Tra le importanti mostre da visitare in città, Escher, Depositi di Capodimonte, Mapplethorpe, Rubens- Van Dyke-Ribera, Mortali/Immortali e tante altre , ce n’è una, piccola, meno pubblicizzata, forse di minor appeal, ma sicuramente non meno intensa ed importante alla BNN (Biblioteca Nazionale di Napoli) che ci illustra uno dei momenti piu’ importanti della crescita del nostro paese, un momento che ha cambiato di certo la percezione che avevamo nei confronti della inabilità mentale.
Oltre il Manicomio, “La ricerca di Sergio Piro e le lotte anti-istituzionali in Campania”.
Una mostra documentaristica illustrata dalle foto di Luciano D’Alessandro un grande maestro del fotogiornalismo non solo napoletano, ma internazionale.
A quarant’anni dal 13 maggio 1978, data in cui il parlamento approvò la legge 180 di riforma psichiatrica, la Biblioteca Nazionale di Napoli allestisce questa interessante mostra fotografica e documentaria, che ricostruisce la storia e le origini della trasformazione culturale e sociale che portò all’abolizione dei manicomi ed ad un diverso approccio con la malattia psichiatrica.
Il ricco percorso espositivo documenta con articoli di giornali l’impatto sociale e mediatico delle prime esperienze di psichiatria alternativa portate avanti a partire dagli anni sessanta da alcuni giovani psichiatri, trai questi per primi Franco Basaglia a Gorizia e Sergio Piro a Materdomini di Nocera Superiore (Salerno), la cui azione si rivelò determinante per spingere la classe politica ad approvare quella che sarebbe diventata più avanti la Legge 180.
Largo spazio in esposizione trova la produzione scientifica di Sergio Piro insieme alla vigorosa campagna stampa del giornalista del Mattino Ciro Paglia, il tutto rafforzato da una importante rappresentazione del reportage fotografico fatto a Materdomini da Luciano D’Alessandro, durato tre anni dal 1965 al 1968 e poi pubblicato nel volume Gli esclusi; foto che scossero l’opinione pubblica per la crudezza delle immagini e portarono al licenziamento dello stesso Piro da Materdomini.
Luciano D’Alessandro, uno dei maestri del fotogiornalismo italiano, nato a Napoli nel 1933 dove si spegne il 14 settembre 2016, ha collaborato con le maggiori testate nazionali e internazionali quali “L’Espresso”, “Time”, “Il Mondo” di Pannunzio,”Life”, “Stern”, “L’Europeo”, “Corriere delle Sera”, “Daily Telegraph”, “Die Zeit”, “Le Monde”, “Rinascita”, L’Unità etc. Nel 1980 è redattore fotografico de “Il Mattino” di Napoli e vive la sconvolgente esperienza del terremoto in Campania. Pur sperimentando sotto diverse forme l’attività fotografica al centro della sua ricerca è costante l’interesse per la condizione dell’uomo e dei più deboli Ha tenuto mostre ovunque nel mondo, i suoi libri e le sue fotografie sono conservati nelle collezioni di fondazioni e musei italiani e stranieri.
La mostra è curata dalla sezione americana della BNN coordinata dalla dott.sa Lucia Marinelli è stata possibile grazie all’interesse dello studio Bibliografico Marini che gestice per conto della famiglia i diritti delle fotografie e cura l’archivio on-line del maestro Luciano D’Alessandro, www.libreriamarini.it
Visitabile presso: Biblioteca Nazionale di Napoli Sala Esposizioni fino al 31 gennaio 2019 (feriali 9-18 sabato 9-13) ingresso gratuito
Le foto sono di Sara Petrachi e Carlo Belardo /KONTROLAB
Visitatori della mostra mentre osservano i documenti scritti e le fotografie conservate in una teca.
Inaugurazione della mostra fotografica e documentaria “Oltre il manicomio” che si è svolta presso una delle sale espositive della Biblioteca Nazionale di Napoli a quarant’anni esatti dalla promulgazione della “legge Basaglia” . La legge 180 fu la prima ad imporre la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. La mostra racconta la denuncia sociale che portarono al varo della legge, sia in campo scientifico con i documenti delle ricerche di Sergio Piro e Franco Basaglia e sia in ambito culturale, invece, con gli articoli del giornalista Ciro Paglia e il reportage fotografico di Luciano D’alessandro.
