Collegati con noi

Cultura

Musica, scultura, fotografia, pittura, gli artisti ci accompagneranno nella fase 2 chiudendo il sipario sulla quarantena.

Pubblicato

del

E’ il 4 Maggio, da oggi si allentano le misure di quarantena, anzi, finisce la quarantena, non sentiremo più’ parlare di zone rosse, certo ancora e giustamente delle limitazioni ci sono, ma pare che ci si debba avviare ad una normalità che speriamo non sia la stessa che ci ha portati a questa emergenza. Ci raccomandano, ma lo sappiamo bene, molta attenzione, non è un liberi tutti, almeno cosi non dovrebbe essere, il CoVid19 ancora circola e ancora può’ riaccompagnarci nel buio. Abbiamo attraversato questo tempo con  un diario della quarantena scritto da tutti quelli che hanno voluto condividere con noi i loro pensieri più intimi e che voglio ringraziare ora, tutti, per la  spontaneità’ , la forza e l’entusiasmo con il quale hanno accettato il mio invito. E’ stato  un diario dei pensieri  che ci ha accompagnato nei giorni pieni dell’emergenza. Oggi con Marisa Albanese, Francesco Cito, Umberto Manzo, Daniele Sepe e Raffaello Eroico, queste pagine e questa esperienza hanno termine. Nelle loro parole troverete le sensazioni dei giorni passati e la forza per riprenderci, ma forse è meglio dire prenderci, la nostra nuova vita.  Ringrazio loro e tutti gli autori coinvolti, che troverete elencati a pie di pagina.

Francesco Cito

il mio pensiero é che questo parlare di essere in guerra sia solo dovuta al fatto che le nostre generazioni fortunate fino ad oggi non hanno mai vissuto veramente cosa significhi il dramma di una guerra vera. Quella vera, in cui si è costretti a fuggire, più che doversi rintanare in casa come accade oggi, essa è stata sempre vissuta solo attraverso le immagini di repertorio, o nelle finzioni cinematografiche. È vero che questa epidemia ormai a livello mondiale la si combatte contro un nemico, il quale al contrario della guerra vera, è invisibile, ma di cui gli unici ideali da difendere, sono prettamente dovuti agli aspetti economici, e al nostro come spendere il tempo libero.  Questa contro il Coronavirus, o se vogliamo definirlo Covid 19, ci incute solo la paura del contagio, e di non poter vivere come si viveva prima, ma poi quando tutto sarà passato, perché come tutte le pandemie sarà debellata dalla scienza medica, non lascerà dietro di se città distrutte, fame e miserie. Non ci saranno profughi, ne campi dove poterli accogliere, verrà solo aperto l’uscio di casa e si potrà tornare al bar con gli amici, nei parchi a giocare, allo stadio a guardare la partita di calcio. Una guerra vera, non è quella di starsene comodamente in poltrona a guardare la trasmissione televisiva, anche se per la maggior parte, esse sono programmi in cui si parla solo di Covid 19. Ci si lamenta per una reclusione forzata, ma pur sempre comoda, e non mi sembra che fino ad oggi sia mancato il cibo, e mangiar quello che ci pare, come avviene quando si è assediati da un nemico in armi, e un tozzo di pane secco, è pari al caviale e lo champagne. Non si è costretti a fuggire senza saper dove, mentre intorno cadono i colpi di cannone, le bombe che spaccano i timpani, o il sibilo dei proiettili, anche loro invisibili, proprio come lo è il virus che si insinua nel nostro corpo, ma di cui possiamo difenderci con le dovute precauzioni. Se veramente non vogliamo affrontare questo nemico, il virus che tanto incute paura, questo nemico invisibile, basta non uscire di casa, e lasciare le nostre comodità, mentre coloro che veramente alla fine sono in trincea, sono i medici e tutto il personale paramedico negli ospedali, i quali contano le loro vittime, non perché è una guerra, ma per il dissennato progetto della politica che in passato ha pensato bene di smantellare il servizio sanitario, in nome del risparmio e incentivare le privatizzazioni, distruggendo quello che di meglio avevamo. Questo non ha nulla a che fare con la guerra, quella vera. Quello che però mi lascia più perplesso, è vedere i tanti palloni gonfiati, che invece di stare negli ospedali a dividere la sorte dei vari colleghi, impegnati in prima linea, e molti dei quali pagando con la vita il loro impegno, pontificano attraverso i programmi di regime, dei vari Bruno Vespa, Fabio Fazio e altri, le loro tesi da esperti, in contrasto fra loro, rendendo l’opinione pubblica, ancora più spaventata del dovuto. Se costoro avessero veramente la giusta conoscenza, di cosa rappresenti realmente questo virus, forse avremmo già superato tutte le fasi a cui siamo indotti e costretti.

