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Ogni anno questo Paese di terroni che occupano le istituzioni regala 5 milioni a “Libero” per illuminarci con queste analisi sociologiche

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Oggi in prima pagina sul quotidiano Libero finalmente c’è una mirabile inchiesta con tanto di illuminante analisi politica che ci fa comprendere per quale motivo Matteo Salvini è sempre incazzato. Finalmente ci viene spiegato perché come cura di questa sua diuturna incazzatura il ministro Salvini da mane a sera invece di prendere servizio al Viminale (il ministero che il premier Giuseppe Conte gli ha assegnato) entra e esce dal suo ufficio virtuale su twitter  e ci informa dei neri che arrivano in Italia con le navi da crociera e della pacchia che sta per finire o che già finita, dei cori razzisti negli stadi contro i “napole(c)tani” e “quello sporco negro di Koulibaly” che dovremmo considerare momenti di effervescenza goliardica di pochi imbecilli, delle fave e lenticchie con nutella ingurgitate la sera. Da quanto si riesce a capire  leggendo Libero Salvini è sempre incazzato perché nelle istituzioni di questo Paese malato ha tutti contro. Oddio, non proprio tutti ma i 3/4 dei rappresentanti delle istituzioni metterebbero, secondo questa analisi di Libero, i bastoni tra le ruote a Matteo Salvini perchè sono terroni. Insomma, Matteo Salvini non riuscirebbe a fare – secondo questa analisi di Libero – tutto quello che deve fare (che cosa deve fare?) perché ci sono 3 terroni su quattro dentro le istituzioni di questo Paese Malato che lo ostacolano.

Viviamo davvero in un paese malato. Un Paese che finanzia l’editoria per agevolare e accrescere la libertà di stampa dando ogni anno quasi 5 milioni di euro a Libero, un giornale che fa queste mirabili analisi politiche. 

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Esteri

Gli Stati Uniti autorizzano gli attacchi alle navi dei cartelli della droga: “Il fentanyl è una minaccia chimica”

Secondo un documento del Dipartimento di Giustizia, i cartelli della droga sono considerati obiettivi militari legittimi: il fentanyl è classificato come minaccia chimica e arma potenziale.

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Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha giustificato gli attacchi alle navi che trasportano droga nel Mar dei Caraibi, sostenendo che il fentanyl rappresenta una minaccia chimica per la sicurezza nazionale.
La notizia, riportata dal Wall Street Journal, si basa su un documento elaborato dall’ufficio di consulenza legale del Dipartimento e redatto nel corso dell’estate.

Secondo il testo, i cartelli della droga possono essere considerati asset militari legittimi a seguito della decisione dell’allora presidente Donald Trump di designarli come organizzazioni terroristiche straniere.


“Il fentanyl è stato usato come un’arma”

Nel documento si sottolinea che il fentanyl, al pari della cocaina, è stato utilizzato in passato come arma chimica.
Una classificazione che, secondo i giuristi del Dipartimento, permette di giustificare azioni militari preventive o difensive contro le imbarcazioni sospettate di trasportare la sostanza.

L’approccio rientra in una strategia più ampia di contrasto al traffico di fentanyl, un oppioide sintetico che negli ultimi anni ha causato decine di migliaia di morti per overdose negli Stati Uniti, configurandosi come una delle principali emergenze sanitarie e di sicurezza nazionale.


Una decisione che apre nuovi scenari

La posizione del Dipartimento di Giustizia segna una svolta senza precedenti: equiparare il traffico di droga a un atto di guerra significa autorizzare interventi armati fuori dal perimetro tradizionale delle operazioni antidroga.
Un passo che, secondo alcuni analisti, potrebbe ridefinire i confini del diritto internazionale in materia di sicurezza e uso della forza, soprattutto in aree extraterritoriali come il Mar dei Caraibi.

Gli Stati Uniti, secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, avrebbero già condotto raid mirati contro alcune navi sospettate di trasportare carichi di fentanyl e cocaina.
L’obiettivo, scrive il quotidiano americano, è quello di interrompere alla fonte la catena di produzione e distribuzione della sostanza, considerata oggi la droga più letale del pianeta.

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In Evidenza

Valentina dal Trentino Alto Adige protagonista ad “Affari Tuoi”: una storia di dolore e coraggio, e la fortuna la premia

Valentina Zottele, concorrente del Trentino Alto Adige, vince 30mila euro nella puntata di “Affari Tuoi” condotta da Stefano De Martino. Una storia di forza e dolore che ha commosso il pubblico.

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Nella sessantasettesima puntata di questa edizione di “Affari Tuoi”, condotta da Stefano De Martino, la protagonista è stata Valentina Zottele, in gara per il Trentino Alto Adige. La puntata, andata in onda venerdì 14 novembre, ha regalato momenti di grande emozione e una vittoria significativa per la concorrente di Vadena, in provincia di Bolzano.

Valentina, che nella vita lavora come collaboratrice all’integrazione, è arrivata in studio accompagnata dalla madre Luana, casalinga e madre di cinque figlie. Insieme, mamma e figlia hanno giocato con il pacco numero 6, poi sostituito con il numero 4, che si è rivelato alla fine quello vincente.


Una partita sofferta e un finale da favola

La partita non è stata tra le più fortunate: a quattro pacchi dalla fine, nella colonna blu erano rimasti solo 20 euro e il simbolico Gennarino, mentre tra i rossi resistevano 20mila e 30mila euro.

Si è arrivati allo showdown finale con due pacchi in gioco — 20 euro e 30mila euro — e Valentina, seguendo l’istinto, ha deciso di tenere il suo pacco numero 4. Una scelta coraggiosa e vincente: all’interno c’erano 30mila euro, la cifra più alta rimasta.


