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Nissan: Ghosn in manette si difende, sono innocente

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Con le manette ai polsi e una corda legata attorno alla vita, le pantofole al posto delle scarpe, l’ex presidente del gruppo Nissan-Renault-Mitsuishi Motors, Carlos Ghosn, ha riaffermato la sua estraneita’ a ogni accusa nella sua prima – e a lungo attesa – apparizione pubblica, dopo quasi 50 giorni trascorsi in prigione. Chi lo conosce bene asserisce che ha perso una decina di chili, con qualche capello grigio in più, ma senza abbandonare il piglio autoritario che ha sempre contraddistinto la sua figura. Piu’ di 1.100 persone avevano aderito alla fila nelle prime del mattino, per assistere all’udienza preliminare, dove erano disponibili solo 14 sedie. “Sono innocente e ho sempre preso le decisioni di lavoro con integrità, senza mai commettere reati nella mia lunga carriera professionale”, ha protestato Ghosn durante l’accorato appello di quasi mezz’ora davanti al giudice, definendo le accuse a lui rivolte prive di fondamento giuridico. L’ex tycoon 64enne, si trova dallo scorso 19 novembre al centro detentivo a nord di Tokyo, i cui esterni sono costantemente presidiati da centinaia di cameramen e giornalisti, nella speranza di un allentamento delle contorte procedure del sistema giudiziario giapponese. Malgrado gli accorati appelli di Ghosn, tuttavia, rimane altamente improbabile la liberta’ su cauzione, in base a quanto riferisce lo stesso avvocato difensore. Il giudice della Corte distrettuale di Tokyo ritiene che il rilascio potrebbe comportare l’occultamento delle prove e la possibilita’ che l’ex top manager lasci il Paese. Ghosn e’ accusato di illeciti finanziari per circa 80 milioni di dollari nel periodo tra il 2010 e il 2017, oltre a una serie di violazioni finanziarie a ridosso della crisi dei mercati nel 2009. La giustizia giapponese non prevede la presunzione di innocenza ma consente al pubblico ministero di proseguire negli incessanti interrogatori senza la partecipazione dell’avvocato, con la possibilita’ di continue proroghe della detenzione in base a nuove imputazioni. Una pratica ampiamente contestata dagli attivisti dei diritti umani, che adesso potrebbe produrre una seconda incriminazione, per abuso di ufficio, estendendo nuovamente il periodo detentivo oltre la scadenza dell’11 gennaio.

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Khamenei, le nazioni musulmane hanno un nemico comune

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Le nazioni musulmane hanno un “nemico comune” e devono “cingere una cintura di difesa” dall’Afghanistan allo Yemen e dall’Iran a Gaza e al Libano. Lo afferma il leader supremo iraniano Ali Khamenei mentre presiede le preghiere del venerdì in Iran per la prima volta in cinque anni. Lo riporta Sky News. La Guida Suprema ha aggiunto che l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, “è stato un atto legittimo, così come l’attacco dell’Iran al Paese questa settimana”. Il raid missilistico è la “punizione minima” per i crimini di Israele, ha affermato Khamenei.

“Il brillante attacco dell’Iran – ha affermato la Guida Suprema citato dalla TV di Stato – è stata la minima punizione per i crimini senza precedenti del regime lupesco e assetato di sangue che è il cane rabbioso degli Stati Uniti nella regione. L’Iran continuerà ad adempiere al suo dovere né con fretta né con ritardo. I nostri responsabili politici e militari agiranno con logica e saggezza”.

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Colombia: Mancuso si scusa con le sue vittime davanti a Petro

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Salvatore Mancuso, l’ex leader delle Autodifese unite della Colombia (Auc), il più sanguinario gruppo paramilitare mai esistito nel Paese sudamericano nominato ‘gestore della pace’ da Gustavo Petro, ha chiesto oggi “perdono” alle sue vittime in un atto pubblico a Montería, la capitale del dipartimento di Cordoba, a cui ha partecipato il presidente colombiano.

“Non sapevo allora quello che so adesso: che in guerra non ci sono vincitori, siamo tutti perdenti e siamo qui nonostante le differenze ideologiche e politiche”, ha dichiarato Mancuso. Davanti a centinaia di contadini e vittime, l’ex leader paramilitare ha aggiunto di assumersi “la responsabilità di tanto dolore, sofferenza e lacrime; dell’esproprio di terre, dell’umiliazione a cui siete stati sottoposti a causa degli ordini che ho dato agli uomini e alle donne che erano sotto il mio comando nelle Auc”. Mancuso ha chiuso l’atto pubblico, in cui sono stati consegnati 11.700 ettari di terre alle sue vittime, dichiarando: “Dal profondo del mio cuore vi chiedo perdono”.

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Kim Jong Un avverte: armi nucleari se Corea Nord venisse attaccata

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La Corea del Nord utilizzerà le armi atomiche “senza esitazione” in caso di attacco da parte della Corea del Sud o dei suoi alleati americani. E’ l’avvertimento lanciato da Kim Jong Un, come riferito dall’agenzia ufficiale Kcna. Pyongyang “utilizza senza esitazione tutti i mezzi offensivi a sua disposizione, comprese le armi nucleari” se “il nemico” ci attacca, ha sottolineato durante un’ispezione ad una base delle forze speciali. All’inizio della settimana Seul ha organizzato una parata militare ed il presidente Yoon Suk Yeol ha minacciato “la fine del regime nordcoreano” se Pyongyang avesse usato armi nucleari.

Alcune settimane fa il Nord aveva divulgato per la prima volta le immagini di un impianto di arricchimento dell’uranio, che mostravano il leader Kim in visita al sito mentre chiedeva più centrifughe per potenziare l’arsenale nucleare del paese. La Corea del Nord, che ha condotto il suo primo test nucleare nel 2006 ed è sotto una serie di sanzioni Onu per i suoi programmi di armi vietate, non aveva mai divulgato pubblicamente i dettagli del suo impianto di arricchimento dell’uranio prima.

Le relazioni con il Sud sono ai livelli punti più bassi da anni, con il Nord che ha recentemente annunciato lo spiegamento di 250 lanciamissili balistici al suo confine meridionale. Pyongyang ha designato Seul come suo “principale nemico” e si è dichiarata una potenza nucleare “irreversibile”. Kim, replicando alle affermazioni del presidente Yoon, lo ha definito un “burattino”. Le dichiarazioni di Kim hanno anche fatto riferimento all’alleanza del Sud con gli Stati Uniti, che sono il suo principale partner militare, con decine di migliaia di soldati statunitensi di stanza nel Paese.

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