Uno ragazzo palestinese indossa una maglia dei “Bull Chicago” Un membro del commando “Falchi di Fatah” di Rafah in Gaza Strip, in mimetica e in possesso di un kalashnikov. Ziad Abusaiam è uno dei leader dell’Intifada e tra i maggior ricercati da Tzahal, l’esercito israeliano, i servizi di sicurezza dello Sheen Bet hanno la sua fotografia, nome e le impronte digitali
Ph. Francesco Cito

 

Umberto Manzo

Come sempre accade, di fronte alle grandi catastrofi naturali, ci sentiamo impotenti, ci rendiamo conto della nostra piccolezza rispetto alla grandezza e alla forza della natura. Oggi invece, sembra paradossale ma quello che ci spaventa e che sta mietendo centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo è qualcosa di infinitamente piccolo e silenzioso, talmente piccolo che lo chiamiamo il nemico invisibile. Mi capita spesso in questo periodo, di ripensare a quella tragica sera del 23 novembre del 1980, quando la terra cominciò a tremare con tanta forza, la gente terrorizzata scappava dalle proprie abitazioni, per strada si sentivano grida, si avvertiva forte la tragedia che era in atto. Imparammo, in quella triste occasione, che si poteva rispondere ad un tragico evento con qualcosa di bello e di creativo. Molti artisti di fama internazionale, su invito del gallerista napoletano Lucio Amelio, realizzarono opere per quella che sarebbe diventata una delle più̀ importanti collezioni al mondo, rispondendo alla catastrofe del terremoto, con opere di notevole forza espressiva, si avvertiva in esse tutto l’impeto che c’era stato nel realizzarle, come se gli artisti avessero trasformato l’energia distruttiva del terremoto in energia creativa. Oggi invece lo scenario è diverso, la tragedia si consuma in silenzio, non ci sono boati, la terra non trema, dappertutto regna un grande silenzio, le grandi metropoli sono deserte, l’atmosfera è surreale, e noi tutti costretti all’isolamento per una maggiore sicurezza, aumentando così le distanzi sociali ed il senso di solitudine, mai come adesso gli artisti sentono il bisogno, di concentrarsi in una ricerca più intimista. In questo clima di calma apparente, in questo tempo sospeso che stiamo vivendo, c’è la necessità di una ricerca interiore condotta in silenziosa meditazione in compagnia della nostra cara solitudine per poter inventare opere nuove che somigliano a parole sussurrate e mai gridate. 

 

