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Nel giorno del ricordo del dottor Borsellino, ergastolo a Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92

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Dopo 4 ore di camera di consiglio la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta ha confermato la condanna all’ergastolo del boss Matteo Messina Denaro. Per i giudici, partecipò al piano stragista ordito da Cosa nostra ed è quindi responsabile degli attentati del ’92. Un verdetto – è il primo che infligge il carcere a vita al padrino dopo l’arresto – che cade in un giorno particolare: quello del 31esimo anniversario dell’eccidio di Via D’Amelio costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. La Procura generale che ha rappresentato l’accusa è tutta presente in aula. C’è il procuratore generale Antonino Patti, ci sono i sostituti Fabiola Furnari e Gaetano Bono. Ha, invece, disertato l’udienza, ancora una volta, l’imputato, che ha scelto di non collegarsi in videoconferenza dal carcere de l’Aquila in cui è detenuto. Una decisione forse legata alla malattia di cui soffre ma che non gli impedisce di seguire seppure indirettamente le sue vicende processuali, come dimostra il telegramma di congratulazioni inviato, dopo l’arringa, alla sua legale d’ufficio, l’avvocata Adriana Vella.

Nel telegramma Messina Denaro ha chiesto alla Vella la disponibilità ad avere un colloquio telefonico che poi non si è svolto. La comunicazione inviata dal capomafia si chiudeva con “Buona vita – Del poco che so mi è piaciuta la sua arringa”. “Questo processo accerta, secondo noi in maniera solida, che Matteo Messina Denaro nella veste di reggente della famiglia mafiosa di Trapani, ha partecipato alla commissione regionale e ha ordito assieme a Totò Riina e agli altri l’inizio e il proseguimento della stagione stragista. E’ una sentenza che chiude il cerchio, per come ci aspettavamo del resto, dopo la condanna del boss per la partecipazione a tutti gli episodi stragisti del continente”, ha commentato Patti.

“Il fatto che il verdetto arrivi oggi nel giorno della commemorazione della strage di via D’Amelio è importante perché non bisogna mai dimenticare i fatti del ’92. – ha aggiunto il magistrato – Oggi sicuramente viviamo in una situazione più serena da questo punto di vista ma mai dimenticare il dramma di quegli anni.” Pacato il commento della legale del boss. “E’ una sentenza che è stata pronunciata in nome del popolo Italiano e come tale va rispettata. Fermo restando la possibilità, prevista dal nostro ordinamento, di poterla impugnare”, ha detto, pur dicendosi convinta che non ci siano “elementi sufficienti per ritenere confermata la responsabilità di Matteo Messina Denaro in ordine alla deliberazione del piano stragista che comprende anche le stragi di Capaci e via D’Amelio”. Assenti alla lettura del dispositivo i figli di Borsellino, costituti però parte civile.

Per loro parla il legale, Fabio Trizzino, marito di Lucia. “Questa decisione – ha detto – è arrivata proprio il 19 luglio, che è una coincidenza, ma è anche un modo per riconciliarsi con le istituzioni che noi non abbiamo mai in nessun modo avversato o attaccato”. “Semmai – ha concluso – è la dimostrazione che la nostra fiducia verso le istituzioni nonostante i depistaggi, gli errori, è rimasta intatta. Perché noi sentiamo forte la testimonianza in vita di Borsellino”.

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Strangolata in casa, il compagno ha confessato

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“Si, sono stato io, ho ucciso Sabrina”. Ai pm di Pavia e Cremona è bastata questa ammissione e un disordinato ragionamento sul movente per risolvere, a ora, il caso dell’omicidio di Sabrina Baldini Paleni, 56 anni, operatrice sanitaria in una Rsa del Lodigiano, strozzata in casa a Chignolo Po (Pavia) dal compagno, Franco Pettineo, 52 anni, autista e fratello del precedente marito di Sabrina. Pettineo l’ha uccisa, strozzandola mentre lei cercava di difendersi, tanto che l’uomo aveva dei graffi in faccia e sul corpo. Poi la fuga dell’omicida, apparentemente sconclusionata.

Prima della scoperta del corpo di Sabrina da parte della figlia, arrivata in casa la mattina di ieri con i carabinieri, l’uomo, a bordo della sua Dacia nera aveva cominciato a dirigersi verso il Milanese. Era stato visto uscire di casa alle 8 e 30 da un testimone e i carabinieri di Pavia l’hanno individuato con il sistema targhe (il cellulare era rimasto in casa) una prima volta ancora in provincia di Milano; ma il rilevamento era delle 9 e 30, di due ore prima, avvistamento quindi inutile. Poi un buco di alcune ore durante le quali Pettineo deve essere stato in una zona appartata, forse meditando di farla finita. L’alert definitivo è scattato nel primo pomeriggio nel Cremonese, a Pandino.

