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Nella variante Covid “Pirola” 40 mutazioni, 2 importanti

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Sintomi simili a un’influenza importante e “40 mutazioni che potrebbero aiutare il virus a eludere la risposta immunitaria”, di cui “due in particolare da monitorare perché potrebbero renderla più diffusibile”. Sono le caratteristiche della nuova variante Covid ‘Pirola’. Quello che uno studio italiano definisce il “ceppo più sorprendente dopo l’arrivo di Omicron” è stato individuato in 5 Paesi e tra questi non vi è per ora l’Italia, dove la risalita dei contagi è trainata da altre varianti. E, mentre aumenta la richiesta di tamponi in farmacia, da cardiologi e oncologi arriva la richiesta di una norma per isolare i positivi negli ospedali. Il primo caso della nuova variante, rapidamente posta sotto monitoraggio dall’Organizzazione mondiale della Sanità, è stato segnalato in Danimarca il 24 luglio. Successivamente è stata isolata in Sud Africa, Stati Uniti, Israele e Regno Unito, ma non ancora in Italia. “Diversamente da altre, manca un nesso epidemiologico tra i vari casi”, ovvero i casi non sembrano collegati tra loro e con il primo: a tracciare il quadro è un articolo pubblicato oggi sul Journal of Medical Virology, a cura di Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di statistica molecolare e di Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma, e di Fabio Scarpa, del Dipartimento di Scienze mediche dell’Università di Sassari.

“Finora – spiega Ciccozzi – sono state rilevate diverse nuove mutazioni se confrontate con il presunto antenato BA.2”. Tra di esse ve ne sono due da tenere sotto controllo sulla Spike, la proteina che svolge una funzione cruciale nelle infezioni e nella risposta immunitaria: una mutazione che richiama il ceppo originale di Wuhan (F486P) e un’altra che ricorda la variante Delta (P681R). “Sono necessari ulteriori dati per capire se Pirola sarà pericolosa o meno e se si tratti ancora di Omicron” ma non sembra caratterizzata dall’asintomaticità tipica di molte varianti Omicron”, chiarisce Ciccozzi. Dai pochi dati che abbiamo, precisa, i sintomi “somigliano a quelli di un’influenza con febbre a 38, forte raffreddore e mal di testa. La differenza rispetto all’influenza è che il Covid non si manifesta nella stagione fredda, ma durante tutto l’anno”. Come avvenuto per altre varianti “si diffonderà e probabilmente arriverà anche in Italia”. Ma l’aumento dei casi rilevato dalla Sorveglianza dell’Iss (passati da 5.919 dal 10 al 16 agosto a 11.606 dal 17 al 23 agosto) “non sono dovuti ancora a ‘Pirola’ ma ad altre varianti, la cui circolazione è favorita dai maggiori contatti sociali dell’estate”.

In particolare, cresce la variante Eris che al 6 agosto rappresentava il 32% dei sequenziamenti. L’aumento della trasmissibilità (con l’Rt passato da 1,1 a 1,23) e della positività al test (dal 6,5% al 9,2%) “trova riscontro in una maggiore richiesta di tamponi in farmacia e in una più alta incidenza del numero dei positivi tra chi esegue il test”, spiega il presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi), Andrea Mandelli. “In assenza di misure di contenimento dei contagi – prosegue Mandelli – è importante sensibilizzare i gruppi a rischio a vaccinarsi”. La risalita dei contagi preoccupa chi cura i fragili. Dopo lo stop all’obbligo di isolamento per i positivi al Sars-Cov-2, rileva la Federazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi (Foce), non c’è “nessuna indicazione sull’isolamento dei pazienti all’interno degli ospedali e in molti ormai – afferma Francesco Cognetti, presidente Foce – non vengono più effettuati i tamponi. Una lacuna molto grave, chiediamo un provvedimento ad hoc”. Ma secondo la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (Fiaso) “non serve una norma – spiega il presidente Giovanni Migliore – riteniamo che ogni direttore sanitario abbia le competenze per capire come sia meglio agire in base alle caratteristiche della singola struttura. Però è importante tenere sotto controllo i ricoveri per Covid. Per questo, da settembre, riprenderemo il monitoraggio attraverso gli ospedali sentinella”.

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Frena la salita dei contagi Covid, nodo positivi a scuola

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Prima frenata della crescita dei nuovi casi di Covid-19 in Italia dopo 5 settimane. I contagi sono infatti aumentati del 17% in sette giorni rispetto al +44% della settimana precedente. Un dato positivo, sia pure da considerare con cautela, che emerge dall’ultimo monitoraggio settimanale del ministero della Salute, e che si accompagna all’andamento dei ricoveri che è ad oggi sotto controllo, non registrandosi alcuna pressione sulle strutture ospedaliere. Un quadro rassicurante, dunque, ma che lascia sul tavolo alcuni nodi da chiarire, a partire dalla gestione dei soggetti positivi a scuola. Una circolare del ministero è attesa a breve, ma intanto il ministro Orazio Schillaci traccia la linea indicando che la priorità è quella di proteggere i più fragili e, quindi, i bambini positivi sintomatici è bene che restino a casa.

