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Cronache

Omicidio Borsellino, 28 anni dopo il ricordo di Salvatore Calleri: “Ci insegnò a combattere la mafia ogni giorno, non a chiacchiere”

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Il 19 luglio del 1992 una Fiat 126 imbottita di esplosivo fu fatta saltare in aria in via D’Amelio a Palermo, uccidendo il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Emanuela Loi. L’attentato si verificava a meno di due mesi dalla strage di Capaci. Mesi terribili che sconvolsero il Paese e segnarono profondamente un’intera generazione. “La nostra è stata l’ultima generazione che ha visto la cattiveria della mafia. In quei giorni si respirava un’aria tremenda, un’atmosfera di guerra”, racconta a Juorno Salvatore Calleri, presidente della Fondazione di studi sulla mafia Antonino Caponnetto. Calleri, analista e profondo conoscitore del fenomeno mafioso, denuncia la debolezza dello Stato nella lotta alla mafia e invita a celebrare il ricordo di Borsellino in modo concreto e senza retorica: combattendo la mafia ogni giorno e sostenendo chi la combatte.

Calleri, qual è secondo lei l’eredità più importante del messaggio di Borsellino?

L’eredità più importante del messaggio di Borsellino è che bisogna combattere la mafia, senza troppi giri di parole. Il problema è che questa eredità oggi è messa in discussione, perché non la si combatte in maniera adeguata. Stiamo vivendo il momento più basso della lotta alla mafia degli ultimi venticinque anni. Su questo punto bisogna essere chiari. 

Magistratura in crisi, mafiosi scarcerati, 41 bis ammorbidito e tanti altri pilastri della legislazione antimafia messi in discussione. Che cosa penserebbe Borsellino osservando lo stato di salute dell’antimafia nel 2020?

Non è un questione dello stato di salute dell’antimafia, ma dello Stato stesso, perché sta abrogando de facto la lotta alla mafia. Si stanno facendo passi indietro. La mafia di oggi si può sintetizzare in tre parole: la lupara, la cravatta, il computer. La risposta non è adeguata, si stanno mettendo in discussione le norme del cosiddetto doppio binario, in primis il 41 bis, su cui non si può cedere. A mio modesto parere, Borsellino si sta rivoltando nella tomba.

Crede che in Italia manchi una profonda e radicata cultura antimafia?

Manca una radicata cultura antimafia, ma questo non è un problema solo italiano. In Europa la situazione è peggiore. In Italia, nonostante stiamo toccando il punto più basso degli ultimi venticinque anni, c’è comunque chi combatte quotidianamente la mafia. A Napoli c’è Maresca, c’è Sirignano, che è stato attaccato e punito in questo periodo, ma è il principale esperto italiano dell’agromafia. C’è Di Matteo in Sicilia e Gratteri in Calabria. Abbiamo personalità importanti, nonostante una magistratura in crisi. L’Europa è messa peggio, noi comunque combattiamo, loro no. 

Magistrati. Da sinistra verso destra il pm Cesare Sirignano, Luigi Riello, procuratore generale a Napoli, e Catello Maresca, sostituto procuratore generale

Che cosa ricorda della strage di via D’Amelio? Che aria si respirava in quei giorni di guerra?

Arrivai in Sicilia dopo un’iniziativa con Caponnetto in Calabria. Il 19 luglio ero sul traghetto che attraversa lo stretto, da Villa San Giovanni a Messina, quando appresi la notizia della strage di via D’Amelio. Ero insieme ad un gruppo di amici. Ci spostammo a Palermo e partecipammo a tutte le manifestazioni di protesta, compresa la protesta ai funerali. L’aria era tremenda, c’era un’atmosfera di guerra. La Sicilia era devastata e si aveva la sensazione che fosse tagliata in due: da una parte quelli che combattevano la mafia, dall’altra i collusi. Probabilmente è così anche ora.  

In che modo le stragi del ’92 hanno cambiato la storia del Paese e in particolare della sua generazione?

Noi dovremmo iniziare a fare una lotta alla mafia del giorno prima, non del giorno dopo. Facciamo le norme dopo gli eccidi mafiosi. Dobbiamo anticipare le loro azioni, invece noi aspettiamo il morto o l’attentato prima di agire. La mia generazione è segnata da questa strage, ci ha in qualche modo costretti a trattare la materia. A Firenze poi siamo stati segnati anche dalla strage di via dei Georgofili. Noi siamo stati l’ultima generazione che ha visto la cattiveria della mafia. Non possiamo non ricordare questi morti. 

C’è dolore autentico ma anche una stanca retorica nella commemorazione delle stragi. Come andrebbe onorata secondo lei la memoria di Falcone e Borsellino?

