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Cronache

Omicidio di Sofia Stefani: la Procura chiede l’ergastolo per Giampiero Gualandi

La Procura di Bologna chiede l’ergastolo per Giampiero Gualandi, ex comandante della polizia locale di Anzola, accusato di aver ucciso intenzionalmente Sofia Stefani. La pm Russo: “Ha mentito e manipolato”.

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Giampiero Gualandi deve essere condannato all’ergastolo. È la richiesta avanzata dalla procuratrice aggiunta di Bologna, Lucia Russo, al termine di una requisitoria durata nove ore davanti alla Corte d’Assise.
Secondo l’accusa, l’ex comandante della polizia locale di Anzola dell’Emilia, 63 anni, avrebbe sparato intenzionalmente alla sua ex collega Sofia Stefani, 33 anni, con la quale intratteneva una relazione extraconiugale.

Gualandi, che ha partecipato a quasi tutte le udienze, non era presente in aula. In tribunale, invece, i genitori di Sofiahanno seguito l’udienza in silenzio, visibilmente commossi.

L’accusa: “Ha mentito e manipolato, Sofia era vulnerabile”

Per la pm Russo, non ci sono dubbi sulla volontarietà del gesto: “Le indagini e il processo non devono identificare l’autore, ma chiarire se si sia trattato di dolo, colpa o preterintenzione. E la risposta è chiara: Gualandi ha agito con dolo”.
L’uomo ha ammesso di aver esploso il colpo, ma ha sostenuto che si sia trattato di un incidente. Una versione che la Procura ritiene “illogica e smentita dai fatti”, già respinta da Gip, Tribunale del Riesame e Cassazione.

La procuratrice ha parlato di “feroce manipolazione” esercitata da Gualandi nei confronti di Sofia, “sia professionale che sessuale”, ricordando che tra i due esisteva un rapporto di dominazione e sottomissione.
“Nel contratto di sottomissione sessuale – ha spiegato Russo – lui era il dominatore, il manipolatore. Sofia, affetta da disturbo borderline, era una persona fragile e vulnerabile, ma piena di umanità. Aveva diritto di vivere, invece è finita al cimitero.”

Il movente: una relazione finita e la paura di essere smascherato

Secondo la ricostruzione della Procura, il movente dell’omicidio risiederebbe nella fine burrascosa della relazione tra i due. La moglie di Gualandi aveva scoperto il tradimento a fine aprile 2024, ma lui le aveva assicurato che la storia con Sofia era chiusa da tempo.
Dalle chat acquisite, però, è emerso che la relazione proseguiva fino a pochi giorni prima del delitto.

Non c’è stato giorno dal 30 aprile in poi in cui Sofia non abbia provato a contattare la moglie di Gualandi”, ha sottolineato la pm, “per mostrarle i messaggi e dimostrarle che la relazione non era finita. Lui sapeva che Sofia non si sarebbe arresa”.

Proprio questa insistenza, secondo la Procura, avrebbe spinto Gualandi a ucciderla il 16 maggio 2024, con un colpo di pistola d’ordinanza sparato all’interno del suo ufficio al comando di Anzola.

L’accusa smonta la tesi della difesa

La difesa, rappresentata dagli avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli, ha sostenuto che il colpo sia partito accidentalmente durante una colluttazione, ma per la Procura si tratta di una tesi inconsistente.
Non esiste alcuna ragione professionale – ha affermato la pm Russo – per cui Gualandi dovesse avere con sé l’arma in quell’occasione, né urgenze tali da giustificarne il prelievo”.

Una richiesta di giustizia per Sofia

Conclude così una lunga e complessa fase processuale che ha riportato alla luce una storia di ossessione e manipolazione, terminata in tragedia.
La pubblica accusa ha chiesto la massima pena, l’ergastolo, ritenendo Gualandi colpevole di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dal legame affettivo.

La Corte d’Assise di Bologna si ritirerà nelle prossime settimane per la decisione finale, mentre la famiglia di Sofia attende, dopo mesi di dolore e udienze, una condanna che restituisca giustizia alla memoria della giovane donna.