L’andamento epidemiologico è fotografato dal monitoraggio settimanale: i contagi salgono leggermente facendo registrare 36.081 casi nel periodo 14-20 settembre con una crescita del 17,3% sulla settimana precedente, quando si era registrato un balzo a 30.777 casi con un aumento del 44% sul periodo precedente. L’incidenza, calcolata su casi notificati dal giovedì al mercoledì, è di 61 per 100mila abitanti contro 52 del monitoraggio precedente. L’indice di trasmissibilità (Rt) al 12 settembre è pari a 1,08, in leggera diminuzione rispetto alla settimana precedente ma ancora sopra la soglia epidemica. I deceduti sono 117 (+18,2%) ed i tamponi effettuati sono stati 232.664 (+12,5%), con un tasso di positività al 15,5% (+0,6%). Ma il dato ritenuto più indicativo è appunto quello dell’occupazione ospedaliera che, al momenmto, non desta preoccupazione: i tassi di malattia grave (ricovero, ricovero in terapia intensiva e decesso), rileva il monitoraggio, sono infatti stabili o in lieve diminuzione in tutte le fasce d’età e nonostante un ulteriore lieve aumento, l’incidenza di nuovi casi Covid in Italia “si mantiene bassa” e “l’impatto sugli ospedali resta limitato”. In particolare, l’occupazione dei posti letto in area medica al 20 settembre risulta al 4,1% contro il 3,8% del 13 settembre per un totale di 2.533 ricoverati.

L’Emilia Romagna è in testa con 466 posti letto occupati in area medica, seguita dal Veneto con 236, la Toscana con 204, la Lombardia con 196, il Piemonte con 195 e il Lazio con 191. In Terapia Intensiva l’occupazione al 20 settembre è invece dell’1% dallo 0,9% del 13 settembre, con 91 ricoverati su un totale di 8.861 posti letto. In testa la Calabria con 12 ricoveri seguita, con 11, da Emilia Romagna e Lazio. I dati della settimana, spiega il direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Francesco Vaia, “vanno nella direzione di un rallentamento dell’incidenza dei nuovi casi e, cosa che interessa di più, resta molto limitato l’impatto sugli ospedali”. Inoltre, i dati ad oggi disponibili mostrano che i vaccini di nuova formulazione, basati su XBB.1.5, presentano una buona risposta anche contro EG.5.1 (Eris), il sotto-lignaggio dominante.

In questo contesto, e con la campagna vaccinale ormai alle porte, ribadisce Schillaci in un’intervista al Corriere della Sera, la “priorità è proteggere i fragili”. Per questo, rispetto alla frequenza scolastica, chiarisce, “stiamo studiando delle raccomandazioni che permettano di andare a scuola tranquillamente, senza ritornare alle misure restrittive di una volta, non più necessarie. Stiamo lavorando per arrivare a un documento congiunto che contenga queste raccomandazioni”. In ogni caso, è la linea del ministro, “i pazienti e bambini sintomatici devono stare a casa, come per qualsiasi malattia respiratoria contagiosa, il tempo necessario perché la positività venga meno; sono contagiosi soprattutto nei primi cinque giorni. Quello che stiamo ancora valutando è il comportamento di fronte a positivi asintomatici. Stiamo valutando se – conclude – adottare raccomandazioni in base al contesto, cioè in base alla presenza di soggetti fragili, o in assoluto”.

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Covid: non si torna indietro, niente isolamento positivi

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Curve Covid stabili. Verso l'estate senza mascherine

Nessun ritorno al passato. Sul Covid-19 si è aperta una pagina nuova e, almeno al momento, un ripristino della misura dell’isolamento per i soggetti positivi non è in agenda. Il direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute, Francesco Vaia, esclude la possibilità che la norma restrittiva venga riconsiderata. Questo in virtù del fatto che la malattia da Covid è cambiata, nonostante il nuovo aumento dei casi delle ultime settimane. Ma se la tenuta degli ospedali non desta preoccupazione, con i ricoveri che sono sotto il livello di allerta, in discussione resta tuttavia in questi giorni la questione spinosa della definizione dei casi Covid ai fini delle eventuali certificazioni mediche.