Una storia di dolore e resilienza

Oltre alla vittoria, la storia personale di Valentina ha profondamente colpito il pubblico e lo stesso conduttore. La concorrente trentina ha infatti raccontato di aver attraversato momenti molto difficili, segnati dalla perdita di un figlio al quinto mese di gravidanza e dalla morte di una sorella.

Sul suo profilo Instagram, seguito da circa 1500 follower, Valentina condivide spesso momenti di vita familiare con il compagno Markus e i loro due bambini, Damien ed Emanuel, di cinque e due anni.


Un applauso per il coraggio

Alla fine, la vittoria di Valentina non è stata soltanto economica. È stata una vittoria di forza e speranza, quella di una donna che ha saputo affrontare il dolore con il sorriso, conquistando il pubblico di Rai 1 e lo stesso Stefano De Martino, visibilmente commosso durante la puntata.

Una serata che ha ricordato a tutti come, anche dietro un semplice gioco televisivo, possano nascondersi storie di vita vera e di straordinaria umanità.

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Cronache

Le querele temerarie e il giornalismo delle marchette: così l’Italia ha spento la libertà di stampa

In Italia la libertà di stampa muore ogni giorno, soffocata da querele temerarie e da editori che trasformano i giornali in fabbriche di marchette e contenuti a pagamento.

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Altro che mafia, altro che minacce o scorte. Il giornalismo libero in Italia lo stanno uccidendo le querele temerarie. Quelle milionarie, depositate da “signori perbene” che si indignano se osi raccontare i loro affari torbidi, le loro commistioni con il potere, i loro rapporti con la politica o la pubblica amministrazione.
Politici, imprenditori, professionisti, banchieri, perfino magistrati — sì, magistrati — che usano la giustizia come un’arma per intimidire, fiaccare, annientare. Ogni volta che accade, non è solo un giornalista a essere colpito. È un pezzo di democrazia che si spegne.

Le querele bavaglio

Io, in trent’anni di giornalismo, ne ho contate decine. Ho passato migliaia di ore nei tribunali, da imputato, mai da condannato.
Ho dovuto difendermi da accuse ridicole, pretestuose, costruite con la precisione di chi conosce bene le falle del sistema.
In un processo sono finito persino identificato con il codice fiscale di Massimo Giletti e la data di nascita di Giuliano Ferrara. In un altro, un signore con la toga ha pensato bene di denunciarmi in tre procure diverse, chiedendomi pure 250 mila euro di danni civili nel tribunale della città in cui lui risiede e lavora.

Ti difendi, sì. Ma intanto spendi soldi, tempo, salute. Ti logori.
E intanto, chi ti ha querelato gode: l’obiettivo è raggiunto. Hai smesso di scrivere di lui. Ti sei zittito.

L’autocensura: il virus che ha infettato la stampa

Oggi i giornalisti non hanno più bisogno di essere censurati. Si censurano da soli.
Non per vigliaccheria, ma per stanchezza, per paura, per sopravvivenza.

E gli editori? Non fanno più giornali per raccontare il Paese, ma marchette eleganti travestite da articoli, comunicati stampa mascherati da inchieste, spot pubblicitari infilati tra le cronache.
È tutto evidente, alla luce del sole. Sulle stesse pagine dove un tempo trovavi inchieste che facevano tremare i palazzi del potere, oggi leggi interviste pagate ai colossi del tabacco per illustrare i nuovi “modelli sostenibili di consumo” o peana ai Ceo delle multinazionali del farmaco, settore che oggi foraggia alla grande il neo-giornalismo delle marchette.

E non è un incidente, ma un sistema perfetto.
Dentro le grandi case editrici dei giornali e dei magazine italiani convivono due aziende parallele: da un lato la redazione, che dovrebbe fare informazione; dall’altro una macchina societaria opaca, che non si occupa di pubblicità (per quella c’è la concessionaria), ma di business di lobby travestito da giornalismo.

Queste strutture organizzano corsi per manager, creano ranking e certificazioni fasulle su pari opportunità, gender gap, sostenibilità e altre questioni serie, svuotate di senso e trasformate in scemenze a pagamento.
Un mondo dove la reputazione si compra, la visibilità si vende e la verità non interessa più a nessuno.

I mafiosi e i perbene

Tutta quella retorica sui “giornalisti minacciati dalle mafie” suona ormai come una litania ipocrita.
Le mafie vere fanno paura, certo. Ma almeno rischiano qualcosa.
Le vere minacce oggi arrivano dai mafiosi in giacca e cravatta, quelli che non urlano ma ti soffocano con atti giudiziari.

Il giornalismo come il Csm di Palamara

Il giornalismo italiano oggi somiglia al Csm raccontato da Palamara: mercanteggi, compromessi, carriere costruite su rapporti opachi e silenzi calcolati.
Con una differenza: nel Csm si barattavano nomine, nel giornalismo si baratta la dignità.
E così il “cane da guardia” della democrazia si è trasformato nel cane da salotto dei potenti, con il guinzaglio corto e la ciotola piena.

Le querele manganello e le leggi che mancano

Le querele temerarie sono la versione giudiziaria del manganello: non ti spaccano la testa, ma ti spaccano la vita.
Eppure il Parlamento resta immobile. Servirebbe una legge di civiltà: punire severamente chi abusa della giustizia per intimidire un giornalista, prevedere risarcimenti automatici e sanzioni per chi usa il tribunale come clava.

Senza giornalismo libero, non c’è democrazia

Non si tratta di difendere una categoria — molti non meritano nemmeno di essere chiamati giornalisti — ma di difendere la qualità della democrazia.
Un Paese senza stampa libera è un Paese cieco.
E in Italia, da troppo tempo, chi dovrebbe accendere la luce preferisce restare al buio. O peggio ancora, vendere l’interruttore.

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