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Esteri

Nuove sanzioni Usa, l’Ue litiga sul decimo pacchetto

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Ancora una fumata nera, ancora il nodo dell’unanimità a frenare la strategia dei vertici Ue: il decimo pacchetto di sanzioni non ha visto la luce alla vigilia della notte, che un anno fa, segnò l’inizio dell’invasione ucraina da parte della Russia. E questa volta, a mettersi di traverso, non è chi vuole meno sanzioni, ovvero l’Ungheria, ma chi ne vuole di più dure, la Polonia. Varsavia continua a spingere per l’inserimento nel pacchetto di nucleare, diamanti, e gomma sintetica. Trovando l’opposizione di quasi tutti gli altri Paesi membri. Di fronte allo stallo, la presidenza svedese dell’Ue ha quindi aggiornato la riunione a venerdì mattina mentre gli Usa, in serata, hanno già annunciato nuove sanzioni. Il G7, nelle prossime ore, le formalizzerà.

Alla riunione dei Rappresentanti Permanenti dei 27 (Coreper II) un po’ tutti, a Bruxelles, si attendevano il via libera al pacchetto. Il faticoso negoziato aveva limato qui e lì l’insieme delle misure, mantenendo fermo il divieto all’export di qualsiasi componente che Mosca può utilizzare nei suoi sistemi armati e confermando l’inserimento dei “propagandisti di Putin” nella lista nera. Ma la Polonia ha continuato ad alzare il tiro, proponendosi come portavoce più fedele alle richieste di Kiev e chiedendo per energia nucleare e settore dei diamanti l’inserimento hic et nunc nel decimo pacchetto di misure e non un mero impegno a includerli nel prossimo round. Eppure né il colosso russo del nucleare Rosatom né il comparto dei diamanti erano finiti nelle ultime bozze del testo.

Anzi, per quanto riguarda i diamanti è stata la stessa Commissione a mostrarsi prudente, reputando opportuno il coordinamento con il G7. Anche per questo, la mossa della Polonia ha spiazzato gli altri 26, trovando la netta contrarietà non solo dell’Ungheria ma, spiegano fonti europee, pure di Francia e Bulgaria. Ma ad alzare la temperatura è stato anche un altro punto: il divieto totale all’import di gomma sintetica russa che la Polonia ha chiesto. Da giorni Varsavia pone sul tavolo la mozione, sulla quale serpeggiano i dubbi di diverse capitali, a cominciare da Berlino e Roma. Riserve che fonti europee riassumono così: è probabile che l’impatto sull’economia russa sia marginale mentre è alto il timore di forti conseguenze negative sui prezzi e sulla competitività interna e esterna dell’Ue.

E a Bruxelles c’è chi fa notare un dato: la concorrenza russa da diversi anni ha reso marginale il peso sul mercato della gomma sintetica polacca, la cui produzione è funestamente legata all’Olocausto: per la costruzione dello stabilimento chimico di Buna-Werke furono impiegati i deportati al campo di Morowitz. Il nuovo stallo sulle sanzioni è giunto dopo che Kiev aveva già espresso la sua delusione per la mancata inclusione di Rosatom. E rischia ora di complicare i piani di Ursula von der Leyen proprio mentre Commissione, Consiglio Ue e Eurocamera si apprestano a ricordare l’anniversario della guerra. “Nell’ora più buia l’Ue ha trovato la sua forza”; ha scandito von der Leyen da Palermo. Ma sulle sanzioni, ancora una volta, Usa e Gran Bretagna hanno giocato di anticipo.

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Hezbollah sotto attacco, un colpo strategico senza precedenti del Mossad e delle Israel Defense Forces

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Le esplosioni che hanno recentemente colpito Hezbollah tra Libano e Siria hanno inflitto un durissimo colpo al “Partito di Dio”. Migliaia di feriti, una milizia disorientata e la catena di comando vulnerabile: questo è il quadro che emerge dalle operazioni orchestrate dall’intelligence israeliana, che ha ottenuto un risultato devastante senza ricorrere a un singolo attacco convenzionale. In pochi minuti, il Mossad e i servizi delle Israel Defense Forces (IDF) hanno messo in ginocchio la milizia guidata da Hassan Nasrallah, un risultato che in una guerra tradizionale sarebbe stato possibile solo dopo una lunga e costosa serie di attacchi.