Procede dunque serrato, in queste ore, il confronto tra ministero della Salute, gli altri ministeri interessati e le Regioni per arrivare a sciogliere i vari nodi sul tavolo, a partire dai certificati di malattia. E indicazioni ulteriori sono attese anche rispetto alla scuola. In merito all’attività didattica, il ministro Orazio Schillaci si è già pronunciato chiaramente nei giorni scorsi: “I ragazzi sono quelli che hanno sofferto di più durante il lockdown. È giusto che continuino ad andare a scuola”, ha detto, ricordando il tavolo istituito al ministero della Salute insieme al ministero dell’Istruzione per definire i modelli di comportamento per questa categoria. La priorità, dunque, è assicurare la frequenza in presenza. A creare perplessità è però la questione degli eventuali positivi asintomatici, per i quali attualmente non è prevista la malattia retribuita. Su questo punto, l’orientamento indicato da Vaia è che “oggi non possiamo reintrodurre l’isolamento, ma insieme agli altri ministeri si deve stabilire che tipo di malattia Covid abbiamo davanti ora e serve un percorso interdisciplinare”.

C’è, ha sottolineato, “un problema medico legale che va risolto, al di là delle competenze del ministero della Salute”. Dopo la fine dell’isolamento per decreto, ed in seguito alla fine della emergenza pandemica determinata dall’Oms, ha chiarito, “abbiamo bisogno di definire anche da un punto di vista medico legale cos’è oggi il Covid: lo parametriamo all’influenza e alle altre malattie infettive? Bene, ma su questo c’è bisogno di un dialogo interdisciplinare tra più ministeri”. La questione dei certificati di malattia per l’assenza dal lavoro per i pazienti asintomatici, ha rilevato anche la Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), è legata a come debba essere valutata ai fini dell’assenza sul lavoro la semplice positività.

A tal proposito, secondo la Fnomceo, in ospedale e nelle Rsa sarebbe opportuno adottare delle procedure chiare sull’isolamento dei pazienti positivi e sulla opportunità di far lavorare gli operatori sanitari risultati positivi. Infatti, è la posizione dei medici di famiglia Fimmg, con l’aumento dei contagi, l’impossibilità di assentarsi dal lavoro anche in presenza di una positività al tampone rischia di fare da volano alla pandemia, soprattutto per alcune categorie di lavoratori. Invita a non sottovalutare la situazione anche il sindacato degli infermieri Nursing-up e gli ultimi dati del monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe indicano come in 4 settimane i contagi in Italia siano saliti da 5.889 a 30.777, i ricoveri in area medica siano più che triplicati, da 697 a 2.378, e ci sia un incremento dei decessi, da 44 a 99.

Il virus ha insomma rialzato la testa, pur non facendo registrare valori assoluti elevati. Schillaci, da parte sua, ha di recente ribadito che non c’è alcun allarme: “I numeri sono aumentati, ma è un dato in linea con le nostre aspettative. Siamo tranquilli, non c’è allarme. I dati che più ci interessano sono quelli delle persone che si ricoverano e, ancora di più, quelli delle persone che finiscono in terapia intensiva. Questi dati sono trascurabili, quindi siamo sereni e fiduciosi”.

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Covid:Tar conferma ordinanza ministero su mascherine in ospedali

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Nessuna sospensione cautelare dell’Ordinanza con la quale il ministero della Salute nell’aprile scorso, in tema di misure per il contenimento e la gestione dell’epidemia da Covid-19, ha imposto ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture sanitarie pubbliche e private l’utilizzo delle mascherine all’interno dei reparti che ospitano pazienti fragili, anziani o immunodepressi. Delegando alla discrezione delle direzioni sanitarie la decisione sull’utilizzo anche in altri reparti, e ai medici di medicina generale e pediatri l’utilizzo nei propri studi e ambulatori.

L’ha deciso il Tar del Lazio con un’ordinanza con la quale ha respinto una richiesta avanzata dall’Associazione Avvocati Liberi-United Lawyers for Freedom. Secondo l’associazione ricorrente, tra l’altro, “il potere di imporre un trattamento sanitario con dispositivi di protezione o con prelievi corporei” non atterrebbe alla discrezionalità del Ministro, bensì afferirebbe alla scelta del Legislatore.

Il Tar, considerato che “ai fini dell’accoglimento dell’istanza cautelare è necessaria la sussistenza sia del fumus che del periculum”, ha ritenuto che “a un primo esame proprio della presente fase, appare sussistere il profilo del fumus in quanto l’ordinanza in esame non sembra assistita dal requisito dell’urgenza e non è suffragata da un’istruttoria e una motivazione adeguate”; tuttavia “non è comprovata la sussistenza del periculum, posto che parte ricorrente non ha individuato specificatamente il pregiudizio grave ed irreparabile ma si è limitata a dedurre genericamente un ipotetico eventuale e generico ‘danno alla salute'”.

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