La retorica fa parte del popolo italiano. Noi come fondazione Caponnetto siamo assolutamente privi di retorica, tant’è che oggi il nostro modo di ricordare Borsellino è presentando il rapporto sulla mafia a Firenze. Bisogna ricordare i morti, le vittime della mafia, ma nello stesso tempo trarre dalla loro lezione l’energia per continuare oggi a combattere la mafia, questo è fondamentale. Versare la lacrimuccia non basta per mettersi la coscienza a posto. Il mio modo per ricordare Falcone, Borsellino, gli uomini della scorta è combattere e non lasciare soli i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri e tutti coloro che combattono.

Le chiedo un commento su questa celebre dichiarazione di Borsellino. “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

La mafia è un fenomeno complesso. Gli omicidi di Falcone e Borsellino sono omicidi che vedono interessi comuni da parte di realtà diverse. Su quali siano alcune di queste realtà, non abbiamo ancora risposta. Probabilmente c’entra la trattativa Stato-mafia. E bisogna stare attenti ai depistaggi; io ho visto indagare alcuni magistrati che non c’entravano nulla, perché allora erano troppo giovani. Hanno provato anche ad accusare Di Matteo su questa cosa, allora era un giovane procuratore, non contava niente.

Falcone e Borsellino. Due magistrati che sono stati un esempio di lotta alla mafia

E poi c’è l’agenda rossa di Borsellino misteriosamente scomparsa dopo la sua morte. Che valore potrebbe avere quel documento?

Sarebbe stata sicuramente utile per comprendere il pensiero di Borsellino su determinate situazioni. Se aveva un valore probatorio non glielo so dire, perché non conosciamo il contenuto di quel documento. Sicuramente sarebbe stata utile per determinate ricostruzioni o per capire se Borsellino era intervenuto per bloccare un’eventuale trattativa. 

Torniamo ai fatti recenti. In questi mesi ha tenuto banco la vicenda della scarcerazione dei boss durante la pandemia e della nomina del capo del Dap. Che idea s’è fatto sulla mancata nomina di Di Matteo da parte del guardasigilli Bonafede?

Sono rimasto stupito: se convochi una persona del calibro di Di Matteo, poi la nomini. Su questo punto si dovrebbe fare chiarezza. Vorrei aggiungere un’altra cosa. Secondo me c’è un nesso di causalità fra le rivolte e le scarcerazioni. Chi può indaghi. 

Ci troviamo in una fase di ricostruzione economica dopo la pandemia. Ci sarà un profluvio di soldi pubblici e di fondi europei. Quanto è concreto il rischio che queste risorse contribuiscano ad ingrossare le mafie nel nostro Paese?

Le stanno già ingrossando. La mia domanda allora è: abbiamo la volontà di fermarli? Non vorrei che ci fosse, nella mente di qualcuno, la volontà di usare per la ricostruzione i soldi dei mafiosi che sono disponibili. Il rischio è che ci sia una volontà politica da parte di soggetti deviati di accettare i soldi sporchi per la ricostruzione. 

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Processo sui conti della Juve aggiornato al 10 maggio per le richieste di aspiranti parti civili

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Inchiesta Juventus, udienza aggiornata al 10 maggio: la Juve ed Ernst & Young sono state citate come responsabili civili nel processo sui conti della società bianconera. Il giudice dell’udienza preliminare, Marco Picco, oggi a Torino nel corso dell’udienza, ha accolto una richiesta di alcune aspiranti parti civili, per questo motivo è stata aggiornata per discutere ulteriormente il loro ingresso nel processo. La Juventus è già presente fra gli imputati del procedimento in qualità di persona giuridica.

Gli imputati sono 13, fra cui Andrea Agnelli e la stessa società. Del collegio di difesa fa parte anche l’avvocata Paola Severino, già ministro della Giustizia fra il 2011 e il 2013.
Nella maxi aula non erano presenti  Cristiano Ronaldo né Paulo Dybala:i calciatori potrebbero rivendicare dalla società bianconera una parte degli stipendi arretrati. Tra i presenti figurano la Consob e gli avvocati di una trentina di piccoli azionisti e di alcune associazioni, tra cui il Codacons e il Siti (Sindacato Italiano tutela investimenti).

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Abodi a Napoli, palestre meritano aiuto per difficoltà

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“Le palestre sono un presidio di socialità e poi naturalmente di legalità. Questa mia visita stamattina è la dimensione più profonda del mandato che mi è stato affidato, perché è facile occuparsi dello sport di vertice o anche a livello industriale, ma credo che il senso di un ministro dello Sport si ritrovi nella dimensione sociale di queste palestre, di queste realtà che sono meritevoli di attenzioni non in una giornata speciale ma ogni giorno”. Lo ha detto il ministro dello sport Andrea Abodi a Napoli a margine della sua vista all’impianto Polifunzionale di Soccavo, punto di riferimento per l’ampia area occidentale di Napoli, e nel cuore del Parco San Paolo, in cui i giovani affrontano spesso problemi sociali.

