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Cronache

Napoli, rissa tra baby gang e accoltellamento in piazza Vanvitelli: il Questore chiude un bar. L’avvocato Pisani: “Provvedimento sproporzionato, faremo ricorso”

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Una rissa tra adolescenti, coltelli, feriti, panico in piazza Vanvitelli. È accaduto nella notte tra il 15 e il 16 marzo, nel cuore del Vomero. Due ragazzi sono finiti in ospedale, uno dei quali con ferite da arma bianca. La polizia ha identificato e denunciato tre giovani, tutti tra i 18 e i 19 anni, per rissa aggravata.

Ma a pagare le conseguenze non sono solo i protagonisti dei fatti, bensì anche l’esercizio commerciale “Saint Honoré”, un bar situato al civico 16 della piazza. Il Questore di Napoli ha disposto la chiusura del locale per 20 giorni. Secondo il provvedimento, la rissa sarebbe avvenuta nei pressi dell’area esterna attrezzata, il cosiddetto dehors, del bar. Dalle immagini di videosorveglianza acquisite dagli agenti, uno dei partecipanti alla rissa sarebbe uscito dal locale e avrebbe estratto dalla tasca quella che viene definita “verosimilmente un’arma bianca”.

Il decreto di sospensione si basa sull’articolo 100 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), che consente la chiusura temporanea dei locali in presenza di episodi che turbino l’ordine pubblico, anche in assenza di responsabilità penale diretta del gestore.

Pisani: “Si punisce chi paga le tasse e collabora con lo Stato”

Sul provvedimento adottato e sulla norma che lo consente, abbiamo raccolto il parere dell’avvocato Angelo Pisani, presidente di NoiConsumatori.it.

Avvocato Pisani, come giudica la decisione della Questura?
È un provvedimento profondamente ingiusto e sproporzionato. Ancora una volta la burocrazia colpisce alle spalle vittime innocenti, senza punire i veri responsabili dell’illegalità. In questo modo non si dà neppure un buon esempio: si scoraggia chi rispetta le regole.

Dura lex, sed lex…
La legge va rispettata, certo. Ma rispettarla non vuol dire accettarne in silenzio l’applicazione meccanica, quando si rivela ingiusta. Ancora una volta, sulla base di norme applicate senza la dovuta sensibilità e senza un accertamento approfondito, si punisce un’impresa, il suo titolare, i dipendenti e i clienti che non hanno alcuna responsabilità per una rissa scoppiata all’esterno del locale. Una rissa tra ragazzini che si conoscevano già e avevano avuto screzi in passato. Il gestore ha agito correttamente: ha chiamato lui stesso le forze dell’ordine e ha messo a disposizione le immagini di videosorveglianza. Tutti lo conoscono, anche gli stessi agenti.

E allora, di quale colpa si sarebbe macchiato il bar?
Bella domanda. Non può certo chiedere i documenti agli avventori o impedire a qualcuno di prendere un caffè. Non capisco quale sia la colpa se uno dei presunti responsabili della rissa ha consumato qualcosa ed è uscito per poi litigare in piazza.

“Puniti come complici: è assurdo”

Una responsabilità difficile da accettare?
Assolutamente. Da avvocato, devo denunciare che persone oneste – il titolare e i dipendenti – sono trattate come complici o mandanti. È assurdo che questo avvenga in nome della sicurezza pubblica.

La Questura parla di rischio per l’ordine pubblico…
Siamo tutti d’accordo sulla necessità di garantire sicurezza. Ma non si può scaricare la colpa su chi lavora onestamente ed è esposto ai pericoli della strada. Se ci sono baby gang armate, il problema è dell’ordine pubblico e della politica assente. Non certo dei bar, che spesso sono presìdi di legalità e socialità. Questo tipo di provvedimenti non previene nulla, anzi danneggia chi rispetta le regole e disincentiva la collaborazione con le istituzioni.

“Gli stessi ragazzi il giorno dopo erano ancora lì”

Qual è il paradosso più evidente?
Il giorno dopo la rissa, gli stessi ragazzi coinvolti erano di nuovo in giro, anche davanti ad altri bar aperti nella stessa piazza. Nessun provvedimento per loro. Si colpisce il bar “Saint Honoré”, che ha invece collaborato.

