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Omicidio sul set del film di Alec Baldwin: trovata una enorme quantità proiettili

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Un’enorme quantita’ di proiettili e’ stata trovata sul set di Rust: alcuni era contenuti in scatole, altri parsi. E’ quanto emerge da un inventario di quanto raccolto dagli investigatori, secondo quanto riportato da media americani. Le autorita’, oltre a tre revolver, hanno anche trovato molti bossoli.

Dave Halls, l’assistente regista del film western “Rust” che ha passato ad Alec Baldwin la pistola di scena che ha ucciso la direttrice della fotografia Halina Hutchins e ferito il regista Joel Souza, aveva una cattiva reputazione sul fronte della sicurezza ed era stato licenziato da una precedente produzione dopo un incidente analogo. Quella pistola, inoltre, era stata usata poche ore prima con munizioni vere da alcuni membri della troupe per passare il tempo colpendo alcune lattine di birra ma pare che nessuno l’avesse ricontrollata prima del ciak. Sono gli ultimi sviluppi della tragedia sul set del Bonanza Creek Ranch, in New Mexico, dove la polizia ha sequestrato anche tre revolver, un marsupio con munizioni e proiettili liberi su un vassoio. Tutti elementi, insieme ad una serie di inquietanti episodi precedenti, che evocano l’ipotesi di un “incidente annunciato”, come ha suggerito Neal W. Zoromski, esperto armiere di Hollywood che rifiuto’ l’offerta di lavorare in “Rust” per una “cattiva sensazione”: quella che di una produzione molto raffazzonata con l’obiettivo primario di risparmiare denaro piu’ che di salvaguardare la sicurezza della troupe. Halls fu silurato nel 2019 mentre ricopriva lo stesso ruolo nella pellicola ‘Freedom’s Path’, dopo che una pistola “sparo’ inaspettatamente” sul set ferendo in modo non grave un tecnico del suono e fermando la produzione per alcuni giorni, ha reso noto la Rocket Soul Studios. Nello stesso anno Halls rimpiazzo’ l’assistente regista Courtney Hope Therond nel film “The Pale Door” dopo che la donna lascio’ l’incarico per la mancanza di piani di sicurezza in una zona a rischio tornado. “Dave aveva la reputazione di essere permissivo sulla sicurezza”, ha raccontato Therond. “Generalmente quando il primo assistente regista se ne va, Dave e’ noto per essere la persona da chiamare”, ha aggiunto. Anche la prima assistente operatore Lisa Long ha rivelato che Halls trascurava la sicurezza mentre girava il thriller d’azione “One Way” lo scorso febbraio in Georgia, dove c’erano scene pericolose con armi russe e macchinari pesanti mossi ad alta velocita’. A confermare il quadro di una diffusa negligenza anche la sconcertante circostanza rivelata da un ‘insider’ al sito The Wrap, che copre il settore dello spettacolo: poco prima dell’incidente fatale, la pistola di scena era stata usata da alcuni membri della troupe per fare ‘plinking’, ossia sparare a lattine di birra o altri bersagli con pallottole vere per passare il tempo, dopo che le prove erano state rinviate per pranzare. Il regista Joel Souza ha ammesso alla polizia di non essere certo che qualcuno abbia ricontrollato l’arma dopo il break. Intanto le indagini della polizia proseguono su tutti i fronti e gli esperti non escludono che Alec Baldwin rischi cause civili, e potenzialmente anche penali, insieme agli altri produttori del film, con pagamenti di “milioni e milioni di dollari” (in parte coperti dall’assicurazione).

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San Suu Kyi lascia il carcere, trasferita ai domiciliari

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L’ex leader birmana Aung San Suu Kyi ha lasciato il carcere ed è stata trasferita agli arresti domiciliari. Lo ha reso noto una fonte ufficiale all’Afp. Contemporaneamente un portavoce delle autorità militari del Paese ha affermato che ai prigionieri più anziani vengono fornite “le cure necessarie” durante i periodi di caldo e non è quindi chiaro se si tratta di una misura temporanea o di una vera riduzione della pena che sta scontando la 78enne premio Nobel.

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Un noto giornalista investigativo freddato in Colombia

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Vari colpi sparati a bruciapelo, mentre la vittima era a terra, da un sicario vestito di nero e con il volto nascosto da un casco integrale. Così è stato ucciso nella città colombiana di Cúcuta, al confine con il Venezuela, il comunicatore sociale, avvocato e giornalista Jaime Vásquez a cui, per le sue ripetute denunce di corruzione, era stata assegnata nel 2022 anche la scorta della polizia. Domenica Vásquez, 54 anni, ha offerto agli agenti qualche ora di riposo, assicurandogli che sarebbe rimasto in casa. Ma poi ha deciso di uscire per fare acquisti nel centro del quartiere La Riviera, una scelta che gli è stata fatale. Una moto, guidata da una donna, lo ha intercettato sbarrandogli la strada.

