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Movimento 5 stelle in fibrillazione, in tanti frenano sullo showdown

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Nessuna alternativa al governo gialloverde, sperando che gli incidenti di percorso non costringano i 5 Stelle a dover staccare la spina all’improvviso. Il giorno dopo la crisi sfiorata sullo sblocca cantieri, dopo l’ultimatum ai due alleati dal premier Giuseppe Conte, tra i parlamentari M5s si respira alla fin fine un clima di sollievo. Nei capannelli in Transatlantico si scommette sulla durata dell’esecutivo senza nessuna convinzione sulla data di un possibile showdown ma con un’unica certezza: non c’e’ via d’uscita alla maggioranza costituita ormai un anno fa, ne’ alternative alla leadership di Di Maio. Dopo il chiarimento dei gruppi parlamentari con il capo politico M5s anche l’ala dei cosiddetti “fichiani” sembra aver tirato i remi in barca. E dopo l’uscita del Presidente della Camera che ha dedicato la festa della Repubblica a rom e sinti, anche tra i piu’ irriducibili ortodossi e’ calato lo sconforto.

“Fico? Ha scioccato anche noi, non c’era alcun bisogno di quell’uscita: si festeggiava la festa della Repubblica che c’entrano i sinti?” afferma una parlamentare di area che esclude categoricamente si sia trattato di un gioco di squadra per compattare le varie componenti pentastellate: “e’ stata solo un’uscita incomprensibile”. Quindi? “Andiamo avanti! Gli accordi, come sullo sbloccacantieri, si trovano. Non conviene a nessuno andare a votare, non conviene a noi e non conviene anche alla Lega”. Le voci dei tanti parlamentari che subito dopo il deludente risultato elettorale puntavano l’indice verso il capo politico si sono ridotte a nulla, fatta eccezione per gli irriducibili come la senatrice Paola Nugnes che oggi, di fronte all’incitazione di Di Maio ad andare avanti, premendo “il piede sull’acceleratore perche’ questo e’ il solo governo che ha la forza di fare le cose”, avverte: “Attenti, il piede incollato sull’acceleratore, e’ pericoloso”.

Restano, irrisolti, i soliti mugugni degli eletti. Oggi per esempio un deputato si lamentava di aver letto direttamente sul blog delle Stelle dell’intenzione del M5s di voler estendere le Zone Economiche Speciali al centro-nord: “ci avevano detto che avrebbero interessato solo il Sud e cosi’ ci siamo comportati in commissione” protesta. Eppure l’attenzione del capo politico ad ascoltare tutte le voci in campo sembra essere la nuova direttrice da cui ripartire. Oggi Di Maio pure avendo preso l’iniziativa si bloccare l’impasse sullo sblocca cantieri direttamente con Salvini ha sapientemente lodato il “lavoro fatto dai gruppi parlamentari” e gia’ ieri, dopo aver incontrato i nuovi eurodeputati e i consiglieri regionali del Movimento, ha voluto incontrare i sindaci pentastellati sempre nell’ottica di una riorganizzazione sul territorio. Il tema riguarda anche indirettamente anche la comunicazione: da giorni Rocco Casalino sembra quasi eclissato mentre tutto lo staff si muove con i piedi di piombo dopo essere stato letteralmente messo alla porta in occasione dell’assemblea dei gruppi di Camera e Senato con Di Maio per analizzare il risultato elettorale.

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Onorevoli morosi, un buco nelle casse dei partiti

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Onorevoli morosi, che non pagano le quote dovute ai propri partiti: il problema è ricorrente nei bilanci del 2024 di diverse forze politiche, da Forza Italia al Pd, passando per il M5s. Mentre è in controtendenza Sinistra italiana, che vede aumentare i contributi dei propri parlamentari (da 204 mila a 281 mila euro), tutti tra i 42 mila e i 55 mila euro. Il M5s, che ha un avanzo di oltre 2 milioni di euro, iscrive a bilancio 2,8 milioni di euro di crediti verso parlamentari e consiglieri regionali, e 1,4 milioni per indennità di fine mandato. Come “leva per la riscossione dei contributi”, il tesoriere Claudio Cominardi, nella relazione, richiama la regolarità contributiva come “requisito fondamentale per concorrere ed eventualmente mantenere il ruolo nelle cariche associative”.