Qui i carabinieri lo hanno fermato e lui non ha opposto resistenza; li ha seguiti docilmente, senza dire una sola parola. In caserma interrogato a lungo dai pm di Pavia Valeria Biscottini e di Cremona Andrea Fignoni è crollato: “Sono stato io”. E’ stato fermato per omicidio aggravato dalle relazioni personali e portato in carcere. Lunedì, davanti al gip entrerà probabilmente nel dettaglio del movente della lite sfociata nel femminicidio che sembra da ricondursi a una tensione familiare costante per una decina d’anni ed esplosa nella serata di giovedì. Alle forze dell’ordine non risultano episodi violenti che Sabrina abbia denunciato o meno, né i vicini di casa hanno mai sentito urla o rumori tali da far intervenire i carabinieri che hanno una stazione a Chignolo Po. Difficilmente, in un paese di 4mila abitanti non sarebbero venuti a conoscenza di situazioni pericolose. E ancor più nella frazione Lambrinia, dove abitano solo alcune centinaia di persone in strade silenziose vicino al fiume Lambro.

La procura di Cremona, diretta da Silvio Bonfigli, dopo la convalida del fermo, che appare scontata come la misura del carcere, trasmetterà gli atti a quella di Pavia, competente a indagare sull’omicidio. Che la situazione nella coppia fosse tesa, e non da poco, sembrano suggerirlo le parole che la figlia di Sabrina, Selene, avuta dal matrimonio finito, lascia su Instagram, con allegata la testimonianza di una vicina di casa la quale sostiene che la donna avrebbe avuto intenzione da tempo di lasciare il compagno. “”Addio angelo mio, ciao mamma, faremo di tutto per farti aver giustizia. Tu non meritavi questo – scrive la giovane sui social – io, mio fratello, tuo genero, la sua famiglia, che ormai consideravi la nostra, faremo di tutto per fargli aver quello che si merita”. “Noi ti proteggeremo, tu proteggici da lassù. Non verrai mai dimenticata. La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci e dei vigliacchi e tu – dice riferendosi evidentemente all’assassino della madre – non hai vinto, non hai spento quella luce”.

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‘Non solo clima, tagli alberi alzano rischi alluvioni’

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Non è solo il cambiamento climatico a causare le eccezionali perturbazioni degli ultimi anni, ma pure azioni non corrette – come l’eccessivo consumo di suolo in pianura e la mancanza di presidio e manutenzione a monte. L’abbandono dei boschi o il taglio di alberi eccessivo in collina e montagna -, possono contribuire in maniera decisiva ad aumentare i rischi sui versanti per erosione o frane e lungo i corsi d’acqua verso valle in occasione di piogge intense e durature come quelle di questi giorni. Lo sottolinea il professor Federico Preti, presidente nazionale dell’Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica e docente di Idraulica dell’Università di Firenze riguardo al rinnovato rischio di alluvioni in Toscana con l’ultimo maltempo.

“Ci risiamo: in Toscana continuano a esondare i corsi d’acqua”, spiega Preti secondo il quale, ad esempio, “tagliare troppo e male la vegetazione ripariale può addirittura aumentare il rischio a valle” sia per “frane che sono più frequenti nei versanti non più gestiti negli ultimi decenni, rispetto a quelli ancora mantenuti o boscati” sia per la capacità di “trattenimento e rallentamento delle acque” che gli alberi garantiscono nei tratti a monte dei corsi d’acqua. “La strada oggi – suggerisce – è piuttosto quella di rinaturalizzare il territorio e pianificare interventi strutturali e non strutturali (come anche delocalizzazioni di edifici) a medio e lungo termine”.

Preti sostiene che “è stato di recente confermato che solo per la perdita di trattenuta e rallentamento nel reticolo idraulico minore e nei terrazzamenti sui versanti (cassa di espansione-laminazione equivalente diffusa), la pericolosità è aumentata intorno al 20-30%, e considerando anche gli effetti del cambio climatico, fino a oltre il 50%” dato che “gli eventi critici ora hanno una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno minore”.

“Oggi ci servirebbero 3 miliardi di euro all’anno da spendere per mitigare il rischio in Italia, a fronte di circa il triplo speso ogni anno per ricostruire dopo le catastrofi”, prosegue il docente, ma “possiamo mitigare l’aumento di rischio idrogeologico, compensando gli effetti del consumo di suolo e del cambio climatico con la prevenzione tramite soluzioni basate sulla natura, ovvero realizzando interventi innovativi di Ingegneria Naturalistica con investimenti 10 volte inferiori a quelli per la ricostruzione in emergenza post eventi catastrofici”. Con “interventi diffusi a monte” di gestione corretta di boschi e realizzazione di opere vive “possiamo avere ulteriori vantaggi – afferma – come ad esempio trattenere e rallentare l’acqua, cosa che garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento delle falde”.

Invece “il cambiamento di uso del suolo e la minore manutenzione dei nostri bacini idrografici, oltre agli effetti del cambio climatico, hanno portato oggi ad un rischio notevolmente maggiore”, “il consumo di suolo che ha enormemente aumentato la vulnerabilità e l’esposizione di beni e persone al danno e abbiamo un rischio che è cresciuto in maniera ormai insostenibile”.

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‘Impronte e tappetino’, al via le nuove analisi su Sempio

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“Sono stato consulente per l’accusa nell’omicidio sul caso Rostagno in cui si sono ottenuti dati sul Dna analizzando un oggetto toccato dall’indagato 27 anni prima”. Così Francesco De Stefano, perito nell’appello bis sul caso Garlasco che portò alla condanna a 16 anni per Alberto Stasi, spiegò ai pm di Pavia, che 8 anni fa archiviarono il primo fascicolo su Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi, perché quelle tracce biologiche trovate su unghie e dita della studentessa potevano arrivare da un contatto “mediato” con la tastiera del pc nella villetta, usata dal 19enne per giocare ai videogiochi con Marco. La tastiera e il mouse di quel computer, che i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, nelle indagini riaperte a Pavia, stanno cercando con poche speranze, sono solo due degli oggetti presi in considerazione dagli inquirenti in questa sorta di “caccia al tesoro”, per rianalizzare ciò che si è salvato dei vecchi reperti. Perché il Dna prelevato a Sempio andrà comparato, come indicato dal gip e richiesto dall’aggiunto Stefano Civardi e dalla pm Valentina De Stefano, con tutte le “ulteriori tracce di natura biologica rinvenute sulla scena del crimine”, con quello che resta anche solo a livello documentale. E ciò darà il via, in sostanza, ad un confronto serrato tra consulenti.

Per prima cosa, a inizio settimana la Procura conferirà l’incarico, verosimilmente a Carlo Previderè, gentista del caso Yara, per l’accertamento irripetibile su estrazione e match del Dna con gli esiti sul materiale rinvenuto su Chiara Poggi. Poi, dopo aver già effettuato una propria consulenza sulla comparazione tra i profili genetici dopo “l’impulso” della difesa Stasi, gli inquirenti disporranno pure un altro accertamento per dimostrare che quell’ormai nota impronta di scarpe, con suole a pallini, può riferirsi anche ad un numero maggiore del 42, che indossava Alberto, fino al 44 che calzava Sempio. Si cercano anche dei mozziconi di sigaretta, che vennero fotografati in un posacenere della casa ma mai repertati probabilmente, come si punta sugli esiti di un traccia biologica rintracciata sul tappetino del bagno e su tutte le varie impronte. La fascette adesive utilizzate per rilevarle sono state recuperate e andranno rivalutate pure le verifiche dell’epoca su alcuni capelli. Proseguiranno le audizioni dei testimoni, compresi i genitori di Chiara, tutti già sentiti in questi 18 anni più volte, come Marco Poggi e i suoi amici, ascoltati ancora nei giorni scorsi. Sempio, pronto semmai anche a farsi interrogare, è più “preoccupato per l’incubo che sta rivivendo” la famiglia Poggi che per se stesso, mentre il fratello di Chiara cerca di dargli “conforto”. Stasi dal carcere spera che la sua responsabilità, accertata dalla Cassazione nel 2015, possa essere spazzata via dalla nuova inchiesta e con una successiva richiesta di revisione del processo.

Da valutare, oltre agli “elementi nuovi” che la Procura guidata da Fabio Napoleone è convinta di avere in mano, c’è anche quell’alibi dello scontrino del parcheggio di Vigevano, che per i vecchi pm reggeva, così come le giustificazioni sulle tre chiamate partite dal cellulare di Sempio verso casa Poggi, il 4, il 7 e l’8 agosto, quando Marco e i genitori erano già in vacanza dal 5 agosto. Stando alle nuove indagini, inoltre, il pc della villetta non venne più acceso dal 10 agosto, ovvero la ragazza per tre giorni almeno, prima di essere uccisa, non venne più a contatto con la tastiera. E, dunque, quello trovato, per i pm, potrebbe essere il Dna dell’aggressore. Il perito De Stefano disse, invece, che era più “verosimile” sostenere un “trasferimento” mediato, da “oggetto a persona”, anche per il “quantitativo esiguo” e per la “discontinua distribuzione del Dna sulle dita”. Insomma, sarà una lunga battaglia che segnerà ancora il destino di molte persone, legate ad una morte atroce e ad un caso giudiziario che pare infinito.

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