E a nulla è valso il tentativo di rifugiarsi in un negozio: il sicario, che era sul sedile posteriore, è sceso, lo ha inseguito nel locale e lo ha freddato sparando tre volte, sotto l’occhio di una telecamera fissa che ha ripreso la scena, tra il panico dei presenti. Per primo il presidente Gustavo Petro, attraverso il suo account X, ha reso noto che “il giornalista Jaime Vásquez è stato assassinato nel dipartimento del Norte de Santander. Il suo lavoro era denunciare la corruzione”. Mi aspetto dalla Procura, ha intimato, “l’indagine più approfondita possibile che dovrebbe includere l’esame forense delle informazioni sul suo cellulare, che, apparentemente, è stato manipolato dalle autorità dopo la sua morte”.

Da anni l’attività di Vásquez di inchieste su casi di corruzione a Cúcuta e in tutto il dipartimento era nota e questo gli aveva prodotto numerosi nemici. Le dirette che realizzava attraverso la sua pagina Facebook, erano meticolose ed accurate e prendevano di mira amministratori pubblici e imprese private.

Il quotidiano La Opinión di Cúcuta, pubblicando foto delle testimonianze di affetto della popolazione che ha acceso candele e depositato fiori, ha rivelato che uno dei casi più clamorosi denunciati ha riguardato la società Aguas Kpital Cúcuta, che aumentò senza motivo le tariffe dell’acqua potabile, cambiando i contatori. Di recente erano state in primo piano sui media locali le accuse di irregolarità nella gestione del settore sanitario e nell’assunzione di dipendenti pubblici. Dopo la diffusione attraverso le reti sociali del video dell’omicidio, tutte le autorità nazionali e locali si sono mobilitate, con l’apertura di una inchiesta per risalire ai possibili mandanti dell’operazione e con l’offerta di una taglia di 70 milioni di pesos (17.000 euro) per informazioni utili all’arresto dei killer del giornalista.

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Hezbollah lanciano missili e droni su Israele ma dicono “non vogliamo la guerra ma ci difenderemo”

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Mentre si addensano fosche le nubi all’orizzonte del sud del Libano minacciato dalla risposta israeliana all’attacco missilistico iraniano, il potente movimento armato libanese Hezbollah, alleato della Repubblica islamica e di Hamas, ribadisce di non volere una guerra aperta con lo Stato ebraico, ma assicura di avere “tutti i mezzi necessari” per difendersi e difendere il Paese mediterraneo.

Da più di sei mesi si verificano giornalieri scambi di fuoco tra Hezbollah e Israele. Finora il gruppo armato libanese ha puntato razzi e droni contro obiettivi militari per lo più a ridosso della linea di demarcazione con l’Alta Galilea. Nelle ultime ore il Partito di Dio ha rivendicato un’azione difensiva contro militari israeliani che si erano infiltrati in territorio libanese. Dal canto suo, l’aviazione israeliana ha da più di un mese cominciato a bombardare con regolarità anche la profondità territoriale libanese, in particolare nella valle della Bekaa al confine con la Siria, considerata la retrovia logistica del Partito di Dio. E nelle ultime ore ha condotto almeno due raid mirati contro dirigenti militari di Hezbollah nella regione di Tiro. Da ottobre a oggi sono stati uccisi più di 60 civili libanesi e 8 civili israeliani.

Sul lato israeliano della linea di demarcazione circa 80mila persone sono state sfollate, un dato senza precedenti. Mentre il sud del Libano, periodicamente segnato da invasioni e operazioni militari israeliane, ha finora visto lo sfollamento di 100mila civili. In questo contesto di crescente tensione, fonti interne a Hezbollah che preferiscono rimanere anonime perché non autorizzate a parlare con i media affermano che il partito “è pronto a difendersi con tutti i mezzi necessari” in caso Israele decidesse di aprire un secondo fronte di guerra aperta col Libano.

Le fonti di Hezbollah sostengono che finora i suoi combattenti hanno “usato solo una minima parte dell’arsenale” a disposizione e che i missili a media e lunga gittata, stoccati da anni in località segrete tra Siria e Libano, possono colpire tutte le città israeliane, incluse Ashkelon nel sud e il porto di Eilat sul Mar Rosso. “Possiamo eludere l’Iron Dome” israeliana, affermano le fonti, sottolineando come l’attacco iraniano del 13 aprile scorso sia servito, tra l’altro, a studiare la “capacità di reazione del nemico”.

“Il nostro arsenale serve come deterrente”, affermano le fonti di Hezbollah, confermando quanto ripetuto più volte dal leader del movimento, Hasan Nasrallah: l’azione militare dal sud del Libano – ha detto anche di recente il sayyid – serve in sostegno alla resistenza dei fratelli palestinesi e come elemento di dissuasione nei confronti di Israele. Per questo motivo, assicurano le fonti libanesi vicine a Teheran, “non vogliamo esporre il Libano a una guerra aperta con il nemico sionista. E, come già detto, siamo pronti a cessare ogni ostilità non appena Israele mette fine all’offensiva militare sulla Striscia di Gaza, decretando la vittoria della resistenza”. In questo senso, in caso di raggiungimento di un accordo quadro tra Hamas e Israele, le fonti di Hezbollah affermano di esser pronte a “tornare alla situazione precedente all’8 ottobre scorso”, data di inizio dei botta e risposta tra il Partito di Dio e lo Stato ebraico.

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