Rispetto al 2023, per il Pd cala di 55 mila euro la voce crediti verso senatori e deputati, a 441 mila euro. Come spiega la relazione al rendiconto (in avanzo di 650mila euro, con l’incasso record di 10,2 milioni dal 2xmille), “è continuata l’azione di recupero” verso eletti nelle varie legislature, con 9 azioni giudiziarie aperte e 4 accordi transattivi. Anche nel bilancio di Europa verde si prevede un ricorso per decreto ingiuntivo per mancato pagamento spontaneo dei contributi associativi contro Eleonora Evi, deputata passata l’anno scorso fra i dem.

Mentre aumentano di 2 milioni i contributi da terzi e di oltre 300 mila euro le quote associative, la “discontinuità dei versamenti” dovuti “da parte di alcuni eletti” è un aspetto critico del rendiconto di FI (disavanzo di 307 mila euro e un passivo di 90 milioni che continua a essere garantito dagli eredi di Silvio Berlusconi): “Occorrerà adottare decisioni più rigorose per ottenere i pagamenti”, si legge nella relazione, “anche facendo leva” sulle norme interne che per i morosi prevedono ineleggibilità e decadenza dagli incarichi nel partito. I versamenti degli eletti sono in calo anche per +Europa, da 28.530 a 22.950. In FdI i contributi dei parlamentari nazionali ed europei sono volontari, e il bilancio (in disavanzo di 681 mila euro, a fronte di un avanzo di 4,9 milioni di euro nel 2023) registra un calo delle erogazioni liberali (da 3,9 a 2,7 milioni) e delle quote associative annuali (da 2,8 a 2,3 milioni). Nel bilancio 2024 in disavanzo di per 1,4 milioni, anche per la Lega calano le contribuzioni da persone fisiche e giuridiche (da 4,5 a 3,8 milioni), mentre aumentano le quote associative (da 58.624 a 63.227 euro).

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Maxi ricorso sui vitalizi, giovedì la sentenza

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E’ prevista per giovedì prossimo la sentenza del Collegio d’appello di Montecitorio sul taglio dei vitalizi, oggetto di un maxi ricorso da parte di circa 900 ex deputati che chiedono di rivedere la delibera del 2018 sugli assegni. Il “tribunale” di secondo grado interno alla Camera, presieduto da Ylenia Lucaselli (Fdi), è composto da altri quattro deputati (Ingrid Bisa della Lega, Pietro Pittalis di Fi, Marco Lacarra del Pd e Vittoria Baldino di M5s) tutti avvocati, ed ha un ruolo giurisdizionale e non politico. La decisione giunge dopo una lunga istruttoria – partita un anno fa – che ha registrato un’accelerazione nelle ultime due settimane. Ad argomentare le proprie ragioni gli avvocati dei ricorrenti, principalmente ex deputati anagraficamente più giovani di quelli che nel 2022 hanno beneficiato di una sentenza che di fatto ha azzerato per loro la delibera Fico.

Quest’ultima stabiliva che il vitalizio – su suggerimento dell’allora presidente dell’Inps Tito Boeri – fosse calcolato con criteri contributivi: in pratica l’assegno veniva ricalcolato sulla base di coefficienti in cui rientravano non solo il monte dei contributi versati, ma anche gli anni in cui si era beneficiato di un assegno. Un taglio che, dall’oggi al domani, è arrivato anche al 90%. “Il ricorso riguarda una minoranza che subisce ancora un trattamento fortemente discriminato rispetto alla maggioranza dei deputati e a tutti i senatori per i quali dagli organi del Senato è stato applicato il principio costituzionale della legittima aspettativa”, ha lamentato l’Associazione degli ex parlamentari che respinge con forza le accuse di “casta” e di “assalti alla diligenza” prospettando anzi, grazie alle sue proposte relative agli adeguamenti derivanti dall’aumento, risparmi “notevoli” per le casse della Camera.

