Pierpaolo Pasolini fu ucciso dietro quelle baracche dell’Idroscalo di Ostia, alla periferia di Roma, mentre tentava di recuperare la pellicola rubata sulle ultime scene di ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’, film che aveva appena girato: quel furto era stato organizzato da gruppi malavitosi di rilievo in cui era coinvolta anche la banda della Magliana, forse insieme ad elementi neofascisti. A formulare la nuova ipotesi è la Commissione parlamentare Antimafia della precedente legislatura, che nella relazioni finale sull’inchiesta condotta attraverso varie audizioni, riaccende i riflettori su un delitto – si legge nel documento – di cui “in sostanza, a parte la presenza di Pino Pelosi come esca, non sono mai stati scoperti i responsabili”.
Per l’omicidio di Pasolini l’unica persona condannata è stato Pelosi, detto ‘la rana’, che ha scontato quasi dieci anni di carcere ed è morto nel 2017. Proprio nel 2005 Pelosi avrebbe reso delle dichiarazioni ai pm parlando di un film trafugato di cui lui si era proposto come mediatore per farle riavere al regista, con il quale avrebbe avuto una relazione. Al centro delle ipotesi dell’Antimafia ci sono le ‘pizze’ di pellicole trafugate nel ferragosto del ’75 (Pasolini morì poi il 2 novembre dello stesso anno) in un capannone di Cinecittà. Tra le persone ascoltate dalla Commissione c’è invece il lavoro di ricerca della giornalista Simona Zecchi, in particolare il suo colloquio con Nicola Longo, un ex poliziotto che era stato poi in servizio presso il Sismi. L’ex agente le avrebbe raccontato di aver avuto un ruolo importante nel recupero di quel materiale rubato: “si trattò di un furto che sarebbe stato all’origine dell’incontro notturno all’Idroscalo di Ostia in cui perse la vita il poeta e regista. Secondo questa ricostruzione, in tale circostanza, Pasolini si riprometteva di poter recuperare la pellicola originale che comprendeva alcune scene del suo film Salò o le 100 giornate di Sodoma, le quali altrimenti sarebbero risultate irrimediabilmente perdute”.
Secondo questa ricostruzione, Longo era poi entrato “in contatto con un grosso personaggio della malavita prossimo al contesto criminale della banda della Magliana (allora, nel 1975, ancora in corso di coagulazione) e questi si era reso disponibile a far recuperare gli originali del girato portando, come prova dell’effettivo possesso delle pellicole, un frammento del film. L’operazione di recupero aveva poi avuto successo in quanto allo stesso Longo erano state fatte trovare le ‘pizze’ sotto un tombino ed egli aveva poi provveduto a far sì che esse fossero portate in un capannone di Cinecittà, collocate in un armadio blindato e così definitivamente recuperate”.
Da qui la nuova pista su quanto accadde all’Idroscalo quella notte: “il coinvolgimento dell’intellettuale in tale operazione di recupero in prima persona escluderebbe la lettura della dinamica omicidiaria in chiave di violento delitto a sfondo sessuale, ma aprirebbe la prospettiva di un’azione (se del caso anche premeditata) di gruppi malavitosi di rilievo, forse anche coinvolti congiuntamente”, si legge nella relazione. Uno degli elementi chiave di questa tesi sono le rivelazioni di Maurizio Abbatino, ascoltato dall’Antimafia nel febbraio scorso in qualità di testimone. Quest’ultimo, in passato esponente di spicco della banda della Magliana, avrebbe detto di “aver preso parte, da giovanissimo, ad un furto di pellicole cinematografiche che era stato commissionato da tale Franco Conte, proprietario di una bisca”. Insomma, sul delitto ci sono “elementi embrionali”, ha scritto l’Antimafia, con l’auspicio che la Commissione di inchiesta della nuova legislatura vada a fondo.