Umberto Manzo

Incontrando la Bianchezza

Marisa Albanese

In questi giorni di confinamento, non so più quanti ne sono passati e quanti ancora ce ne saranno, ho capito che la quarantena è il mio stile di vita. Ma con la differenza che amo restare confinata nel mio studio, è lì che amo stare. Tante le lotte fatte dalle donne della mia generazione, tante quelle che ancora combattiamo e altre ancora ne verranno, sempre nel nome della nostra autonomia, libertà e parità. Mi viene da urlare quando finiscono i materiali per lavorare e non posso procurarmeli, mi sento cupa quando resto nella mia affollata solitudine e il mio sorriso abituato ad essere solare, svanisce, lasciando il posto a una buia aggressività che non mi appartiene. Preferisco una lotta silenziosa ed efficace, senza alcun urlo narcisista; siamo circondati da urla vuote, che non servono mai a nessuno se non, forse, a chi le emette per provare a mettere in luce se stesso, farsi lodare e ammirare, per dare prova del proprio esistere. E, quindi “iorestoacasa”, immersa nel silenzio operativo del mio lavoro. L’unica “arma” che al momento possediamo per combattere il nostro nemico Covid19 sembra essere il distanziamento sociale. Corona, Covid, Sars2… ho voluto dargli una forma e dei colori, isolati nel bianco, senza ossa dure, ma sottile e trasparente a questo virus. Un esserino che, come direbbe una vera napoletana come me, si chiama infame! Un infame che mi costringe nella ristrettezza dello spazio di casa, privata della tanto sudata libertà. Nella prima fase di questa strana crisi, come molti, ho iniziato a giocare riprendendo le ricette della nonna, pizze, dolci e altri manicaretti, un “passatempo” che all’inizio dell’isolamento tutti hanno tentato di fare, cercando di ritrovare quei gesti delle mani nostre mamme e nonne, che avevano visto i nostri sguardi bambini. E tutti a dire che meraviglia! stiamo recuperando vecchi valori! E, il nostro pianeta dopo tanti giorni di fermo è migliorato, finalmente respira, l’aria è più pulita, gli animali si mostrano e provano a riconquistare gli spazi perduti. Quando tutto sarà finito si ricomincerà cercando di cambiare le cose e rispettare l’ambiente. È falso! È un sogno che tutti lasceranno sul cuscino dimenticandolo velocemente. Resteremo tutti come prima, e si ricomincerà a vivere come e peggio di prima per recuperare “denaro”! Ora, nella seconda fase della mia quarantena, disegno e cerco di leggere libri che ancora non ho letto e rileggere quelli particolarmente significativi per me letti negli anni passati. Il mio vecchio progetto di rileggere Moby Dick, sembra stia prendendo forma, un viaggio per rintracciare in questa rilettura l’origine della scelta dell’uso del bianco nel mio lavoro. Il romanzo Moby Dick di Herman Melville, (1850), è un classico della letteratura americana, tradotto per la prima volta in italiano da Cesare Pavese. La lotta contro il Leviatano, Mostro degli abissi.  Quel che mi interessa verificare, e che spero di ritrovare, è quello stupore che mi fece vedere il bianco e oltre il bianco. Il capitolo 42 è dedicato alla “bianchezza”, che è portatrice sia di caratteri sublimi sia di quelli orribili, risvegliando immagini di bellezza e di terrore.     Qui ritrovo l’origine del mio bianco. Potrei aver, negli anni, stravolto il messaggio di Melville, creduto di ricordare che anche per lui il bianco è sempre e solo paradisiaco per chi osserva la superficie e orrorifico per chi ne percorre la profondità. Ho portato per molto tempo, dentro di me, il desiderio di trovare del tempo per poter riflettere ancora su questi stimoli che Moby Dick mi ha lasciato, ed eccomi finalmente pronta a ripercorrere il mio viaggio nella “bianchezza”. Leggiamo: “Ci sono casi in cui la bianchezza perde completamente quella strana aggiunta di sublimità che l’informa nel cavallo bianco e nell’albatro. […] Come spiegarlo? […] È questa qualità inafferrabile che rende l’idea della bianchezza […] capace di accrescere quel terrore fino all’estremo. Ne sono prova l’orso bianco polare e lo squalo bianco dei tropici: cos’altro se non la loro bianchezza soffice e fioccosa li rende quegli orrori ultraterreni che sono? […] Forse, con la sua indefinitezza, la bianchezza adombra i vuoti e le immensità crudeli dell’universo, e così ci pugnala alle spalle col pensiero dell’annientamento mentre contempliamo gli abissi bianchi della via lattea? Oppure la ragione è che nella sua essenza la bianchezza non è tanto un colore, quanto l’assenza visibile di ogni colore e nello stesso tempo l’amalgama di tutti i colori, ed è per questo motivo che c’è una vacuità muta, piena di significato, in un gran paesaggio di nevi, un omnicolore incolore di ateismo che ci ripugna? […] E, andando ancora oltre, ricordiamo che il cosmetico misterioso che produce tutte le tinte del mondo, il gran principio della luce, rimane sempre in se stesso bianco e incolore, e se operasse sulla materia senza mediazione, darebbe a ogni oggetto, anche ai tulipani e alle rose, la sua tinta vuota. […] E di tutte queste cose, la balena albina era il simbolo.” Ho bisogno di tempo, del mio tempo libero e di ritirarmi nella mia personale pratica quotidiana di isolamento e attraversare ancora questa meraviglia che è la mia quotidiana scelta di quarantena.