Tra coloro che lamentano i tagli, molti sono i nomi noti e vanno da Paolo Guzzanti a Ilona Staller, dagli ex sindaci di Napoli Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino all’ex primo cittadino di Imperia, ora alla guida della Provincia del ponente ligure, Claudio Scajola, fino a Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Margherita Boniver. La lista, lunga, vede tra i ricorrenti anche Italo Bocchino, Mario Landolfi, Gianni Alemanno, ma anche Mario Capanna, l’ex magistrata Tiziana Maiolo, l’ex olimpionica Manuela Di Centa, l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, Giovanna Melandri e Angelino Alfano.

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Tensioni sui dazi Usa-Ue, Meloni frena: “Serve accordo equo”, ma le opposizioni attaccano

Dopo la mossa di Trump sui dazi al 30%, Giorgia Meloni cerca un’intesa con Washington. Le opposizioni criticano la linea del governo e chiedono un’azione più decisa.

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La mossa di Donald Trump, che ha annunciato possibili dazi del 30% contro i prodotti europei, ha colto di sorpresa anche il governo italiano. Giorgia Meloni prova a contenere l’impatto, ribadendo la necessità di arrivare a “un accordo equo” e respingendo l’idea di uno scontro commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. A Palazzo Chigi si sottolinea che mancano ancora 19 giorni alla scadenza del negoziato e che Washington potrebbe aver solo voluto mostrare i muscoli.

Il governo italiano segue la via diplomatica

Nessuna intenzione di seguire il modello francese: mentre Macron e von der Leyen parlano di contromisure, l’Italia invita a mantenere la calma. “Confidiamo nella buona volontà di tutti”, si legge nel comunicato ufficiale, in cui si ribadisce il sostegno alla Commissione europea. Il 30% proposto da Trump resta ben lontano dal 10% che Roma considera accettabile. Il vicepremier Antonio Tajani volerà a Washington martedì per incontrare il segretario di Stato Marco Rubio, cercando una mediazione diretta.

Le critiche delle opposizioni

Non si è fatta attendere la reazione delle opposizioni. Elly Schlein ha denunciato la “follia autarchica” americana e ha accusato Meloni di non prendere “una posizione netta e forte”. Per Giuseppe Conte, l’Italia ha “svenduto l’interesse nazionale” e “non si è fatta rispettare”. Matteo Renzi attacca l’“incapacità e irrilevanza” dell’attuale governo, mentre Carlo Calenda parla di una “strategia di sottomissione” verso gli Stati Uniti.

L’offensiva della Lega contro Bruxelles

Anche all’interno della maggioranza si registrano tensioni. La Lega punta il dito contro Bruxelles, sostenendo che l’Italia paga il prezzo di “un’Europa a trazione tedesca”. Claudio Borghi e Alberto Bagnai accusano l’Unione di imporre dazi che danneggiano l’Italia, sostenendo che una trattativa bilaterale con Washington sarebbe stata più vantaggiosa.

Il fronte interno e la pressione parlamentare

La questione sarà al centro anche del dibattito parlamentare. Nicola Fratoianni definisce Trump un “gangster” e chiede una risposta immediata da parte dell’Europa, in particolare sulle big tech. Per Angelo Bonelli, il governo deve bloccare gli acquisti di gas e armi dagli Usa promessi ad aprile. Le richieste di chiarimenti in Aula si moltiplicano, ma Palazzo Chigi per ora insiste: serve freddezza, non polarizzazione.

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