Abodi ha incontrato il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, ma anche Patrizio Oliva e Diego Occhiuzzi, ex campioni mondiali nella boxe e nella scherma che ora gestiscono la palestra “Milleculure” nel centro Polifunzionale: “Quello che viene fatto qui – ha detto Abodi – come in tanti altri luoghi del nostro Paese merita qualcosa di più, anche il superamento delle difficoltà, perché quando si viene in luoghi come questo si gioisce per quello che si vede, l’entusiasmo delle persone, i bambini, la presenza di tanta gente che senza un’agenzia educativa come questa magari sarebbe in mezzo a una strada e senza un obiettivo, una regola. A volte si ha la certezza che lo sport, non dico si sostituisca, ma in qualche modo svolga pienamente di più la funzione rispetto ad altre agenzie educative che le hanno un po’ perse e mi auguro possano ritrovare. Lo dico senza mancare di riguardo alla scuola che è un presidio assoluto o alla famiglia che rimane un punto di riferimento inevitabile. Ma è evidente che vivendo mezza giornata qui ci si rende conto di quanto questa realtà educhi più di tante altre e quindi abbia bisogno di un ascolto costante. Ci vorrebbe semplicemente la capacità di osservare, ascoltare, rispettare e comportarci da parte nostra di conseguenza, perché le piccole e grandi problematiche possano essere affrontate con spirito nuovo. Il ministro vicino a realtà come queste, altrimenti non avrebbe senso avere un ministro per lo Sport”.

Abodi ha parlato concretamente della volontà di stanziare fondi: “Questo vale per Napoli – ha detto – così come per altre realtà, delle grandi città ma anche delle periferie sociali dell’Italia. Le risorse paradossalmente non mancano, dobbiamo scardinare meccanismi che a volte sono burocratici, dobbiamo far nascere progettualità e dove c’è la volontà come qui non è pensabile che non si trovino soluzioni”.

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Zia della bimba morta di stenti: mia sorella deve pagare

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“Diana era la bimba più bella del mondo, non si meritava tutto questo, lei deve pagare per ciò che ha fatto”. Lo ha detto ai cronisti Viviana Pifferi, sorella di Alessia, la 37enne che era presente stamani alla prima udienza del processo in cui è accusata di omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di quasi un anno e mezzo, abbandonandola da sola in casa per sei giorni. La sorella, anche lei in aula in Corte d’Assise a Milano e con una maglietta addosso con stampata la foto della nipote, e la madre della 37enne, nonna della piccola, saranno parti civili nel processo contro Alessia Pifferi.

Stamani il processo, davanti alla Corte presieduta da Ilio Mannucci Pacini, è stato subito rinviato al prossimo 8 maggio, perché nei giorni scorsi Alessia Pifferi ha cambiato ancora una volta difensore. Poi, ha richiamato il precedente legale, il quale alla fine ha rinunciato al mandato. Ora è assistita dall’avvocato Alessia Pontenani, la quale ha chiesto termini a difesa essendo stata nominata solo qualche giorno fa. Rinvio concesso dai giudici data la “delicatezza e complessità del procedimento”. Nella prossima udienza, come ha spiegato il legale Emanuele De Mitri che le rappresenta, la madre e la sorella di Alessia Pifferi, rispettivamente nonna e zia della bimba, si costituiranno parti civili contro la 37enne, in carcere da fine luglio scorso nell’inchiesta della Squadra mobile di Milano, coordinata dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro.

La Procura ha contestato nell’imputazione di omicidio volontario anche l’aggravante della premeditazione, oltre a quelle di aver ucciso la figlia e dei motivi futili e abietti. La piccola, scrivono i pm nell’imputazione, venne lasciata “priva di assistenza e assolutamente incapace, per la tenerissima età, di badare a se stessa, senza peraltro generi alimentari sufficienti e in condizioni di palese ed evidente pericolo per la sua vita, pure legate alle alte temperature del periodo”. Tutto ciò causò “nella minore una ‘forte disidratazione'” che portò alla morte. Dopo aver chiuso la porta di casa, la donna se ne era andata dal compagno (non padre della bimba) in provincia di Bergamo. La 37enne nel processo rischia la condanna all’ergastolo (aveva provato a chiedere il rito abbreviato, ma l’istanza è stata respinta in base alle normative). La difesa potrebbe puntare su un’istanza di perizia psichiatrica per valutare un eventuale vizio di mente al momento dei fatti. “Deve pagare”, ha ripetuto la zia in lacrime. Nella prossima udienza saranno trattate le questioni preliminari e la fase della ammissione prove. Il processo, ha spiegato il presidente della Corte, sarà trattato “tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio” e si potrebbe chiudere anche prima dell’estate. Oppure a settembre.

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