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Cronache

Furto in casa del dirigente del Real Forio: denunciato un calciatore del Lacco Ameno. «Nessuna rivalità sportiva»

Un calciatore 21enne del Lacco Ameno è stato denunciato per il furto di 2.000 euro in casa del direttore generale del Real Forio. Le società isolane respingono ogni lettura sportiva dell’episodio.

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Una vicenda iniziata fuori dal campo e finita nella caserma dei carabinieri di Forio. Un calciatore senegalese di 21 anni del Lacco Ameno è stato denunciato dopo essersi introdotto, nella notte tra giovedì e venerdì, nell’abitazione del direttore generale del Real Forio, rubando 2.000 euro in contanti.
Il dirigente, svegliato di soprassalto mentre era in casa con la moglie, ha scoperto il furto soltanto al mattino, quando ha avvisato i carabinieri guidati dal luogotenente Luigi Di Nola.

Le immagini di videosorveglianza e l’identificazione

Grazie alle telecamere della zona, i militari hanno riconosciuto l’autore del furto nonostante il cappuccio della felpa. L’abbigliamento era infatti familiare ai carabinieri, spesso visto addosso al giovane nelle aree della movida.
Quando è stato fermato, il ragazzo indossava ancora gli stessi vestiti e aveva con sé un sacchetto con alcuni capi appena acquistati. In tasca sono stati recuperati 1.400 euro, parte del bottino. I contanti sono stati restituiti al dirigente del Real Forio.

Le società respingono ogni “derby della cronaca”

L’episodio non ha incrinato i rapporti tra Real Forio e Lacco Ameno. Il Real ha pubblicato un comunicato su Facebook per «evitare strumentalizzazioni», chiarendo che il furto è privo di qualsiasi connotazione sportiva:
l’appartenenza dell’autore e della vittima a due squadre diverse dell’isola è «una mera casualità» e ogni tentativo di collegare l’episodio alle rivalità calcistiche viene «respinto con forza».

Solidarietà al dirigente e vicinanza al giovane calciatore

Anche il Lacco Ameno conferma i buoni rapporti con la società confinante, esprimendo solidarietà al dirigente derubato. Al tempo stesso i dirigenti lacchesi hanno dichiarato l’intenzione di stare vicino al giovane, definendolo un ragazzo «ingenuo» che ha bisogno di essere seguito e riportato «sulla retta via».

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Cronache

Papa Leone con i poveri: messa a San Pietro e pranzo con 1300 persone per la Giornata mondiale

Papa Leone celebra la Giornata mondiale dei poveri con una messa gremita a San Pietro e un pranzo con 1300 persone in difficoltà, richiamando i leader mondiali ad ascoltare il grido degli ultimi.

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Papa Leone ha scelto di vivere la Giornata mondiale dei poveri accanto a chi affronta ogni giorno la fatica della sopravvivenza. Il pranzo con 1300 persone in difficoltà ha rappresentato il momento più intenso di una giornata nata da un’intuizione di Papa Francesco, che Leone ha voluto ricordare e applaudire.

La messa a San Pietro e il saluto fuori dalla Basilica

La mattina si è aperta con la messa nella Basilica di San Pietro, troppo piccola per contenere le migliaia di persone presenti. Prima della celebrazione, il Papa è uscito in Piazza San Pietro per salutare chi non era riuscito a entrare e invitarlo a seguire la celebrazione dai maxischermi.

Il richiamo ai responsabili del mondo

Nell’omelia, Papa Leone ha rivolto un appello diretto ai leader mondiali:
«Ascoltate il grido dei poveri».
Ha parlato delle tante forme di povertà, materiali, morali e spirituali, ricordando che alla radice di tutte c’è una ferita comune: la solitudine.

Secondo Leone, la sensazione di impotenza globale nasce da una menzogna: credere che nulla possa cambiare. «Il Vangelo – ha detto – ci dice che proprio negli sconvolgimenti della storia il Signore viene a salvarci. La comunità cristiana deve esserne oggi segno vivo, in mezzo ai poveri».