Il bar era già stato sanzionato?
Sì, il provvedimento richiama un episodio del 2024, un’altra rissa tra i tavolini esterni. Ma anche allora non vi fu alcuna responsabilità del gestore. Ogni episodio va valutato nel suo contesto, non si può rispondere con automatismi punitivi. Ora però chiediamo giustizia.

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Quattro ergastoli, tutta la famiglia ha ucciso Saman

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Nessuno ha mai confessato l’omicidio, si sono accusati a vicenda, ma per i giudici di appello tutta la famiglia è responsabile di aver ucciso Saman Abbas. Quattro anni dopo la morte della ragazza pachistana di Novellara, ribaltando in buona parte la sentenza di primo grado e accogliendo l’impostazione dell’accusa, la Corte di Bologna ha confermato l’ergastolo per i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, ha inflitto l’ergastolo anche ai due cugini, Noman Ulhak e Ikram Ijaz, che erano stati assolti e scarcerati dopo la prima decisione, e ha alzato a 22 anni la condanna per lo zio Danish Hasnain, che ha fatto trovare il cadavere.

Sono state riconosciute anche le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, escluse dalla sentenza di Reggio Emilia. Dopo circa tre ore di camera di consiglio il collegio dell’assise di appello ha letto il dispositivo in un’aula gremita di giornalisti, fotografi e cameraman, una lettura accolta in silenzio. Poco prima, una decina di donne, avvocatesse di parte civile, semplici cittadine, l’ex sindaca di Novellara Elena Carletti, avevano esposto un cartello scritto in lingua urdu: “Se domani tocca a me voglio essere l’ultima”. È un segnale con cui la società civile tenta di farsi in qualche modo famiglia per una ragazza abbandonata da tutti i suoi. Da viva e da morta. La storia di Saman inizia a Mandi Bahauddin, in Pakistan, il 18 dicembre 2022.

Arrivata nel 2016 a Novellara, ha trovato la sua fine vicino alla casa dove viveva la famiglia e da cui voleva fuggire. Si faceva chiamare Italiangirl sui social, non accettava le regole e le tradizioni delle sue origini, voleva farsi una vita sua, vivere liberamente, non sposare un parente in patria in un matrimonio combinato. È diventata un simbolo, suo malgrado. Ribelle inconsapevole, l’ha definita il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci, nella requisitoria di primo grado. Voleva girare senza velo, senza restrizioni, frequentare chi desiderava. Sogni interrotti per sempre in una notte di primavera, tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, quando è stata assassinata, probabilmente strozzata, nel vialetto davanti a casa e sepolta in una buca profonda tre metri, dentro un casolare diroccato, a poche centinaia di metri dall’abitazione familiare. Qui è stata trovata, dopo essere stata cercata in lungo e in largo, in un giorno grigio di autunno inoltrato, a novembre di un anno dopo.

A dire dove era stata deposta, è stato lo zio Danish Hasnain, l’uomo indicato dal fratello di Saman come l’esecutore materiale del delitto, ma che a più riprese ha affermato la propria innocenza per l’omicidio. Danish era stato fermato in Francia, dove era fuggito, a settembre 2021. Prima di lui era stato preso il cugino Ikram Ijaz, sempre nel paese transalpino, mentre l’ultimo dei tre ad essere preso era stato Noman Ulhaq, il secondo cugino della vittima, in Spagna. Poco prima del ritrovamento del cadavere è stato arrestato in Pakistan il padre, Shabbar Abbas, l’ultima è stata la madre, a maggio 2024. Entrambi sono stati estradati, con provvedimenti storici: mai era successo che il Paese asiatico consegnasse i propri cittadini accusati dall’autorità giudiziaria italiana.

Shabbar è arrivato nel corso del processo di primo grado, Nazia alla fine di agosto 2024, quando era già stata condannata all’ergastolo. In aula hanno pianto, hanno negato in tutti i modi di aver ucciso la figlia. Hanno accusato gli altri, hanno smentito le dichiarazioni del loro altro figlio, il fratello minore di Saman che per l’accusa era un testimone chiave. Anche se la sostituta pg Silvia Marzocchi ha sostenuto che il quadro indiziario era già sufficientemente forte, pure senza le sue parole. Il giovane ha preferito non assistere alle ultime udienze. Nazia, la madre di Saman, è invece rimasta a lungo seduta a capo chino, ascoltando la traduzione dell’interprete. Poche reazioni dagli altri due imputati detenuti, padre e zio. I due cugini sono usciti rapidamente dall’aula Bachelet e poi sono rimasti fuori dal palazzo, insieme ai loro avvocati. Sono e rimangono, per il momento, a piede libero.

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Il Generale Marco Minicucci nominato Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri

La nomina ufficiale arriva dal Consiglio dei Ministri: guiderà l’Arma accanto al Comandante Teo Luzi.

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Il Consiglio dei Ministri ha ufficializzato la nomina del Generale di Corpo d’Armata Marco Minicucci a nuovo Vice Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Una scelta di altissimo profilo che premia una carriera lunga e prestigiosa nelle fila dell’Arma.

Minicucci, attualmente Comandante Interregionale Carabinieri “Ogaden”, subentra in una posizione chiave, destinata a supportare direttamente il Comandante Generale Salvatore Luongo nella gestione dell’organizzazione e delle strategie operative dell’Arma.

La nomina arriva in un momento delicato per il Paese, in cui la sicurezza interna, la lotta alla criminalità organizzata e la tutela del territorio richiedono una guida autorevole e di comprovata esperienza. Il Generale Minicucci, con un curriculum di incarichi operativi e direzionali di alto livello, rappresenta una figura di assoluta garanzia istituzionale.

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Sciolto per camorra il Comune di Caserta, scontro politico e ricorso annunciato: tutto così ‘semplice’?

Il Consiglio dei ministri accerta condizionamenti mafiosi. Il sindaco Carlo Marino annuncia il ricorso al TAR: “Atto abnorme e politicamente mirato”.

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Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha deliberato lo scioglimento del Comune di Caserta per condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Una misura durissima, che colpisce uno dei capoluoghi di provincia più significativi della Campania. La stessa decisione è stata adottata per i comuni di Aprilia (Lazio), Badolato e Casabona (Calabria), tutti coinvolti in analoghe indagini per infiltrazioni mafiose.

Il commento di Fratelli d’Italia: “Ferita gravissima, serve una svolta”

Il primo commento arriva da Marco Cerreto, deputato campano di Fratelli d’Italia, che ha definito la notizia “una ferita gravissima per la città, la politica e il tessuto produttivo di Caserta”.
Cerreto ha criticato l’amministrazione a guida PD, accusandola di non aver preso provvedimenti per tempo:
“Mi chiedo come sia possibile che nessuno si sia accorto di nulla. Ora il centrodestra ha il dovere di costruire una proposta credibile per garantire un buon governo”.
Fratelli d’Italia, ha aggiunto, garantirà massimo supporto al commissario prefettizio che sarà nominato per gestire la transizione.

La replica del sindaco Marino: “Atto abnorme e lesivo della città”

Durissima la reazione del sindaco di Caserta, Carlo Marino, che ha parlato di un “atto politico e amministrativamente abnorme”, annunciando l’intenzione di presentare ricorso al TAR del Lazio.
“Faremo immediatamente accesso agli atti. È un atto contro la città, con una tempistica particolare che una città capoluogo non merita”, ha dichiarato.
Il primo cittadino ha sottolineato come il provvedimento sia “istituzionalmente non rispettoso” e che sarà contrastato nelle sedi legali competenti.

Attesa per la nomina del commissario e il futuro della città

Ora si attende la nomina del commissario straordinario che guiderà il Comune di Caserta in questa fase delicata. Lo scioglimento, infatti, comporta la sospensione dell’amministrazione eletta e l’insediamento di una gestione commissariale per un periodo di 18 mesi, eventualmente prorogabile.
Si apre una fase politica e istituzionale complessa, con risvolti giudiziari e un forte impatto sull’immagine e sulla vita amministrativa della città.

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