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Muro dei falchi sul price cap ma Draghi vede spiragli

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  Due settimane per agire, per mettere sul tavolo una proposta e favorire una convergenza tra i falchi del Nord, tornati alla ribalta dopo la crisi del Covid, e i Paesi che pretendono una “solidarieta’ europea”. Il vertice di Praga si e’ concluso senza una dichiarazione finale e senza, apparentemente, alcuna decisione. In realta’, rispetto all’ultimo summit di giugno, molto e’ cambiato: la riduzione dei prezzi del gas e’ stata elevata ad obiettivo comune e il price cap, argomento tabu’ prima dell’estate, e’ ormai di diritto un’opzione percorribile. Da qui al Consiglio europeo del 19 e 20 ottobre tocchera’ alla Commissione e alla presidenza ceca trovare il bandolo della matassa. Con un’appendice: in due settimane Bruxelles e’ chiamata a decidere, questa volta senza dilazioni. Il vertice di Praga partiva da un’Europa, sul fronte energia, spaccata come mai dall’inizio della guerra in Ucraina. Anche per questo Ursula von der Leyen si e’ trovata costretta a mettere sul tavolo non una proposta ma un bouquet di proposte. Innanzitutto la Commissione punta a rendere obbligatori gli acquisti comuni di gas gia’ dalla prossima primavera. Il price cap – o meglio, i price caps – che stanno prendendo forma a Bruxelles sono invece diversi: c’e’ un primo tetto da negoziare con i fornitori “amici”, Norvegia e Usa in testa. Un secondo cap e’ quello applicabile al prezzo del gas che concorre a formare il prezzo dell’elettricita’. C’e’, infine, l’obiettivo di “limitare il prezzo del gas in modo da portare i picchi e la speculazione fuori dal prezzo a livello del Ttf”, ha spiegato la presidente della Commissione. Ed e’ su quest’ultima opzione che punta l’Italia. I passi avanti, per Roma, ci sono. “Sull’energia le cose si stanno muovendo. La Commissione presentera’ al Consiglio del 19 ottobre una proposta in cui i tre elementi – tentare di diminuire i prezzi, avere un elemento di solidarieta’ nel meccanismo e iniziare la riforma del mercato dell’elettricita’ – ci saranno”, ha sottolineato Mario Draghi prima di lasciare la capitale ceca.

“Ora ci aspettiamo non piu’ vaghe proposte ma qualcosa di piu’ concreto e magari gia’ proposte di regolamento”, ha sottolineato. Il diavolo, come spesso accade, si nascondera’ nei dettagli. Il tetto al prezzo del gas che forma il prezzo dell’elettricita’ obbliga gli Stati a mettere soldi freschi per compensare il differenziale tra prezzo di mercato e prezzo amministrato. E chi, come l’Italia, ha un’elettricita’ fortemente dipendente dal gas e’ svantaggiata rispetto a Paesi come Francia o Repubblica Ceca che attingono da fonti diverse dal gas. E’ al price cap flessibile – o corridoio dinamico – che invece punta Roma. Contando sul fatto che anche alla Commissione ora e’ chiaro come l’indice Ttf di Amsterdam sia foriero di svantaggiose “speculazioni”. L’Ue insomma e’ chiamata a trovare la quadra, ma la strada resta in salita. E anche l’asse franco-tedesco traballa. Emmanuel Macron, al termine del vertice, ha annunciato “che l’Ue attivera’ meccanismi di solidarieta’” sull’energia negli stessi minuti in cui Olaf Scholz ribadiva che il price cap “solleva dubbi per la sicurezza delle forniture”. Ad allargare le divisioni interne c’e’ anche l’idea di uno Sure 2 avanzata dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton e appoggiata da Roma. “E’ una proposta naturale, tanto piu’ dopo la decisione tedesca”, ha spiegato Draghi facendo riferimento allo scudo da 200 miliardi di Berlino. Che, non a caso, si e’ opposta anche a Praga. “Ho solo fatto notare che abbiamo il nostro programma di recovery, la maggior parte del quale non e’ stato ancora attuato”, ha spiegato Scholz. Von der Leyen, dal canto suo, ha ribadito la volonta’ di “trovare fondi per potenziare il Repower”, senza specificare tempi e mezzi. Prima c’e’ da trovare una convergenza sul gas. E salvare l’unita’ mostrata finora sul fronte della guerra in Ucraina. “L’Europa si trova di fronte a una scelta. E’ in gioco l’unita’ tra di noi, a livello europeo”, ha avvertito non a caso il presidente del Consiglio.

