La guerra in Ucraina potrebbe essere giunta ad un bivio decisivo. E i prossimi mesi potrebbero essere importanti in un senso o in un altro. Questo è uno dei principali ‘effetti collaterali’ delle elezioni russe con il ‘plebiscito’ per Putin e con le aspre critiche dell’Europa e degli Usa che considerano non libero e non democratico questo esercizio di voto. Ma il risultato mette Putin esattamente nella posizione che lui cercava: il consenso popolare ottenuto in elezioni non libere, con gli oppositori come Navalny che muoiono in prigione, viene raccontato dal Cremlino come un nuovo e rafforzato via libera all’ ‘operazione speciale’ in Ucraina dove sul terreno la situazione sta diventando favorevole all’esercito russo.
La narrazione nazionalistica di Putin sulla guerra viene rafforzata, nell’ottica del Cremlino, dalla percentuale dell’88 per cento di voti anche se in pochi in Occidente credono a queste elezioni. Basta vedere l’elenco dei Paesi che hanno mandato messaggi ufficiali di congratulazioni al leader russo: Cina, Corea del Nord, Siria, Iran, Turchia e così via. Insomma, il club delle autocrazie. In questo elenco risulta ambigua la presenza dell’India, la più grande democrazia del mondo e uno dei leader del Sud globale, che continua a muoversi in quella zona grigia tra l’Occidente e il gruppo delle autocrazie. Putin adesso può continuare a portare avanti la sua strategia in Ucraina. Lo potrebbe fare con calma, se volesse. Il tempo lavora a suo favore, in attesa che il 5 novembre si conosca il nome dell’inquilino della Casa Bianca per i prossimi anni.
E l’eventuale ritorno di Trump cambierebbe le carte in tavola anche nella guerra in Ucraina. Ma in realtà i movimenti sul terreno lasciano intravedere una nuova possibilità per i russi. Tra qualche settimana il fango di fine inverno lascerà il posto al terreno asciutto della primavera e gli analisti hanno osservato l’arrivo di nuove truppe ai confini così come accadde prima del 24 febbraio di due anni fa. Questo, mentre le difficoltà ucraine appaiono sempre più evidenti. A Kiev non sono contenti dell’atteggiamento occidentale. Ue e Usa in piena campagna elettorale (in Europa si voterà all’inizio di giugno per l’Europarlamento) sembrano distratte agli occhi degli ucraini. A Washington il braccio di ferro tra Repubblicani e Democratici sugli aiuti militari a Kiev è in pieno stallo e le truppe ucraine sul terreno se ne accorgono guardando i magazzini di munizioni sempre più vuoti.
In Europa le sensibilità diverse fra i 27 sono evidenti e la costruzione di una vera identità di difesa europea fa fatica a procedere speditamente. Eppure, questo sarebbe il momento giusto e decisivo per un vero colpo di reni da parte dell’Europa. Il momento per trovare coesione e unità di intenti in questa curva della Storia. Abbiamo perso la certezza della fornitura di energia russa e quella dei commerci sicuri con la Cina. Adesso stiamo perdendo l’ombrello della sicurezza americana. Biden lo ha già chiarito più di una volta: l’Europa deve fare di più.
Trump ha già minacciato di abbandonarci al nostro destino e nelle mani di Putin. Per questo è importante che l’Europa continui nel suo appoggio a Kiev e che costruisca, in tempi veloci, le basi per una futura difesa europea. Non per fare la guerra, ma per avere la giusta deterrenza di fronte alla minacce esterne e il braccio di una politica estera comune: si vis pacem para bellum. In Ucraina non sono in gioco soltanto la sovranità e l’integrità territoriale del Paese violate da Putin ma anche i valori e i principi e sui quali è fondata l’Ue. A cominciare dalla pace e dalla democrazia. Nel futuro prossimo si potrebbe decidere il destino di Kiev. Ma anche quello dell’Europa.