Collegati con noi

Cronache

Omicidio dell’ingegnere Coppola: il mandante confessa in aula e fa nuovi nomi

Pubblicato

del

Un colpo alla nuca, un’esecuzione brutale avvenuta il 12 marzo 2024 nel garage di un supermercato a San Giovanni a Teduccio. Salvatore Coppola, ingegnere, venne ucciso in circostanze che solo ora emergono con maggiore chiarezza. In aula, davanti alla Prima Corte di Assise (presidente Giovanna Napoletano), ha confessato il mandante del delitto: Gennaro Petrucci. È il marito di Silvana Fucito (non indagata), nota vent’anni fa come simbolo della lotta antiracket.

Parlando per oltre tre ore, Petrucci ha ammesso la sua responsabilità e ha accusato il presunto esecutore materiale, Mario De Simone (difeso dalla penalista Melania Costantino, che ne sostiene l’innocenza). Inoltre, ha fatto il nome di un terzo uomo, un imprenditore del settore rifiuti, identificato con le iniziali P.D.L., che avrebbe finanziato l’omicidio con 20mila euro.

Il movente? Secondo Petrucci, Coppola voleva impossessarsi della sua casa, finita all’asta a causa di una vicenda legata a frode fiscale. Si sarebbe presentato alla sua abitazione con un certo Salvatore Abbate (non indagato per omicidio), ex custode di 7 milioni di euro derivati dalla gestione illecita dei fanghi trattati dalla Sma. Coppola avrebbe voluto vendicarsi delle denunce fatte anni prima da Silvana Fucito.

L’organizzazione del delitto: dal sopralluogo al pagamento del killer

Petrucci ha raccontato che l’idea iniziale era gambizzare Coppola, non ucciderlo. Tuttavia, durante un sopralluogo avvenuto un mese prima dell’omicidio, De Simone si sarebbe tirato indietro per un motivo sorprendente: «Non posso gambizzarlo, sia io che lui siamo tifosi dell’Inter. Se lo ferisco, mi riconosce. A questo punto conviene ucciderlo».

Un mese dopo, l’imprenditore P.D.L. si sarebbe fatto avanti, offrendo 20mila euro a rate per eliminare definitivamente Coppola. Petrucci avrebbe accettato, pensando: «Investi 20mila euro e ti passa la paura, ti togli il pensiero».

Il 12 marzo, secondo il racconto del mandante, De Simone si sarebbe presentato a casa sua alle nove di sera, dicendo: «Ho fatto il servizio». In cambio, Petrucci gli avrebbe dato 5500 euro e quattro bottiglie di vino.

Le lacrime in aula e il legame con il clan Mazzarella

L’inchiesta, coordinata dai pm Sergio Raimondi, Simona Rossi e Maria Sepe, ha visto un’accelerazione decisiva grazie alle indagini della Squadra Mobile guidata dal primo dirigente Giovanni Leuci.

Al termine della deposizione, Petrucci ha avuto un momento di cedimento emotivo, rivolgendosi ai familiari della vittima: «Non ho più lacrime, ci vorrebbe uno psicologo per capire perché ho detto sì all’omicidio. Mi ero limitato a chiedere una gambizzazione. Sono il primo mandante di questo delitto, merito di morire in carcere».

Infine, ha fatto riferimento anche ai rapporti con la camorra, rivelando che lui e sua moglie erano stati compari di nozze della figlia di Gennaro Mazzarella, storico boss del clan. Un dettaglio che getta nuove ombre sulle dinamiche del potere criminale a Napoli e su quello che, vent’anni fa, sembrava un capitolo chiuso nella storia della lotta all’illegalità.

