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Politica

Nuova legge elettorale, M5s-Pd tra sistema spagnolo e quello a due turni

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La maggioranza e’ gia’ al lavoro per presentare le altre tre riforme costituzionali per correggere l’impatto del taglio dei parlamentari e che verranno presentate nella settimana del 21 ottobre. Se su questo piano il percorso e’ sgombro, sulla legge elettorale M5s, Pd, Leu e Iv devono ancora chiarirsi le idee, anche perche’ il tema si intreccia con quello delle possibili alleanze alle Regionali, dopo quella in Umbria. Ad agitare le acque rimane la possibilita’ che vengano raccolte le firme di 126 deputati per chiedere il referendum sul taglio dei parlamentari, preannunciato da Roberto Giachetti. Il capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali del Senato, Dario Parrini, ha detto che con i suoi colleghi di M5s, Leu e Iv sta scrivendo le tre riforme che dovranno accompagnare il taglio dei parlamentari: la parificazione dell’elettorato attivo e passivo di Camera e Senato a 18 e 25 anni; il taglio del numero dei delegati regionali nell’elezione del presidente della Repubblica: il superamento del principio che il Senato e’ eletto su base Regionale. Saranno tre emendamenti che intorno al 21-22 ottobre verranno presentati in Commissione alla legge che da’ ai diciottenni il voto per il Senato. Anche il ministro Federico D’Inca’ ha ribadito l’impegno di M5s a procedere su queste riforme chieste da Pd, Leu e Iv. Sul fronte opposto il centrodestra, specie con Fdi, rilancia il presidenzialismo.

Domani Giorgia Meloni depositera’ in Cassazione le firme per una legge di iniziativa popolare con l’elezione diretta del Capo dello Stato, e altrettanto fara’ Matteo Salvini, che depositera’ anche una legge elettorale. Ed e’ proprio la legge elettorale a destare le aspettative per l’imminente confronto. Leu, con Nicola Fratoianni e Federico Fornaro spinge per un proporzionale, seppur con soglia, mentre il capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali della Camera, Stefano Ceccanti afferma che il taglio dei parlamentari non preclude di per se’ un altro modello: “a partire dalla base proporzionale si puo’ andare sia in direzione di un sistema che sbarra in modo forte ma non aggrega (con soglia alta) o di uno a doppio turno con premio con coalizioni e possibilita’ di aggregazione tra un turno e l’altro. Decidere tra questo due modelli molto diversi spettera’ alla politica”. E la politica ha cominciato ad occuparsene nell’incontro tra Luigi Di Mao e Nicola Zingaretti di lunedi’ scorso. Un faccia a faccia che e’ servito anche a rilanciare su ulteriori alleanze tra centrosinistra e M5s nelle Regioni, dopo l’Umbria, a cominciare dalla Calabria.

Su questo il Movimento e’ cauto, perche’ vuole prima attendere l’esito dell’esperimento Umbria; e poi in Calabria non si capisce ancora se il Pd sara’ in grado di superare la spaccatura che si sta creando dopo la preannunciata ricandidatura di Mario Oliverio. Certo, se si va avanti con le alleanze nelle regioni, ragiona Zingaretti, una legge elettorale nazionale con doppio turno puo’ avere un senso anche per M5s. Ma di Maio ha invitato a sua volta l’interlocutore a pensare a un modello spagnolo, cioe’ un proporzionale che pero’ sacrifica i piccoli partiti: difficile per il Pd andare avanti provocando uno strappo con Leu e Iv. “Sulla legge elettorale – dice Fornaro – e’ sbagliato ragionare partendo da questioni contingenti, come le alleanze regionali”. Intanto incombe sul taglio dei parlamentari l’ipoteca del referendum. Roberto Giachetti deve raccogliere le firme di 126 deputati e puo’ partire da quota 64: i 14 no al taglio espressi martedi’, i 48 che non hanno votato e i due astenuti. L’esponente di Iv ha lanciato un appello a chi ha votato si’: “visto che l’85% degli italiani sono favorevoli alla riforma, questa uscirebbe rafforzata dal referendum”.

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Economia

Allarme Upb sul Superbonus, Parlamento studia deroghe

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La “generosità” dell’agevolazione, le ripetute proroghe, un sistema di controlli che ha favorito la “diffusione di comportamenti opportunistici e fraudolenti”, la concessione di deroghe. Nasce anche da qui il ‘vulnus’ con cui il Superbonus si è trasformato in una zavorra per i conti pubblici, lasciando “una pesante eredità sul futuro”. L’Ufficio parlamentare di Bilancio lancia l’allarme e invita a far tesoro di questa esperienza per ridisegnare le future agevolazioni. Il Parlamento intanto prepara nuove modifiche all’ultima stretta impressa dal governo, comprese nuove deroghe per altre aree colpite dal terremoto o il coinvolgimento dei Comuni nei controlli. E sul Superbonus si accende un faro anche oltreoceano, con il Fondo Monetario Internazionale che sprona l’Italia a ridurre il debito. La crescita, stimata allo 0,7% nel 2024 e 2025, è destinata a ridursi al lumicino nel 2026 (rivista al ribasso allo 0,2%) con il Superbonus e il Pnrr in via di esaurimento, avverte il Fondo.

Ma intervenire si può, ed è dal debito che bisogna partire: per ridurlo, bisogna partire dagli sgravi fiscali, “molti dei quali inefficienti” come il superbonus, suggerisce il Fmi, ed eliminare quelle “scappatoie” dal fisco e “numerosi programmi di sostegno anti-inflazione”. Il Superbonus, insieme al bonus facciate e, in misura minore, gli incentivi alle imprese Transizione 4.0 “hanno inciso marcatamente sui conti pubblici degli ultimi anni”, evidenzia l’Autorità dei conti pubblici in una memoria alla commissione Finanze del Senato che sta esaminando l’ultimo decreto sull’agevolazione. Superbonus e bonus facciate, in particolare, hanno avuto un impatto “rilevante e crescente” nel tempo: l’asticella del periodo 2020-23, secondo gli ultimi dati, è salita a circa 170 miliardi. Con un gap tra i risultati e le attese “macroscopica” nel caso del Superbonus, e che “non ha precedenti”, osserva l’Upb, che indica vari elementi che hanno contribuito a far lievitare la spesa: la generosità dello sconto e le modalità di fruizione, l’ampliamento degli obiettivi, proroghe e deroghe.

A farne le spese è il debito. Quanto rilevato in termini di competenza economica nel quadriennio 2020-23 inciderà soprattutto sul 2024-26, evidenzia l’Upb, che quantifica questa “pesante eredità”: un impatto in media annua pari allo 0,5% del Pil nel triennio 2021-23, che salirà a circa l’1,8% in quello successivo. Un’esperienza, quella del Superbonus, da cui “occorre trarre insegnamento per il disegno di future agevolazioni”, osserva l’Upb, che indica la rotta: selettività e stop agli automatismi. In prospettiva, dunque, la soluzione suggerita è “un trasferimento monetario” (un contributo diretto alla spesa), modulato in base alle condizioni economiche delle famiglie e alla classe energetica dell’edificio, sottoposto ad autorizzazioni preventive e soggetto a un limite di spesa, o con prestiti agevolati. E in vista delle prossime misure di sostegno per le case green, a mettere in guardia è anche la Banca d’Italia: le “criticità” emerse con il Superbonus sembrano “sconsigliare la riproposizione in futuro della cedibilità dei crediti”, se non in “forma limitata” e “circoscritta ad alcune categorie”.

Dopo l’ultima stretta sul Superbonus intanto, si studiano nuove deroghe. A proporle, per altre aree colpite dal sisma diverse da quelle per cui già si è fatta eccezione (a partire dall’Emilia Romagna) o dalle alluvioni e per il Terzo settore, sono sia la maggioranza che l’opposizione con diversi emendamenti al decreto Superbonus. Il termine per presentare le proposte di modifica è mercoledì 24 aprile, ma sul tavolo del relatore, Giorgio Salvitti, gli emendamenti cominciano ad arrivare. Si studia anche la possibilità di coinvolgere, su base volontaria, i Comuni nei controlli ai cantieri del Superbonus, garantendo loro un ritorno economico pari al 30% dell’eventuale recupero. Nulla sarebbe invece ancora arrivato sulla possibilità di allungare da 4 a 10 anni i tempi di utilizzo dei crediti del Superbonus. Ipotesi su cui però si è già detto favorevole il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. E che, secondo i calcoli dell’Upb, consentirebbe al debito di restare abbondantemente sotto quota 140%.

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Politica

Schlein guarda le europee, Tajani a un passo dalla corsa

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Ultime ore per le liste Pd alle europee, con ancora diverse tessere da mettere al posto giusto. Che non è poco, perché in casa dem l’equilibrio si sposta sempre un passo avanti. Per domenica mattina è in programma la direzione: in quell’occasione, Elly Schlein scioglierà la riserva sulla sua candidatura. In queste ore, nel partito cresce la convinzione che la segretaria correrà. E’ invece già data praticamente certa la partecipazione del segretario di Fi Antonio Tajani come capolista in quattro circoscrizioni: il leader azzurro potrebbe dare l’annuncio nelle prossime ore. In attesa che la premier Giorgia Meloni comunichi le sue decisioni, non sono molti altri i leader in prima linea nelle liste. In forse ci sono Matteo Renzi, che dopo l’accordo con Più Europa ha tirato il freno, e Carlo Calenda, che però è sempre stato scettico.

Non correranno Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Difficilmente anche Matteo Salvini farà passi avanti. Per Più Europa in pole c’è Emma Bonino. In casa Cinque stelle i lavori sono in corso sulle liste. Il Movimento ha individuato alcuni capilista, come Pasquale Tridico al Sud e Giuseppe Antoci nelle Isole, e alcuni candidati, come l’ex presidente di Banca Etica Ugo Biggeri. E si è chiuso il primo turno delle parlamentarie, con cui il M5s sceglierà on line gli altri nomi da mettere nelle liste. Per Verdi-Sinistra, in queste ore il dibattito è invece monopolizzato dalla candidatura di Ilaria Salis, detenuta nelle carceri ungheresi. Il leader verde Bonelli e il segretario di Sinistra italiana Fratoianni andranno a Budapest per incontrarla. Che è anche un modo per rispondere alle polemiche sollevate dalla destra.

“Spero che Vannacci accetti di essere candidato con noi della Lega – ha ribadito il vicepremier Salvini – perché mi piacerebbe un confronto tra un uomo che ha portato ordine, sicurezza e onore italiano in giro per il mondo, e Ilaria Salis”. Un’ipotesi inverosimile, rispondono da Avs: “Qualcuno informi Salvini che Ilaria è in carcere da 13 mesi e che quindi non può partecipare a nessun confronto – gli ha risposto la deputata Elisabetta Piccolotti – Pensavamo che Salvini comprendesse la gravità di una persona ridotta in catene come un animale, che capisse le implicazioni giuridiche ed umanitarie. Purtroppo non è così”. In vista della direzione, il puzzle delle liste Pd prende forma. Secondo una delle bozze che circolano nel partito, la segretaria potrebbe correre come capolista al Centro e nelle Isole. Stefano Bonaccini sarebbe capolista al Nord est, Cecilia Strada nel Nord ovest e Lucia Annunziata al Sud, seguita da Antonio Decaro.

Fra i nomi sul tavolo per le zone alte delle liste, al Centro Nicola Zingaretti, Camilla Laureti, Marco Tarquinio, Dario Nardella. Al Nord est Annalisa Corrado, Ivan Pedretti, Elisabetta Gualmini. Al Nord ovest Brando Benifei e Irene Tinagli. Al sud Pina Picierno. Nelle Isole Antonio Nicita e Pietro Bartolo. Ma le caselle sono ancora da sistemare. Si parla anche di Matteo Ricci, di Alessia Morani, di Emanuele Fiano, di Giorgio Gori. E di un confronto in corso con Andrea Orlando, che però avrebbe delle perplessità. Mentre Schlein potrebbe correre anche dove non è capolista, in una posizione scelta in base all’ordine alfabetico. Per il mosaico M5s, nell’elenco degli ammessi al secondo turno della selezione on line ci sono il direttore de La Notizia Gaetano Pedullà, al quale Giuseppe Conte ha chiesto di lasciare il ruolo nel giornale, per trasparenza.

Ci sono poi (con un solo mandato alle spalle) l’ex europarlamentare Dario Tamburrano e gli ex parlamentari Sergio Romagnoli, Mirella Emiliozzi, Gianluca Ferrara, Valentina Corneli, Valentina Palmisano e Paolo Bernini. Al secondo turno anche gli esponenti del partito Gay Fabrizio Marrazzo e Marina Zela. Nel fine settimana, verrà chiusa la rosa dei nomi individuati da Conte, che poi verrà sottoposta al voto online. Scontata, invece, la ricandidatura degli europarlamentari uscenti Mario Furore, Maria Angela Danzì e Sabrina Pignedoli.

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In Evidenza

Basilicata al voto, centrodestra testa il suo campo largo

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“Diteci cosa pensate del lavoro di questo governo”. Giorgia Meloni dà una dimensione nazionale al voto in Basilicata, la terz’ultima regione per popolazione, dove il centrodestra si aspetta uno “straordinario” risultato, secondo le previsioni scandite dai leader nel comizio finale a sostegno di Vito Bardi (nella foto in evidenza), il governatore a caccia della riconferma. Lui stesso pensa “di superare il 50%”. Per festeggiare una vittoria lunedì, quando si chiuderanno le urne, il milanista Matteo Salvini si dice pronto a barattare una sconfitta della sua squadra che quella sera affronterà il derby contro l’Inter. Per raggiungere l’obiettivo la coalizione ha allargato il suo perimetro ad Azione. “La dimostrazione del buon governo di Bardi sta nelle molte liste che lo sostengono. I confini si allargano, il vero campo largo è il centrodestra”, la tesi di Antonio Tajani, alla vigilia di un test anche verso le Europee, dove il leader di Forza Italia è pronto a candidarsi in quattro circoscrizioni.

Meloni dovrebbe correre in tutte, ma il nodo non è ufficialmente sciolto. La campagna è comunque già partita e si intreccia con quella dei vari appuntamenti elettorali locali, in un continuo confronto a distanza con il centrosinistra, con rimandi a una “Europa da cambiare”. In un pomeriggio freddo e piovoso parlano Gianfranco Rotondi, Lorenzo Cesa, Maurizio Lupi, poi tocca ai leader dei tre principali partiti della coalizione. “È finita la repubblica delle banane”, l’espressione rispolverata da quella di FdI per rivendicare il lavoro sulla sicurezza, sul “fisco amico” e per respingere quelle che considera “falsità spudorate” sul carcere per i giornalisti e la legge 194 sull’aborto: “Stiamo diventando la capitale mondiale delle fake news”.

“In un anno e mezzo questo governo ha prodotto molto di più di quanto governi della sinistra messi insieme con lo scotch hanno fatto in un’intera legislatura”, la rivendicazione della premier, che dalla Basilicata si attende una verifica su “consenso e entusiasmo”. E da Potenza accusa i rivali di “simpatizzare più con chi aggredisce” le forze dell’ordine fuori dalle università che con gli agenti. O di strumentalizzare le polemiche sull’Autonomia. “Figuratevi se io, che credo nell’Italia unita più di ogni altra cosa, lascio mezza Italia indietro”, alza la voce dal palco, sottolineando che la riforma dà al Mezzogiorno “la responsabilizzazione della sua classe dirigente, ed è qualcosa che serve”.

“Stiamo lavorando – puntualizza però Tajani – perché l’Autonomia differenziata possa essere un obiettivo equo anche per il Sud Italia”. Dal palco il leader di FI cita anche Silvio Berlusconi: “Bisogna aumentare le pensioni minime a mille euro, è un impegno che abbiamo preso e che ci ha chiesto fino all’ultimo giorno della sua vita. Ci sta guardando, è seduto là, sta seguendo il comizio anche lui”. Il suo appello alla platea è a portare alle urne gli astensionisti. Assicura che l’obiettivo non è erodere voti agli alleati, ma lunedì si guarderà con attenzione ai risultati delle liste di FI e Lega. “Questo governo, si mettano l’anima in pace Conte e Schlein, andrà avanti per i prossimi 5 anni e poi sarete voi a decidere se abbiamo fatto bene”, assicura Salvini, che nell’ultima anticipazione del suo libro si è preso il merito, assieme a Berlusconi, di aver creato le condizioni per chiudere l’esperienza del governo Draghi e far nascere quello di Meloni.

Un po’ spiazzante, come quando qualche settimana fa ha annunciato il salva-casa. “Mi impegno a portarlo al più presto in Parlamento, per una sanatoria delle piccole irregolarità interne: vogliamo liberalizzare, sanare, restituire agli italiani le loro case i loro negozi”, chiarisce nel suo ennesimo affondo all’Europa: “Dobbiamo cambiarla completamente. A Bruxelles mangiatevi la farina di vermi, noi ci mangiamo i peperoni cruschi”.

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