Marisa Albanese

 

 

Daniele Sepe

Da domani mi chiudo in casa e studio per davvero quest’infame strumento. L’avrò detto migliaia di volte dopo un concerto in cui non ne ingranavo una buona. Poi arriva all’improvviso una catastrofe come questa e vedi le bacheche dei tuoi amici rifiorire di un “adesso studio, sentite qua, sto leggendo questo, ho scritto sei fughe e una sinfonia” e io niente. Apatia totale. Divano, computer, divano, cucina. E tanta evasione clandestina. Con annessa multa. Perché? Per me la musica, ho scoperto, è rapporto sociale, vicinanza virale, col pubblico, ma soprattutto con gli altri musicisti. Non è ginnastica. Anzi no, per essere più precisi, visto che sono uno che alterna grande socialità a lunghe giornate solitarie in barca, non è neanche quello, neanche la questione dei tuoi simili, è proprio la mancanza di un rapporto libero con la natura. Il mare la montagna e anche la strada. Non ho mai sentito di una canzone composta in una navicella spaziale. E non penso perché nessun astronauta non avesse il pallino del poeta dilettante. Niente di buono viene dall’isolamento a meno che non è una libera e ponderata scelta individuale. E qua di libero non c’è stato proprio nulla. Nel balletto di cifre e nella nebbia, lombarda, tra informazione e disinformazione di 60 giorni da incubo, sentirsi una specie di conte di Montecristo quando uscivi in una città completamente deserta, affascinante come ogni film horror che si rispetti. E che vuoi crescere? Non siamo tutti Gramsci. Studiare il sassofono? Comporre? E si, ma perché se ti dicono che potrai suonare in pubblico forse nel 2021? Eppure al supermercato, quasi distanziate, le persone ci stanno assieme, al bancone del salumiere 2 persone alla volta ci entrano. Embè per quale strana ragione in una piazza Dante non si possono mettere un centinaio e più di sedie distanziate un metro e più, persone che accompagnano il pubblico a sedere, e programmare una estate e un autunno di concerti? Non mi pare impossibile. Il concerto in streaming da casa? E tutti gli amici tecnici che ho che fanno? No non è per me. La musica è condivisione, o come diceva Gaber partecipazione. Ma nella irrazionalità completa dei timonieri di palazzo Chigi, con 450 esperti ben pagati, sembra che a nessuno sia balenata in mente questa idea, a cominciare dal ministro della cultura. Che posso dire? Il pesce fete dalla capa. Chioso con uno scrittore che amo, e che non ho riletto in quarantena, me lo conservo per il mare: “Torno a casa. Me la sono proprio spassata. State a sentire: siamo sulla terra per cazzeggiare. Non credete a quelli che vi dicono che non è così.” Anzi no, questa è più calzante:

“I fascisti sono persone inferiori che ci credono quando qualcuno dice loro che sono superiori.”

 

Raffaello Eroico

Colonna sonora : “No One Knows” (Queens of the Stone Age)

Citazione colta : “era tanta nella città la moltitudine di quegli che di dì e di notte morieno, che uno stupore era a udir dire, non che a riguardarlo” (Boccaccio)

