Fa un passo avanti l’inchiesta della Procura di Napoli su una presunta corruzione internazionale che vede tra gli indagati l’ex ad di Leonardo Alessandro Profumo e l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema. La Digos di Napoli, su delega della sezione reati economici della procura, ha eseguito una serie di perquisizioni negli uffici, nelle abitazioni e sui dispostivi informatici di D’Alema e Profumo, di Giuseppe Giordo, ex direttore generale della divisione Navi di Fincantieri e di Gherardo Gardo, che è stato il contabile di D’Alema.
Tutto ruota attorno a presunti illeciti legati a due compravendite alla Colombia di aerei M346 e di corvette e sommergibili prodotti da società italiane con partecipazione pubblica, come appunto Leonardo e Fincantieri. Nell’indagine sarebbero coinvolte otto persone in tutto. La corruzione viene contestata in forma ‘aggravata’ in quanto il reato sarebbe stato commesso, secondo l’accusa, con il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato transnazionale attivo tra Italia, Usa, Colombia e anche in altri Stati. I fatti contestati, accertati a Napoli, dalla terza sezione della Procura partenopea risalgono a una data prossima al 27 gennaio 2022.
La commessa al centro dell’inchiesta, da 4 miliardi di euro, avrebbe consentito – questa è l’ipotesi accusatoria – di far intascare agli indagati una importante somma di denaro, 80 milioni (40 per ciascuna delle due commesse), da suddividere tra la cosiddetta componente italiana, composta dagli otto indagati a Napoli, e una componente colombiana di cui farebbero parte anche importanti personaggi politici tra i quali il ministro degli esteri e vice presidente Marta Lucia Ramirez. Gli inquirenti ritengono che Massimo D’Alema avrebbe svolto il ruolo di mediatore informale con i vertici delle società italiane, ossia Profumo (in qualità di amministratore delegato di Leonardo) e Giuseppe Giordo (direttore generale della Divisione Navi Militari di Fincantieri).
La “mazzetta” da 80 milioni di euro, sempre secondo gli investigatori, doveva essere suddivisa al 50% tra la parte italiana e quella colombiana e a occuparsi della spartizione sarebbe dovuto essere uno studio legale statunitense, il “Robert Allen Law” di Miami, in Florida (USA). Ma, secondo le indagini della Polizia, l’affare salta a causa dei dissidi sorti proprio in relazione alla spartizione. A segnalare i professionisti americani, secondo la Procura e la Digos di Napoli, sarebbe stato l’ex premier. “Il presidente D’Alema ha fornito la massima collaborazione all’autorità giudiziaria. Siamo certi che sarà dimostrata la più assoluta infondatezza dell’ipotesi di reato a suo carico”, ha commentato l’avvocato Gianluca Luongo, il suo legale. Di “costruzione giuridica assolutamente ardita” parla invece l’avvocato Cesare Placanica, difensore di Giordo.
Per quanto riguarda Profumo, nè lui nè il suo avvocato hanno fatto dichiarazioni, ma il 6 aprile dell’anno scorso, proprio intervenendo sull’inchiesta partenopea davanti alla Commissione Difesa del Senato, l’ad volle specificare che D’Alema non ha mai avuto “alcun mandato formale o informale a trattare per conto di Leonardo” la vendita di aerei M346 Fighter Attack alla Colombia. Gli altri quattro indagati, non coinvolti nelle perquisizioni di oggi, sono Francesco Amato ed Emanuele Caruso (nella veste di consulenti per la cooperazione internazionale del Ministero degli Esteri della Colombia); Giancarlo Mazzotta, che avrebbe fatto da trait d’union tra Amato, Caruso e D’Alema, e Umberto Bonavita che, insieme con Gardo, si sarebbe occupato della trattativa per la suddivisione della presunta maxi “mazzetta” da 80 milioni di euro. “Io non godo delle disgrazie altrui e delle inchieste altrui”, è il commento del ministro Matteo Salvini. “Però non conosco gli atti. Non gioisco, mentre a sinistra gioiscono quando qualcuno è indagato o perquisito, io no. Spero che venga fatta chiarezza”, conclude il leader della Lega.