Lucia Marinelli, responsabile della sezione americana della biblioteca nazionale, durante un’intervento all’inaugurazione della mostra.
I
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
L’artista napoletano Antonio Nocera ha recentemente svelato la sua nuova opera d’arte, intitolata “Xenia”, un’installazione site-specific situata nella hall dell’iconico Sina Bernini Bristol di Roma, un simbolo dell’hotellerie di lusso da 150 anni. Commissionata da Bernabò e Matilde Bocca, presidente e vicepresidente del gruppo Sina Hotels, l’opera interpreta con sensibilità il tema dell’accoglienza, valore che caratterizza la storia della famiglia Bocca da tre generazioni.
L’opera “Xenia”: simboli di ospitalità e trasformazione
Realizzata in bronzo e tecniche miste su legno e plexiglass, l’opera “Xenia” fonde materiali e simboli profondi: le farfalle, che rappresentano la libertà e la trasformazione spirituale; le conchiglie, emblema della casa e simbolo del gruppo Sina Hotels; e la figura femminile, richiamando l’importanza ancestrale delle donne. Il nome “Xenia”, derivato dall’antica Grecia, esprime il concetto di ospitalità sacra, in cui l’accoglienza era considerata un atto sacro poiché si credeva che gli ospiti potessero celare entità divine.
Un dialogo tra arte e spazio
L’opera, presentata all’interno di una struttura che ha recentemente subito una ristrutturazione nel 2021 ed è entrata nella Autograph Collection, si armonizza con i dettagli d’arredo realizzati su misura. Oltre a “Xenia”, i visitatori possono ammirare anche l’affresco “The Birth of Baroque” di Adalberto Migliorati, che celebra i capolavori del celebre artista Gian Lorenzo Bernini.
Progetti futuri
Durante l’evento di presentazione, Antonio Nocera ha rivelato di essere già al lavoro su una nuova serie di dipinti che saranno esposti al Sina Villa Medici di Firenze, sottolineando il legame speciale che ha con la città.
Questa opera non solo arricchisce l’esperienza dei visitatori dell’hotel, ma offre anche una web-app gratuita per esplorare i cenni storici legati a Bernini e un itinerario virtuale per visitare le opere d’arte dal vivo, unendo tradizione e innovazione tecnologica.
Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, scoperto nel 1922, è uno dei più importanti templi dedicati al culto di Mitra in tutto il mondo. Situato vicino all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, rappresenta una testimonianza unica del mitraismo, un culto misterico molto diffuso durante l’Impero Romano.
La diffusione del culto di Mitra a Capua
Il culto di Mitra giunse a Capua durante il II secolo d.C., probabilmente portato dai gladiatori orientali che praticavano il mitraismo. Questo culto, di origine persiana, si era diffuso in tutto l’Impero grazie ai soldati romani stanziati nelle province orientali. Capua, con la sua vivace comunità gladiatoria, divenne un importante centro per il mitraismo, grazie anche alla presenza dell’Anfiteatro Campano, uno dei più grandi dell’epoca.
La struttura del Mitreo
Il Mitreo si trova in una struttura sotterranea, tipica dei templi mitraici, accessibile tramite una rampa di scale. La sala principale, lunga circa 12 metri, ha una volta a botte e lungo le pareti laterali sono presenti i posti a sedere per gli adepti. Il cuore del tempio è la raffigurazione della Tauroctonia, un affresco in cui Mitra viene rappresentato nell’atto di sacrificare un toro, simbolo di rigenerazione e fertilità.
Il simbolismo della Tauroctonia
La Tauroctonia è il simbolo centrale del culto mitraico. Nell’affresco, Mitra, vestito con un mantello svolazzante e il tipico berretto frigio, uccide un toro sacro con un pugnale. Intorno a lui sono rappresentati diversi elementi simbolici: il Sole, che osserva la scena, e i Dadofori, Cautes e Cautopates, che simboleggiano il ciclo del giorno e della notte. La scena è completata da animali come il cane, lo scorpione e il serpente, che aiutano Mitra nella sua impresa.