Advertisement

Cronache

Strage Erba, la Cassazione: no alla revisione del processo per Romano e Bazzi

Pubblicato

del

I giudici della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso presentato da Olindo Romano e Rosa Bazzi, per la riapertura del processo sulla strage di Erba per cui i due coniugi sono stati condannati all’ergastolo. Il processo quindi non verrà riaperto e i due coniugi resteranno in carcere. Le tre fasi di giudizio, che hanno confermato l’ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi quali autori della strage di Erba hanno, secondo i giudici dell’Appello e ribadito poi dal procuratore capo di Como, che respinsero l’istanza di revisione, evidenziato “la correttezza dell’operato” del pm e dei carabinieri che “nella fase delle indagini preliminari, hanno raccolto prove materiali, documentali, dichiarative, scientifiche e logiche incontestabili” e “non certo le sole confessioni”.

Continua a leggere

Cronache

L’omicidio di Diabolik, killer condannato all’ergastolo

Pubblicato

del

Carcere a vita per il killer di Fabrizio ‘Diabolik’ Piscitelli, l’ultras della Lazio ucciso a Roma in un agguato nell’agosto del 2019. E’ quanto hanno deciso i giudici della terza Corte d’Assise dopo oltre cinque ore di camera di consiglio. Ergastolo ma non aggravante del metodo mafioso per il cittadino argentino noto come Raul Esteban Calderon ma la cui vera identità, secondo quanto emerso nel corso del processo, è quella di Gustavo Aleandro Musumeci. Un blitz di morte messo in atto in pieno giorno, nel parco degli Acquedotti. Un agguato che secondo l’impianto della Distrettuale antimafia si sarebbe consumato nel perimetro di una guerra tra gruppi criminali per la gestione delle piazze di spaccio sul territorio della Capitale.

I giudici hanno, quindi, accolto la richiesta di condanna avanzata dai pm che nel corso della requisitoria hanno ricostruito la genesi e la dinamica di quanto avvenuto nell’estate di sei anni fa. Una azione compiuta, secondo l’accusa, “con metodo mafioso e con l’agevolazione di un gruppo criminale, nato dai contrasti tra associazioni organizzate”, hanno spiegato i pm Cascini, Palazzi e Ceraso definendo l’evento come uno “spartiacque”.

Secondo l’accusa, Diabolik è stato punito perché aveva “esondato”: la sua morte è stata in sostanza un “avviso ai naviganti: una sanzione che doveva essere compresa da tutti”. Piscitelli “non era docile, si atteggiava lui stesso come un capo – ha aggiunto l’accusa -. Piscitelli era tante cose, ha avuto una vita criminale accertata, trattava anche da mammasantissima la pace tra due consorterie mafiose”. Il killer ha “mostrato grande freddezza e professionalità” colpendolo “alle spalle con un solo colpo che coglie la vittima di sorpresa”. Si tratta di un delitto “compiuto in pieno giorno, in un parco pubblico: in quel momento era presente tantissima gente, impegnata nelle attività più disparata”. Nella descrizione di quanto avvenuto, il pm Palazzi ha affermato che il video di una telecamera a circuito chiuso “offre una prova importante, formidabile. Un’immagine piuttosto completa dal momento dell’esecuzione alla fuga del killer. Un filmato che dice tante cose: un runner, atletico, alto, con una vistosa fasciatura sul polpaccio destro proprio lì dove Calderon ha un vistoso tatuaggio”.

I pm di piazzale Clodio, nel corso della requisitoria, hanno citato anche una serie di testimonianze finite agli atti della indagine della Dda. In particolare le parole della ex di Calderon, Rina Bussone che collegata da un sito protetto nel settembre 2023 ha confermato davanti ai giudici le accuse nei confronti dell’imputato. “Lui mi disse ‘ho ammazzato Diabolik’.” Ma se per l’accusa il killer è l’autore materiale di un omicidio, i mandanti sono ancora in via di identificazione in un procedimento che è ancora al vaglio degli inquirenti. Lo stesso Calderon, nel corso del processo, ha fornito la sua versione dei fatti respingendo le accuse e dichiarandosi estraneo a quanto avvenuto. In una memoria depositata nell’ottobre scorso l’imputato si è detto “addolorato” per la morte “del signor Piscitelli” aggiungendo di sperare “che verrà fuori chi ha commesso questo bruttissimo delitto e paghi con la giustizia e verso la famiglia di Piscitelli, liberandomi di questa accusa che pesa su di me come un macigno, anche per la mia famiglia che sta vivendo una bruttissima esperienza”.