Gli esperti sottolineano come questo attacco abbia reso temporaneamente inabili al combattimento migliaia di miliziani di Hezbollah, con ospedali e basi libanesi sovraffollati di feriti. Le esplosioni non hanno causato un elevato numero di morti, ma i danni fisici riportati dai membri della milizia sono stati gravi: ferite profonde, amputazioni, perdita della vista e dell’udito. Molti di questi combattenti non torneranno operativi prima di alcune settimane o mesi, mentre altri non saranno più in grado di combattere.

Un attacco non letale ma devastante

Le esplosioni, pur non essendo mortali, hanno causato danni significativi alle capacità operative di Hezbollah. Le testimonianze riportano ferite devastanti: mani esplose dopo aver afferrato i cercapersone, mutilazioni, e gravi traumi fisici che segneranno questi miliziani per tutta la vita. Questo non solo riduce il numero di combattenti pronti all’azione, ma li rende facilmente identificabili per le forze di intelligence israeliane, aumentando il rischio per Hezbollah.

La crisi della leadership e l’incubo logistico

Per Nasrallah, questo attacco rappresenta un vero incubo. La difficoltà nel rimpiazzare rapidamente i feriti, mantenendo un livello operativo efficiente, è una delle principali preoccupazioni. A differenza di altre organizzazioni, Hezbollah non può semplicemente reclutare chiunque: ha bisogno di combattenti addestrati, molti dei quali hanno già partecipato alle operazioni in Siria o hanno lanciato missili contro Israele. Inoltre, la base di reclutamento è limitata alla comunità sciita, in particolare ai fedeli di Nasrallah, escludendo il movimento Amal, complicando ulteriormente il processo di rimpiazzo.

Un colpo alla comunicazione: l’offensiva digitale

Uno degli effetti più gravi di questo attacco è la paralisi delle comunicazioni all’interno del movimento. Hezbollah, nel tentativo di evitare cyberattacchi, aveva recentemente abbandonato l’uso dei cellulari in favore dei cercapersone (pager), considerati più sicuri. Tuttavia, questo sistema si è rivelato vulnerabile, e ora l’organizzazione si trova in difficoltà. Senza cercapersone, dovrà tornare a utilizzare vecchi sistemi di comunicazione, come linee telefoniche obsolete, che sono facilmente intercettabili da Israele e da altri avversari.

La sfida per Hezbollah è dunque doppia: da un lato, gestire una crisi umanitaria e militare senza precedenti; dall’altro, trovare nuovi metodi di comunicazione sicuri e immediati. Questo scenario di paralisi inquieta i vertici del movimento, soprattutto in vista di un possibile attacco terrestre da parte di Israele.

Questo attacco non convenzionale ha dimostrato la potenza strategica dell’intelligence israeliana, capace di infliggere un duro colpo a Hezbollah senza entrare direttamente in conflitto armato. Il “Partito di Dio” si trova ora in una posizione estremamente vulnerabile, e la capacità di reagire sarà cruciale per il suo futuro.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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L’Argentina a Maduro: siamo dalla parte giusta della Storia

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Non si è fatta attendere la risposta di Diana Mondino, la ministra degli Esteri argentina alla richiesta del regime venezuelano di arrestare il presidente Javier Milei, sua sorella Karina ed il ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich per il caso dell’aereo venezuelano avvenuto nel 2022, durante la presidenza di Alberto Fernández. “Sostegno assoluto al Presidente, a Karina e Patricia di fronte alla vigliacca richiesta di arresto da parte della dittatura del Venezuela. Maduro dimostra ancora una volta di essere un tiranno e che siamo dalla parte giusta della storia. Non abbiamo paura”, ha scritto sul suo account di X (ex Twitter) Mondino. Più puntuale ma altrettanto duro il comunicato del ministero degli Esteri argentino, entrato nel merito del caso attraverso un comunicato stampa.

“Il caso in questione è stato risolto dalla magistratura, un potere indipendente sul quale l’esecutivo non può e non deve interferire in alcun modo, in applicazione di un accordo internazionale”. Il Ministero degli Esteri argentino, a nome del suo governo, ha poi ricordato al procuratore generale del Venezuela, Tarek William Saab, che ha chiesto l’arresto di Milei che “nella Repubblica argentina prevale la divisione dei poteri e l’indipendenza dei giudici, cosa che purtroppo non avviene in Venezuela sotto il regime di Nicolás Maduro”.

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