Funzione del Mitreo e i riti misterici
Il Mitreo era il luogo dove si svolgevano i riti misterici legati al culto di Mitra. Solo gli uomini potevano partecipare a queste cerimonie, che prevedevano un’iniziazione articolata in sette fasi. L’atmosfera del tempio, con la sua volta stellata e i lucernari che lasciavano filtrare la luce, creava un ambiente mistico che richiamava la grotta in cui, secondo il mito, Mitra aveva ucciso il toro.
Il declino del Mitraismo
Il Mitraismo raggiunse il suo apice tra il II e il IV secolo d.C., ma iniziò a declinare con l’avvento del Cristianesimo. Sebbene fosse un culto molto diffuso tra i soldati romani e le classi popolari, non riuscì a competere con la crescita del Cristianesimo, e fu definitivamente soppresso con l’imperatore Teodosio nel 394 d.C. Oggi, il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere rimane uno dei templi meglio conservati, offrendo una finestra unica su questo antico culto.
Importanza archeologica e turistica
Dal 2014, il Mitreo, insieme all’Anfiteatro Campano e al Museo Archeologico dell’antica Capua, è gestito dal Polo Museale della Campania, attirando visitatori e studiosi da tutto il mondo. La sua rilevanza storica e culturale lo rende una tappa imperdibile per chi vuole esplorare le radici del Mitraismo in Italia.
Il mondo della techno napoletana ha perso uno dei suoi padri fondatori, Rino Cerrone (nella foto a sx assieme a Capriati) , scomparso all’età di 52 anni. Il celebre produttore e DJ, considerato una leggenda nel panorama internazionale del nightclubbing, ha lasciato un segno indelebile nella scena musicale. Joseph Capriati, uno dei suoi più noti discepoli, ha espresso il proprio dolore sui social, ricordando Cerrone come un maestro e un amico, capace di supportarlo nei momenti difficili e di insegnargli tutto sulla musica.
L’eredità musicale di Rino Cerrone
Cerrone, nato nel 1972, ha influenzato generazioni di DJ, tra cui Marco Carola, Danilo Vigorito, Markantonio e lo stesso Capriati. Insieme, questi artisti hanno proiettato la scena techno napoletana sul palcoscenico internazionale. I set di Cerrone erano caratterizzati da una fusione unica di techno e progressive, con sonorità che mescolavano la precisione della techno tedesca, la magniloquenza di quella svedese e l’energia del rave londinese. Il suo stile, pur complesso, aveva radici profonde nella cultura partenopea, con un approccio che riusciva a fondere ritmi serrati ed eleganza.
Una carriera globale, ma con il cuore a Napoli
Durante la sua carriera, Cerrone ha girato il mondo, suonando a Berlino, Amsterdam, Giappone e Sudamerica. Nonostante il suo successo internazionale, ha sempre mantenuto un legame speciale con Napoli, partecipando regolarmente a eventi locali. La sua techno era apprezzata per la sua raffinatezza e la capacità di coinvolgere il pubblico con un ritmo travolgente e una tecnica impeccabile, come dimostrato dai suoi set con tre piatti che sfumavano i confini tra i generi.
Il rapporto speciale con Joseph Capriati
Il legame tra Joseph Capriati e Cerrone era quello di un fratello maggiore e maestro. Capriati ha ricordato come da giovane lo considerasse un idolo, aspettando ore solo per assistere alle sue performance all’Old River. Il loro legame si è trasformato in una profonda amicizia, con Cerrone sempre pronto a offrire supporto e consigli, tanto da diventare una figura di riferimento nella vita e nella carriera di Capriati.
Il lutto nella club culture
La scomparsa di Cerrone ha lasciato un vuoto enorme nella scena della club culture. Mentre il dolore è palpabile tra i colleghi e fan, il ricordo della sua musica e della sua persona continuerà a vivere, come desiderava lo stesso Cerrone. Nonostante la tristezza, è probabile che i fan lo onoreranno facendo ciò che lui amava di più: ballare.