Il terremoto F-16 si è abbattuto sul Consiglio Difesa a Bruxelles. L’ok di Joe Biden alla possibile fornitura a Kiev dei caccia made in Usa di quarta generazione – che Volodymyr Zelensky chiede dall’inizio del conflitto – ha infatti innescato la danza tra falchi e colombe, sia in seno all’Unione Europea che alla Nato. Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, lo ha definito “un passo importante” che servirà anche a dare “un messaggio chiaro” a Mosca: ci saremo fino alla fine, il fattore tempo “non ci logorerà”. L’alto rappresentante per la Politica estera Ue, Josep Borrell, arrivando al Consiglio ha forse compiuto il passo più lungo della gamba e ha annunciato che alcuni Paesi, “come la Polonia”, stanno già addestrando i piloti ucraini all’uso degli F-16. L’affermazione ha prima trovato conferme da fonti anonime polacche citate da alcuni media e poi è stata smentita dal ministro della Difesa, Mariusz Blaszczak: “Siamo pronti a farlo ma non abbiamo ancora iniziato, ho proposto alla missione militare dell’Ue condotta sul territorio polacco di aderire a questo programma”. Al di là della gaffe, è chiaro che la coalizione dei jet sta prendendo forma e anche in modo abbastanza spedito.
L’Olanda – che ha 18 F-16 in pronta consegna e altri 24 disponibili a metà 2024 – si è posta come la capofila, dicendo chiaramente per bocca della ministra Kajsa Ollongren di essere aperta a iniziare “quanto prima”, previa la finalizzazione degli accordi con gli altri alleati del gruppo. Ovvero Belgio, Danimarca e Regno Unito. Londra però non possiede F-16 e dunque contribuirà in altro modo. Il prossimo passo sarà poi la consegna effettiva dei velivoli. Ecco, sui tempi nessuno si sbilancia, perché la catena del valore legata agli F-16 è complessa, così come il programma di addestramento. “Nessuno può dire quanto a lungo continuerà la guerra e se pure gli F-16 dovessero arrivare a conflitto terminato sarebbe comunque un buon investimento per la sicurezza dell’Ucraina”, ha sottolineato Ollongren. E dunque – questo è il pensiero dei falchi – dell’intera Alleanza. Altri Paesi europei, non è un mistero, sono più cauti. Gli stessi Usa hanno indicato di non aver ancora deciso se forniranno, e quando, i loro F-16. Anche perché, rispetto alle esigenze attuali del campo di battaglia, ci sono altre priorità. Una su tutte, le munizioni. Il piano Ue, su questo fronte, inizia finalmente a dispiegare le ali. Ad oggi, stando ai dati in possesso del Servizio di Azione Esterna, sono stati consegnati a Kiev 1.300 missili e 220.000 proiettili di artiglieria di vario calibro – “i numeri saliranno ancora da qui a luglio, quando avremo il quadro completo”, assicura un alto funzionario europeo.
L’obiettivo di fornire un milione di munizioni entro marzo 2024 è dunque considerato “realistico”. Aiutare l’Ucraina “a piccole dosi”, ha ammonito Borrell, servirebbe solo “a prolungare la guerra”, quindi è necessario muoversi in modo “decisivo” e i ministri Ue sono “disposti a farlo”. Ma per continuare ad armare Kiev, perlomeno nel quadro del programma europeo, serve rimpinguare lo European Peace Facility, di nuovo a secco (in tutto gli Stati membri hanno versato circa 8 miliardi). La prossima tranche sarà di 3,5 miliardi, di cui 1 dedicato all’Ucraina e 2,5 riservati al resto del mondo. O meglio, questa è la proposta. Ora inizia l’inevitabile processo negoziale made in Europe.