapere che coloro che ci hanno provocato questi anni di sofferenza in processi sbagliati verranno chiamati a rispondere delle loro responsabilita’. E’ un’enorme vittoria per la nostra famiglia e la nostra giustizia”, ha commentato Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. Secondo quanto emerge dal capo di imputazione presente nell’atto della Procura, la filiera di falsi legata alle note sullo stato di salute di Stefano dopo l’arresto, parte da Alessandro Casarsa, all’epoca comandante del Gruppo carabinieri di Roma. Una disposizione partita dunque dall’alto e, a cascata, ‘messa in atto’ dai vari ruoli di competenza.

Per i pm sei indagati “avrebbero attestato il falso in una annotazione di servizio, datata 26 ottobre 2009, relativamente alle condizioni di salute di Cucchi”, arrestato dai carabinieri di Roma Appia e portato nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Per l’accusa il falso fu confezionato “con l’aggravante di volere procurare l’impunita’ dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso”. In una seconda nota, con la data truccata del 26 ottobre, si attestava falsamente che “Cucchi riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidita’ della tavola del letto…,dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza’ omettendo ogni riferimento alle difficolta’ di deambulare accusate da Cucchi”. Dunque dolori causati dal letto, dal freddo e dalla magrezza, secondo i carabinieri. Dopo undici anni, ora forse un altro processo alla ricerca di una verita’ a lungo sommersa.

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Pozzuoli, la terra continua a tremare: ancora scosse

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La terra continua a tremare a Pozzuoli e nei Campi Flegrei: l’ultima scossa poco dopo le 4 ha fatto registrare una magnitudo di 2.5. Ha fatto seguito ad una serie di scosse minori, uno sciame che continua da domenica quando sono state registrate una novantina di episodi sismici, i più forti di 3.7, 3.1 e 3.0. Anche oggi l’epicentro è ad oltre 2 km di profondità. Molta paura tra la popolazione ma nessun danno, scuole e uffici aperti.

 

 

 

 

 

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Turista canadese violentata in B&B,due arresti a Palermo

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Era il suo primo giorno a Palermo. Volata nel capoluogo dal Canada per incontrare il fidanzato, ricoverato in ospedale dopo un incidente, la sua vacanza si è trasformata in un incubo. La storia risale a novembre scorso, quando una turista è stata stuprata da due uomini conosciuti poche ore prima. Grazie al suo racconto e alle indagini dei carabinieri i presunti stupratori, due cugini di 42 e 44 anni, oggi sono stati arrestati.

La donna, appena arrivata in città, è andata al Policlinico per fare visita al suo compagno. Non parlando l’italiano e non conoscendo l’ospedale, ha chiesto aiuto a un gruppo di inservienti e infermieri. Uno in particolare si è mostrato particolarmente gentile e ha dato indicazioni alla turista sul percorso da fare per raggiungere il reparto e poi sulla strada per il B&B in cui la donna alloggiava.

Una gentilezza che ha colpito la canadese che ha scambiato i contatti Instagram con l’inserviente. Dopo la visita al compagno, la turista ha accettato l’invito dell’uomo appena conosciuto di passare insieme la serata, fidandosi della disponibilità e gentilezza dell’inserviente. Dopo aver ordinato del pollo e aver mangiato nella stanza del B&B in cui alloggiava i due sono saliti in moto e hanno raggiunto un cugino dell’uomo, con cui hanno fatto qualche giro in scooter. Poi sono rientrati tutti in albergo. “Ero felice e mi stavo divertendo quindi non mi sono resa conto del tempo che passava. Lui era gentilissimo”, ha raccontato poi ai carabinieri la turista. A un certo punto un bacio e l’approccio che la donna ha tentato di respingere. “Non ricordo nulla da quel momento in poi”, ha proseguito.

La vittima, che aveva i dati del profilo social dell’uomo, ha indicato chi fosse agli investigatori. Al complice i carabinieri sono arrivati mettendo sotto controllo il cellulare dell’inserviente e grazie alle analisi dei tabulati telefonici che hanno accertato la presenza dei due nel B&B la sera della violenza. Gli inquirenti hanno intercettato anche le conversazioni delle mogli dei due indagati. Le due donne, dopo aver saputo il fatto, prima hanno augurato il peggio ai partner, “Quell’etta sangu (esclamazione dispregiativa palermitana per augurare la morte) di tuo marito ha telefonato al quel butta sangue di mio marito”, poi li hanno difesi, in qualche modo giustificati, e infine hanno cercato prove che potessero scagionarli.

“Tuo marito secondo me quando quella gli si buttò nell’ascensore ha capito che si poteva fare. E così chiamó suo cugino”, dice una delle donne ipotizzando come si sarebbe svolta la serata degli abusi. “La sella del motore è veramente piccola. E’ talmente stretta che questo li stuzzicava, sicuramente per questo non capirono più niente”, afferma l’altra parlando del passaggio in moto dato alla vittima dai due. Per loro in fondo non si sarebbe trattato di violenza. “Sti ragazzi erano puliti non avevano neanche un graffio”, aggiungono sostenendo che se fosse stato uno stupro la vittima si sarebbe difesa lasciando segni sugli aggressori.

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Sfregio e minacce a don Luigi Merola, il prete anti clan napoletano

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La comunità si unisce in solidarietà a don Luigi Merola dopo l’atto vandalico subito lo scorso venerdì sera. Intorno alle 22.30, qualcuno ha sfondato i finestrini dell’auto di servizio del sacerdote, privandola persino del lampeggiante. Questo gesto intimidatorio potrebbe essere interpretato come un avvertimento per il suo rifiuto di accogliere giovani affiliati ai clan nella Fondazione A’ voce d’è creature, della quale è presidente.

“Sto sentendo la vicinanza dello Stato sia a livello territoriale che centrale”, ha dichiarato don Merola. Mentre le forze dell’ordine indagano sull’incidente, il sacerdote sarà accolto il 19 aprile a Roma dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e dal capo della polizia Vittorio Pisani insieme a circa 120 bambini della sua fondazione. Domani, inoltre, incontrerà il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri.

Il prefetto Michele di Bari ha disposto un rafforzamento della vigilanza dinamica nei luoghi frequentati da don Merola, dalla sua Napoli natale a Pompei e Marano, dove risiede con la famiglia.

Le parole di sostegno e solidarietà non si sono fatte attendere. Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Pol.i.s., ha dichiarato: “Esprimiamo tutta la nostra solidarietà a don Luigi Merola per quanto accaduto. Insieme continuiamo ad andare avanti nel nome della legalità e della crescita sociale”.

Anche il presidente del Consiglio regionale della Campania, Gennaro Oliviero, ha espresso vicinanza al parroco anticlan: “Confido nelle forze dell’ordine affinché si giunga presto all’individuazione dei responsabili del raid. Siamo a disposizione di don Luigi e nei prossimi giorni cercherò di organizzare uno scambio di idee per sostenere la sua fondazione”.

L’europarlamentare Chiara Gemma ha definito l’atto “ignobile” e ha espresso la sua solidarietà a don Luigi: “Confido nelle indagini delle forze dell’ordine per risalire ai responsabili. Chi ha commesso questo gesto colpisce non solo la Fondazione e chi la presiede, ma tutti coloro che operano nel terzo settore per donare un futuro diverso ai bambini che vivono in quartieri difficili”.

Mentre la comunità si stringe attorno a don Merola, cresce l’indignazione per questo vile atto di intimidazione. La speranza è che la ricerca della verità porti alla luce i responsabili e che la Fondazione A’ voce d’è creature possa continuare il suo importante lavoro a servizio della comunità senza timori né minacce.

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