Pace, giustizia e responsabilità

Il Papa ha insistito sul ruolo dei responsabili istituzionali:
«Non ci potrà essere pace senza giustizia», richiamando alle proprie responsabilità capi di Stato e governanti. Il grido dei poveri, ha ricordato, è spesso soffocato da un mito del benessere che non include tutti e lascia indietro chi non riesce a reggere il passo.

Il pranzo nell’Aula Nervi e la visita ai volontari

La giornata si è conclusa con il pranzo nell’Aula Nervi, organizzato grazie alle realtà che ogni giorno lavorano accanto ai poveri: Vincenziani, Caritas, Sant’Egidio e l’associazione francese Fratello, che ha curato un secondo pranzo nei Giardini Vaticani.

Papa Leone, a sorpresa, si è recato anche lì per salutare e benedire volontari e ospiti, ribadendo così la sua vicinanza concreta agli ultimi.

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Cronache

Fnsi attacca gli editori: «Tagliano diritti e qualità. Basta usare i giornalisti come un bancomat»

Fnsi denuncia dieci anni di immobilismo contrattuale e accusa gli editori di tagliare diritti, welfare e qualità dell’informazione. Il 28 novembre sciopero nazionale dei giornalisti.

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La Fnsi rompe il silenzio e, in vista dello sciopero nazionale del 28 novembre, attacca frontalmente gli editori. Il sindacato ricorda che «responsabili lo siamo da dieci anni», tanto quanto è durata l’assenza della Fieg dai tavoli contrattuali, con il contratto scaduto e nessuna protesta portata in piazza fino a oggi.

Il bonus informazione ignorato

La Fnsi rivendica di aver proposto alla Fieg una piattaforma comune da presentare al governo, con misure condivise come il “bonus informazione”, uno strumento pensato per sostenere i cittadini nell’accesso a un’informazione di qualità e riportare ricavi nelle aziende editoriali. La risposta? «Non solo la proposta non è stata presa in considerazione, ma è stata accolta con fastidio».

«Solo tagli e precarietà»

Nella nota il sindacato denuncia che le proposte della Fieg puntano esclusivamente a tagli sul costo del lavoro, presenti e futuri, «condannando la categoria a pensioni da fame e indebolendo il welfare». Secondo la Fnsi, l’obiettivo degli editori sarebbe ottenere risorse per prepensionare chi oggi lavora, sostituendolo con giovani «senza diritti» e con pensionati. A ciò si aggiunge la richiesta di sovvenzioni certe, «senza dare nulla in cambio», con un impatto diretto sulla qualità dell’informazione.

Il crollo dell’occupazione

Dal 2011 ad oggi, ricorda la Fnsi, i giornalisti dipendenti sono passati da 19mila a 13mila: «circa il 30% di posti di lavoro in meno», anche tenendo conto delle assunzioni obbligatorie. Una crisi aggravata da stati di crisi «ripetuti anche quando i bilanci erano floridi» e che ha contribuito a mettere in ginocchio l’Inpgi.

La difesa degli scatti e il nodo autonomia

Il sindacato respinge anche le critiche sugli scatti percentuali, rivendicando che rappresentano «la tutela dell’autonomia professionale» di chi viene penalizzato nei percorsi di carriera.

Le domande della Fnsi

Nel finale, il sindacato pone una serie di interrogativi diretti agli editori:
È responsabile pagare i collaboratori 2-5 euro a pezzo?
È responsabile evitare di affrontare i temi dell’innovazione tecnologica, dell’IA e delle piattaforme digitali?
È responsabile fare giornali con precari e pensionati per ridurre i costi?
È responsabile incentivare le uscite anticipate sfruttando una legge di 35 anni fa?

La chiusura è netta: «Gli editori la smettano di usare la categoria come un bancomat».

(La foto di archivio in evidenza è di Imagoeconomica)

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