Continua a leggere

Cronache

La strage del lavoro, tre morti tra fabbriche e strade

Pubblicato

del

Daniel aveva compiuto 22 anni proprio ieri ma invece di festeggiare era al lavoro, nello stabilimento Stm che stampa ingranaggi industriali a Maniago (Pordenone). Lavorava su una macchina a temperature altissime quando all’1.30 di notte una scheggia incandescente lo ha trafitto alla schiena, uccidendolo all’istante. A nulla è servito l’allarme al 112: quando il rianimatore è arrivato non c’era più niente da fare. Ma Daniel non è l’unica vittima sul lavoro in una giornata tragica. Altri due morti in Campania e in Umbria, vittime in una strage che non si ferma e che investe tutta la penisola. L’Inail ricorda che nel 2024 sono stati oltre mille i decessi, in crescita rispetto al 2023. E a gennaio di quest’anno i morti sono già 45 (+36,4% rispetto a gennaio 2024) e 14 in itinere, ovvero nel tragitto tra casa e lavoro (+16,7% rispetto a inizio 2024).

Intanto l’impianto in cui lavorava Daniel è stato posto sotto sequestro dai carabinieri che conducono le indagini. Non è ancora chiaro se il ragazzo sia morto per un malfunzionamento della macchina o per una manovra sbagliata. Il turno di questa mattina intanto è stato sospeso in segno di lutto e per consentire i rilievi. “E’ straziante e inconcepibile che un giovane perda la vita mentre svolge il suo lavoro e non smetteremo mai di impegnarci, come uomini, come politici e come governo, per garantire la sicurezza di tutti i lavoratori”, ha detto Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento. L’altra vittima aveva 38 anni, si chiamava Umberto Rosito, era originario di Bari e faceva l’operaio.

E’ morto investito da un mezzo pesante mentre lavorava sulla carreggiata nord dell’Autosole nei pressi di Orvieto dove era residente. Era dipendente di una ditta del posto impegnata in interventi di manutenzione in autostrada. Sulla dinamica sono in corso indagini della polizia stradale di Orvieto. L’uomo aveva appena iniziato a predisporre la segnaletica per un cantiere stradale quando è stato travolto da un autoarticolato che trasportava alimenti. E’ morto sul colpo. Era sposato e padre di una bambina di tre anni. Il terzo incidente sul lavoro mortale è avvenuto ieri sera, a Sant’ Antonio Abate, (Napoli), dove il dipendente di una ditta di smaltimento rifiuti di 50 anni, Nicola Sicignano, è deceduto perché, secondo una prima ricostruzione, sarebbe rimasto incastrato con il braccio e la testa nel nastro trasportatore della linea di lavoro. L’area è stata sequestrata e sono in corso le indagini della Compagnia di Castellammare di Stabia, del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata con la collaborazione del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro e dell’Asl di Napoli.

A constatare il decesso dell’operaio, nato a Vico Equense e residente a Gragnano, è stato il 118. Regolarmente assunto dalla Sb Ecology srl, Sicignano era sposato e aveva due figli. Sulla salma messa sotto sequestro dagli inquirenti sarà eseguito l’esame autoptico su disposizione dalla procura di Torre Annunziata che sta coordinando le indagini del carabinieri. Un altro incidente sul lavoro, fortunatamente non mortale, alla diga di Cumbidanovu a Orgosolo (Nuoro). Un operaio è caduto da 4 metri mentre lavorava imbragato. Soccorso dal 118 l’uomo è stato portato all’ospedale in codice rosso per un trauma al rachide e sottoposto a ulteriori accertamenti. Sulle morti ha parlato anche la segretaria del Pd, Elly Schlein che sottolinea la necessità “di agire su più fronti”. Per Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil, “queste stragi non si possono fermare con la burocrazia” e la segretaria della Uil, Ivana Veronese, chiede “un segnale da Palazzo Chigi”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto