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Politica

Nomine Rai in stand by, IL Pd attacca sullo spoils system

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La Lega sembra tenere il punto sulla figura del direttore generale da affiancare all’ad ed al presidente. Nella maggioranza si prospetta dunque un braccio di ferro fino all’ultimo istante sulle nomine Rai, tanto da tenere in stand by la possibilità di un vertice formale di chiarimento tra i tre leader, dato per certo nelle indiscrezioni circolate nei giorni scorsi. Una situazione che rende sempre più probabile – si è convinti in diversi ambienti della coalizione di governo – uno slittamento a dopo la pausa estiva. E’ anche vero che i contatti tra la premier Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini sono continui, si rileva in ambienti parlamentari. Così come non mancano le possibilità di incontri diretti. Ed una di queste è rappresentata dal Consiglio dei ministri previsto per mercoledì prossimo, il 7 agosto.

Ma i tempi tecnici sono diventati talmente stretti che solo una brusca accelerazione, che al momento non si percepisce nella maggioranza, potrebbe sbloccare la situazione in settimana: con due passaggi parlamentari obbligatori per la composizione del Cda (prima la riunione dei capigruppo – al Senato ne è prevista una lunedì per fare il punto – e poi quella della Vigilanza). Anche se al di là delle prove muscolari all’interno della maggioranza, tutti sembrano concordi nel valutare ininfluente politicamente un piccolo rinvio. Tenuto conto anche del fatto che i palinsesti 2024-25 sono stati già definiti e presentati. Ma c’è da tener presente che la partita Rai si inserisce nel complesso meccanismo delle nomine europee e di altre nomine di peso, come quella del nuovo Ragioniere generale dello Stato, dopo l’uscita di Biagio Mazzotta.

E l’ipotesi dell’arrivo di Daria Perrotta, attuale responsabile dell’ufficio legislativo del Mef. Uno scenario, quest’ultimo, che “preoccupa il Pd che teme “una opera di spoils system da parte del governo Meloni”. Il ragionamento dei Dem parte dal presupposto che la Ragioneria non sia una struttura di staff alle dipendenze del governo ma un pilastro insostituibile del nostro apparato pubblico”.In una lunga i nota i senatori del Partito democratico sottolineano che da tempo, del resto, anche Anac e Agenzia delle Entrate sono nel mirino del governo e del ministro Giorgetti.

“Le colpe? Non aver paura di dire la verità sui conti e sulle scelte di un governo incapace di far quadrare i conti e di varare provvedimenti utili all’economia e alla tenuta sociale del Paese”. Da qui l’annuncio del deposito di un disegno di legge per tutelare e difendere, anche alla luce dei nuovi vincoli imposti dal Patto di stabilità, “la trasparenza delle procedure di nomina, l’autonomia e l’indipendenza del Ragioniere generale dello Stato”. Una preoccupazione che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, cerca di smontare sottolineando che non c’e’ stata nessuna pressione per le dimissioni dell’attuale ragioniere generale: “Assolutamente no – ribatte – magari gli esperti sono loro in questo, certamente non noi”. “È una libera scelta del dottor Mazzotta – rilancia – ,lo conosco da tanti anni, probabilmente da più anni di molti di quelli che commentano. È una persona di grande qualità, ha fatto una scelta. E la scelta per la sostituzione risponderà a requisiti di alta professionalità, capacità e intelligenza’.

Ma i dem vanno per la loro strada e spiegano il senso del provvedimento depositato: “la nomina del Ragioniere generale deve essere validata, con parere vincolante, dalle commissioni parlamentari competenti, e la scelta deve ricadere su personalità che non abbiano ricoperto incarichi di governo o di diretta collaborazione, e che abbiano una elevata esperienza professionale maturata per almeno 5 anni presso la Rgs, la Corte dei Conti, la Banca d’Italia, la Bce o l’Ufficio parlamentare di bilancio”. “Non permetteremo – concludono i senatori del Pd – che, incapace di governare in modo efficace, questa maggioranza metta le mani sulla struttura che ha il compito di controllare i conti dello Stato e colpisca magari chi, in nome della tutela della finanza pubblica e della stabilità dell’economia, osa criticare le scelte di questa destra e di un governo che vivacchia solo grazie a continue fiducie su decreti inutili e sbagliati”.

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Cronache

Caso Open Arms, chiesti 6 anni di carcere per Salvini: la “totale solidarietà” della premier Meloni

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Alla fine di una requisitoria di 7 ore, i Pm di Palermo hanno chiesto di condannare a 6 anni di carcere Matteo Salvini per avere impedito cinque anni fa, quando era ministro degli Interni nel governo Conte, lo sbarco a Lampedusa di 147 migranti, con l’accusa di averli sequestrati a bordo della nave spagnola Open Arms. Richiesta che ha avuto un effetto dirompente nel mondo della politica: “Mi dichiaro colpevole di avere difeso l’Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di avere mantenuto la parola data”, il commento di Salvini.

Che aggiunge: “Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per avere difeso i confini del proprio Paese”. Al suo fianco la premier Giorgia Meloni: “Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo, la mia totale solidarietà al ministro Salvini”. Presa di posizione fortemente criticata dall’opposizione. Ma a Salvini è arrivato addirittura il duro endorsement di Elon Musk: “Quel pazzo pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per sei anni, questo è pazzesco”. Proprio secondo i Pm di Palermo, Salvini avrebbe agito nel 2019 non per una strategia concordata col governo Conte, come invece sostiene la difesa, ma per l’interesse ad aumentare il proprio consenso elettorale facendo leva sulla lotta all’immigrazione clandestina. Secondo l’accusa, non c’era alcun pericolo di terrorismo a bordo della nave e dunque non c’era alcuna necessità di proteggere la sovranità dello Stato.

Inoltre, le condizioni dei migranti per quell’azione si aggravarono di giorno in giorno. Per motivare la richiesta di condanna, il pm Marzia Sebella ha sottolineato che “il pos doveva essere rilasciato senza indugio e subito, il diniego è stato in spregio delle regole e non per proseguire in un disegno governativo”, e quel “diniego consapevole e volontario ha leso la libertà di ognuna delle 147 persone e non c’era ragione”. Quindi un pensiero ai migranti, “i grandi assenti in questo processo: non ci sono state le persone offese, la maggior parte di loro è irreperibile, ma non perché siano clandestini o criminali, magari perché una casa non ce l’hanno. Leggeremo a uno a uno i nomi di queste persone per ricordarle”. Parole apprezzate da Oscar Camps, fondatore di Opem Arms: “Siamo emozionati”. Di tutt’altro tenore l’avvocato Giulia Bongiorno: “Basta esaminare gli atti, e non fare ipotesi e teoremi, per rendersi conto che durante tutto il processo c’è stata la correttezza dell’operato di Salvini e la massima attenzione alla salute dei migranti”. Il sostituto procuratore Geri Ferrara, assieme alla collega Giorgia Righi, ha affermato che non si tratta di “un processo politico” perché “è pacifico che qui di atto politico non c’è nulla”: sono stati valutati “atti amministrativi come il ritardo o la negazione” del porto assegnato per sbarcare.

“L’elemento chiave”, per l’accusa, “è stato quando Salvini ha assunto il ruolo di ministro” e “ha spostato le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei pos dal Dipartimento libertà civili e immigrazione al suo ufficio di gabinetto”. E’ stato lui, insomma, ad assumere tutte le decisioni, era lui che veniva informato in modo “costante e quotidiano”. Per i pm “non è accettabile” l’idea di anteporre la protezione dei confini nazionali ai diritti umani. “C’è un principio chiave non discutibile: nel nostro ordinamento, per fortuna democratico, i diritti umani prevalgono sulla protezione della sovranità dello Stato”, ha sottolineato Geri Ferrara.

“La persona in mare va salvata ed è irrilevante la sua classificazione: migrante, componente di un equipaggio o passeggero”, perché “per il diritto internazionale della convenzione Sar anche un trafficante di essere umani o un terrorista va salvato, poi se è il caso la giustizia fa il suo corso”. In attesa della replica delle difese prevista per il 18 ottobre, l’avvocato Bongiorno ha accusato il pm di fare politica: “Nel momento in cui dice che il tavolo tecnico, i decreti e le direttive sono tutti inaccettabili, intollerabili e in contrasto con i diritti umani in realtà sta processando la linea politica di quel governo”. Entro la fine dell’anno, poi, è prevista la sentenza.

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Politica

Arianna Meloni, vicenda Sangiuliano è chiusa, solo gossip

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“La vicenda è chiusa. Se n’è parlato fin troppo. È una vicenda dolorosa. Sangiuliano è stato un ottimo ministro. È stato un ministro onesto. È una persona brava e competente. Si è dimesso per una faccenda del tutto personale, una faccenda di gossip montata dalla stampa in maniera decisamente eccessiva. Direi, anche basta. Risponderei come hanno risposto gli imprenditori a Cernobbio”. Lo ha detto Arianna Meloni alla festa di FdI a Lido degli Estensi. A chi chiedeva se potessero essere coinvolte altre persone, la responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia ha risposto: “Sono ricostruzioni fantasiose, lo hanno confermato tutti”.

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Mattarella: il fascismo complice della ferocia nazista

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“Il fascismo, con il regime della Repubblica sociale italiana, era complice della ferocia nazista”, dunque “l’Italia è orgogliosa del percorso compiuto in questi quasi 80 anni dalla Liberazione”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come già in passato, non lascia adito a dubbi sugli anni del regime e plaude ai partigiani. Oggi è salito fin sulle montagne della Carnia e dell’Alto Friuli per ribadirlo, in un discorso tenuto ad Ampezzo (Udine) per l’80/o anniversario della Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli. Un’esperienza durata pochi mesi del 1944, fino alla brutale controffensiva nazista appoggiata dai fascisti e da 5mila cosacchi, l’operazione Waldläufer. Breve ma carica di significati: estesa su 2.500 chilometri quadrati – la più grande tra le zone liberate dai partigiani in Italia del Nord – nella Repubblica della Carnia vivevano 90 mila persone: un “laboratorio di democrazia”, come ha detto Mattarella.

I partigiani sollecitavano “all’iniziativa e alla partecipazione dal basso, dopo due decenni di subalternità e passività popolare, frutto” del ‘credere, obbedire, combattere’. Quando si dovette votare per i comuni, nella Repubblica si chiamarono a votare i capifamiglia come era uso, e se questi erano donne, si chiamarono a votare le donne. Un’iniziativa senza precedenti. Ma si presero anche decisioni fiscali, a difesa dei boschi dalle speculazioni, si dispose di riprendere la scuola e anche una riforma della giustizia. Il capo dello Stato ha visto “in queste popolazioni, in Carnia, le radici della nostra Costituzione, che alimentano la nostra vita democratica”. Quello del voto non fu la sola emancipazione femminile: erano le donne che, sfidando gelo, neve e i pericoli di essere intercettate, portavano sulle spalle le gerle con munizioni, viveri e armi agli uomini in montagna.

A rappresentare quelle donne oggi c’era Paola Del Din, 101 anni, partigiana medaglia d’oro al valor militare: si è sollevata dalla sedia a rotelle per “stare di fronte al Presidente, apprezzandone “la vita molto faticosa. Passando dal visitare luoghi di sciagure ad altri luoghi di fatti storici, il suo è un lavoro di ricucitura dell’Italia”. Il capo dello Stato non si è limitato alla lotta partigiana di quest’area ma ha ricordato che “il Regno d’Italia con la dichiarazione ambigua dell’8 settembre 1943 e sino al cambio di fronte operato con la dichiarazione di guerra a Berlino del 13 ottobre successivo, aveva permesso l’invasione della penisola da parte delle truppe germaniche”. Ma la Resistenza fu lotta anche per l’indipendenza, e prendeva forza mentre nel 1944 si moltiplicavano le stragi naziste “da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto”.

Fu il momento in cui “si affacciavano i primi embrioni di partecipazione politica e di aspirazioni democratiche”. Anche il governatore leghista del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha definito quella della Carnia libera una “straordinaria lotta per la democrazia”, lanciando il monito che, visti “i sanguinosi conflitti alle porte dell’Europa”, non si diano per scontati i “diritti e le libertà conquistati nel secolo breve”. Le parole di Mattarella siano un monito, hanno osservato le dem Debora Serracchiani e Tatjana Rojc, presenti ad Ampezzo, “a lavorare ancora su una strada di progresso, diritti e libertà”. Mattarella ha poi raggiunto Illegio per visitare la mostra d’arte ‘Il Coraggio’, e dopo un breve intervento e il pranzo, è ripartito.

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