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Esteri

Musk rifiuta di eliminare da X video dell’attacco a Sidney

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Elon Musk ha reagito all’ordine di un tribunale australiano di eliminare da X i video dell’attacco nella chiesa di Sidney dopo che il commissario per la eSafety dell’Australia ha chiesto un’ingiunzione. Il miliardario patron di Tesla ha risposto con un post sulla sua piattaforma accusando il premier Anthony Albanese di “censura”. “La nostra preoccupazione è che se qualsiasi Paese è autorizzato a censurare i contenuti di tutti i paesi, allora cosa impedirà a qualsiasi paese di controllare Internet?”

Musk ha detto che X farà appello contro l’ingiunzione australiana. “Abbiamo già censurato il contenuto in questione per l’Australia, in attesa di ricorso legale, ed è archiviato solo su server negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che Musk è cieco di fronte all’angoscia causata dai video. “Faremo ciò che è necessario per affrontare questo miliardario arrogante che pensa di essere al di sopra della legge, ma anche al di sopra della comune decenza”, ha detto Albanese all’emittente pubblica Abc. “L’idea che qualcuno vada in tribunale per il diritto di pubblicare contenuti violenti su una piattaforma mostra quanto il signor Musk sia fuori dal mondo”, ha aggiunto.

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Economia

Enel, istruttoria Antitrust per rincari sui rinnovi

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L’Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di Enel Energia per accertare l’eventuale pratica commerciale scorretta sulle modalità di comunicazione dei rinnovi. L’informativa di avvio istruttoria è apparsa sul bollettino dell’Authority, che evidenzia il “numero elevato di istanze di intervento pervenute”. In sostanza è stato segnalato “oltre alla difficoltà di sostenere esborsi quadruplicati o quintuplicati rispetto al passato”, anche il “non aver ricevuto alcuna informazione preventiva” sul rinnovo contrattuale e “di non aver potuto, pertanto, esercitare il diritto di recesso”. Enel Energia ha prontamente respinto le ipotesi avanzate nell’istruttoria affermando di “aver sempre agito nel pieno rispetto della normativa primaria e di settore, nonché della disciplina contrattuale” e di confidare pertanto “di poter dimostrare la piena correttezza del proprio operato nel prosieguo del procedimento”.

“Se saranno accertati illeciti, le maggiori somme pagate in bolletta come conseguenza dei rinnovi contrattuali scorretti andranno restituite agli utenti”, ha fatto sapere intanto il Codacons commentando la decisione del Garante della concorrenza e del Mercato. “Gli utenti nell’ultimo periodo avevano ricevuto bollette sensibilmente rincarate, senza però essere stati adeguatamente informati dalla società circa le modifiche tariffarie applicate – ha precisato l’associazione dei consumatori – Attendiamo ora l’esito dell’indagine e, se saranno accertate irregolarità, avvieremo una azione per far ottenere ai consumatori coinvolti la restituzione delle maggiori somme pagate in bolletta per effetto delle scorrette o mancate comunicazioni su rincari tariffari, che in modo evidente hanno impedito ai clienti di esercitare i propri diritti, come quello al recesso”.

“Da mesi le società dell’energia stanno comunicando ai propri clienti modifiche unilaterali delle condizioni economiche, ossia sensibili aumenti delle tariffe praticate, comunicazioni però che avvengono spesso in modo sibillino, ad esempio attraverso mail che l’utente può dimenticare di leggere o messaggi che sembrano contenere informazioni pubblicitarie”, ha stigmatizzato Consumerismo.