E adesso?
Stupore. Rara sensazione quella di ritrovarsi in una comunità mondiale stravolta da un seicentesimo di capello, a prescindere se pipistrello o grande fratello. Non una guerra (ho memoria della guerra fredda e della bomba atomica prevista a giorni), non il terrore di bombardamenti esotici visti solo in tv, non un terremoto (che pure spazzò via la mia infantile certezza della tana sicura), non un’eruzione (con la cui catastrofica minaccia ho convissuto filosoficamente nei miei anni vesuviani), bensì, pusillanimemente, “tutti a casa”, tutti nell’adorata zona di conforto (i più fortunati).  Una guerra in pigiama, per civismo obbligatorio (almeno pare). Fine. Stop. Basta. Fermi tutti. Ci sta. Volenti o nolenti sapevamo che così non poteva continuare, epperò fin che la barca va… Ecco, adesso non va più. Ma anche stupore di sentire e vedere nell’aria, sotto i piedi, il vigore naturale riprendere il suo spazio, e riscoprire quanto sia il più bel patrimonio, la più meravigliosa delle opere d’arte, avvolgente e multisensoriale. Cosa che il vivente non-umano ha conservato nei bagordi di delfini riemersi, nella divertita curiosità di caprioli tra Barberino del Mugello e Roncobilaccio sulla A1, nell’integra originaria maestosità di lupi in piazze, che fanno delle cattedrali sullo sfondo caduchi templi di antiche civiltà, che non si sa nemmeno se ci riguardino ancora, o come. Una festa di primordialità. Una festa di essenzialità. Ho spesso creduto di poter sopravvivere a una eventuale prigionia: mi bastano poche umili cose per sentirmi libero: il vino, la musica, il tabacco e possibilmente Venere. Ma soprattutto quei pochi attrezzi e sostanze semplici che mi occorrono per lavorare. Pennelli, colori, mica maxischermi e prosecco. Tele, fogli, matite, mica gru con squadre di operatori a favore di telecamera. Ho l’essenziale e lo festeggio. C’è forse da inventarsi un immaginario e dovrà essere biologico, diversamente intelligente, emotivo. Je suis un animal qui pegne. Come interagiranno con esso i fantasmi, spiriti e pregiate menti, più o meno stravolte dal crollo di dogmi improvvisamente desueti? Meglio testimoniare questo tempo senza cedere alla banale citazione dei suoi simboli iconografici (mascherine, strade vuote), oppure bellamente infischiarsene e riprendere a vagabondare anarchicamente tra segno e cromia? Intanto duole la restrizione primaverile che mi priva dei non meno essenziali placidi peripli in bicicletta, tra zirli di rondini nelle strade antiche della mia città, e mi manca lo scivolare poi nel suo umano teatro, quello che trovavo nei bar, e che temo distanziato per un tempo troppo lungo per potermi ancora riguardare poi.

Raffaello Eroico

 

Antonio Maiorino Marrazzo, Maria Savarese, Valentina Rippa, Ludovica Caniparoli, Stefania Milano, Valeria Pitterà, Nicola Fittipaldi, Veronica Rossi, Donatella Spaziani, Dino Izzo, Antonella Raio, Eugenio Giliberti, Pier Paolo Patti, Giovanni Frangi, Viola Amarelli, Eugenio Lucrezi, Fernando Tricarico, Laura Angiulli, Marcella Granito, Antonello Cossia, Raffaele Di Florio,  Lucia Scalise, Donatella Pandolfi, Enzo Rando, Floriana Tursi, Stefania Tarantino, Gianni Fiorito, Lisa Sicignano, Giovanbattista Alfano, Lisa Sallusto, Rosalba Catronuovo, Lino Fiorito, Alfredo Cozza, Emanuela Martolò, Paola Areni, Francesco Basile, Cristina Benadduce, Roberta Basile,  Anna Patierno, Patrizia Iorio, Melina De Luca, Amelia patierno, Tina Esposito, Ida Pollice, Flora Faliti, Tatiana Travaglini, Maria Chianese, Mario Colella, Orfeo Soldati, un grazie speciale e un forte augurio ad Annalisa e Paola che sono ritornate a casa e poi un ringraziamento speciale ai giovanissimi Francesca, Antonia, Simona, Flavia, MariaSole, Alberto, che sono stati insieme ai loro coetanei l’altra schiera di eroi oltre ai medici e tutti gli operatori sanitari che in prima linea hanno salvato tutti noi.

 

Ph. Mario Laporta/KONTROLAB

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

Advertisement

Cultura

Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

Pubblicato

del

Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

Continua a leggere

Cultura

Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

Pubblicato

del

Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

Continua a leggere

Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

Pubblicato

del

Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto