Nelle prossime ore, nel carcere di via Gleno a Bergamo, Moussa Sangare comparirà davanti al giudice per le indagini preliminari Raffalla Mascarino e avrà modo di ribadire le motivazioni che lo hanno spinto, la notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi, a uccidere con quattro coltellate Sharon Verzeni. All’interrogatorio di convalida prenderanno parte anche il sostituto procuratore titolare dell’indagine, Emanuele Marchisio, e il suo legale di fiducia, l’avvocato Giacomo Maj. Sangare è in una cella da solo e viene sorvegliato a vista nel timore possa compiere gesti autolesionistici. Ha già incontrato più volte il suo legale ed è probabile che domattina decida di ripetere anche nell’interrogatorio di convalida lo stesso racconto già fatto al pm e ai carabinieri di Bergamo, ovvero di aver scelto a caso la sua vittima e di aver agito senza alcun motivo.
Ha ‘scelto’ Sharon quando ha visto che “guardava le stelle in cielo, con le cuffiette”, le si è avvicinato in bici e le ha detto: “Scusa per quello che ti sto per fare”, poi l’ha accoltellata. La barista di 33 anni è solo riuscita a dire: “Perché? Perché?”, poi Moussa è fuggito contromano in bici lungo via Castegnate e si è dileguato, lasciando a terra Sharon, che sarebbe morta di lì a poco, e facendo perdere le sue tracce per un mese. E c’è sgomento anche tra i familiari dello stesso fermato. A partire dalla sorella Awa, 24 anni, studentessa di ingegneria gestionale: vive con la madre (che non parla per le conseguenze di un ictus e che è conosciuta a Suisio per aver lavorato alla mensa delle scuole) al secondo piano di una palazzina dove a pianterreno aveva invece occupato un’altra casa proprio Moussa. “Quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza, siamo rimaste scioccate – ha raccontato Awa -. Sapevamo che non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo. Non doveva finire così, assolutamente no. Il nostro pensiero va a quella povera ragazza, a Sharon e alla sua famiglia, siamo molto addolorate”.
Ha aggiunto la sorella: “Per mio fratello nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza dalla droga, per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza mentre per un ricovero in qualche centro per fare uscire Moussa dalla dipendenza ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario”.
Per Awa la vita di Moussa è cambiata quando era partito per l’estero: “Era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato negli Stati Uniti e poi a Londra nel 2019: è tornato ammettendo di aver iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui. Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui urlava, parlava da solo, delirava”.
Madre e figlia avevano presentato contro di lui tre denunce, l’ultima lo scorso 9 maggio. Il precedente 20 aprile Moussa aveva minacciato con un coltello alle spalle proprio la sorella. Nel frattempo in questa prima domenica di settembre è stato un continuo viavai in via Castegnate a Terno d’Isola di persone che si sono soffermate sul luogo in cui è stata uccisa Sharon Verzeni. L’angolo all’altezza del civico 32, un rientro della strada a senso unico e che ospita un parcheggio di alcuni posti, è ormai diventato un piccolo altare di fiori – alcuni lasciati venerdì dal compagno Sergio Ruocco e dalla mamma di Sharon – e di lettere di vicinanza alla trentatreenne uccisa.