“I rialzi erano vergognosi e spropositati – ha invece messo in evidenza l’Unione nazionale consumatori – Stavamo già raccogliendo casi in modo da ottenere un ricalcolo delle bollette. Ora si apre, in caso di condanna, una nuova via per ottenere lo storno di quanto pagato per le bollette fin qui”. Sono oltre 600 le segnalazioni pervenute all’Antitrust di singoli consumatori e microimprese, anche per il tramite di associazioni di consumatori, che lamentano di aver ricevuto, in occasione dei cicli di fatturazione relativi al quadrimestre ottobre 2023-gennaio 2024, bollette recanti un significativo incremento del prezzo delle forniture di gas e di energia elettrica rispetto alle bollette riferite allo stesso arco temporale nell’anno precedente.

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Economia

Vivendi si astiene, strada libera per Labriola in Tim

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Vivendi, il maggior azionista di Tim con il 23,7% del capitale, ha deciso per lo ‘status quo’, all’assemblea del 23 aprile si asterrà su tutto, meno che sulla lista del collegio sindacale da lei stessa presentata. Di fatto si decreta la vittoria della lista del cda con un nuovo mandato triennale a Pietro Labriola che proverà a portare a termine il riassetto del gruppo, passando dalla vendita di Netco a Kkr, anche se i francesi hanno tutt’altro che ‘deposto le armi’.

“Spetta al management in carica e ai suoi sostenitori risolvere la delicata situazione in cui si trova Tim – motiva la sua decisione il gruppo francese -. Di conseguenza, Vivendi ha deciso di astenersi dal voto sul rinnovo del Consiglio nonostante il lodevole impegno dei proponenti di liste alternative di maggioranza”, ovvero il fondo Merlyn che ha candidato Umberto Paolucci e Stefano Siragusa, come presidente e ad, e il fondo Bluebell con Paola Gianotti de Ponti e Laurence Lafont. Merlyn potrebbe aver coagulato intorno al 5% del capitale andando a ipotecare i 3 posti in consiglio destinati alle minoranze, lo stesso sulla carta può fare il fondo di Giuseppe Bivona e Marco Taricco.

L’opposizione però proseguirà, Vivendi infatti spiega che “non sostiene la lista presentata dal consiglio di amministrazione uscente, data la continuità con un consiglio durante il cui mandato il titolo ha perso metà del suo valore e che è responsabile di aver approvato la vendita della rete fissa di Tim nel novembre 2023 ad un prezzo che, a giudizio Vivendi, non riflette il pieno valore dell’asset, senza coinvolgere l’assemblea degli azionisti e il comitato parti correlate e senza fornire, ad oggi, informazioni complete e affidabili al mercato sull’operazione e sui suoi effetti sulla sostenibilità di Tim”. Lo scontro è solo rimandato al 21 maggio, data della prima udienza al Tribunale di Milano. Vivendi infatti “porterà avanti con decisione il ricorso contro la delibera del consiglio di amministrazione del novembre 2023 presso il tribunale di Milano e ogni altro strumento giuridico a sua disposizione per tutelare i propri diritti” sottolinea il gruppo francese. Intanto però l’operazione prosegue, l’Antitrust europeo la sta esaminando e a fine maggio potrebbe già arrivare il via libera (secondo gli analisti di Equita “è improbabile l’ipotesi di andare in fase 2).

“Si conferma quindi giugno come la probabile data per l’ottenimento della seconda e ultima condizione sospensiva al closing dell’operazione Netco” fanno notare gli analisti. Lo step successivo dovrebbe essere la rete unica. L’ad di Cdp Dario Scannapieco va già in pressing, ricorda che la fusione tra Open Fiber e NetCo è un obiettivo strategico e auspica che “si possa aprire presto un tavolo di lavoro. Prima si fa e meglio è”. “La combinazione, con i dovuti remedies, è molto probabile e l’unica strada per risolvere la situazione di stress finanziario su OF e per dare garanzie sulla tenuta di medio termine della top-line di NetCo – commenta Equita -. La chiara presa di posizione di Scannapieco rende molto più concreta l’ipotesi di combinazione e quindi l’attivazione dei potenziali earn-out negoziati da Tim con Kkr, per un importo fino a 2,5 miliardi”.

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