Un corridoio nero pece con l’arte annerita dal fuoco di Schneider, prima di attraversare la mostruosa bocca di cartapesta di Chetwynd che da’ il via al viaggio nel buio delle nostre paure. Poi la luce frenetica e brillante dei sudari bianchi di Boltanski conduce alla corda di capelli intrecciati di Gowda, che funge da guida nera ai letti di morte, claustrofobici e soffocati dalle ragnatele di Shiota e agli spiriti cupi e irriverenti di Oursler, fino alla maschera rosso sangue di De Dominicis. L’oscurita’ come strumento di conoscenza per indagare paure, incertezze, complessita’ e’ al centro della mostra “The Dark Side. Chi ha paura del Buio?”, che dal 9 ottobre al 1 marzo occupera’ gli spazi del Musja, il nuovo museo privato di Roma dedicato all’arte contemporanea e presieduto da Ovidio Jacorossi. Sfruttando la particolare architettura del museo, che nasce sulle antiche rovine del teatro di Pompeo e si estende in un’area di circa 1000 metri quadrati, tra stanze segrete, tende nere e giochi di luce, 13 artisti internazionali – Christian Boltanski, Monica Bonvicini, James Lee Byars, Monster Chetwynd, Gino De Dominicis, Gianni Dessi’, Flavio Favelli, Sheela Gowda, Robert Longo, Hermann Nitsch, Tony Oursler, Chiharu Shiota, Gregor Schneider – presentano grandi installazioni site specific e imponenti opere per raccontare l’avventura umana evocando cio’ che ci spaventa ma che, al tempo stesso, puo’ aprire nuove possibilita’ di comprensione. Il progetto espositivo, a cura di Danilo Eccher, e’ il primo appuntamento di una trilogia dedicata al tema della paura (dopo la “Paura del Buio”, arriveranno la “Paura della Solitudine” e la “Paura del Tempo”) che si sviluppera’ nell’arco di tre anni.
Nel percorso lo spaesamento del buio si accompagna al senso di rassicurazione della luce, mentre si perde e si ritrova la via e il senso, in un continuo alternarsi di visioni rituali e magiche: se e’ vero che l’impatto emotivo e’ forte in un allestimento che gioca molto su suggestioni sensoriali e tattili, e’ altrettanto vero che la mostra va molto oltre il puro senso di stupore, con l’obiettivo di non banalizzare un tema centrale nelle nostre esistenze come la paura. Un tema che, per essere analizzato da varie prospettive, sara’ appunto approfondito nelle due prossime mostre organizzate nel museo. “Cerchiamo di cancellarla, ma la paura fa parte della vita. E’ come l’ombra, che ci sara’ sempre finche’ c’e’ il sole”, spiega il curatore Danilo Eccher, “non cerchiamo la spettacolarita’, ma con il programma triennale vogliamo rielaborare le esperienze allestitive degli anni ’60, quando con le mostre si voleva creare una comunita’, invitando il pubblico a entrare direttamente nell’opera d’arte. Oggi non e’ piu’ possibile, ma ricreiamo quelle esperienze con il meccanismo della narrazione per la quale servono molto piu’ di una decina di artisti”. “Questa e’ una tra le aree archeologiche piu’ importanti, qui intorno e’ stato ucciso Giulio Cesare, e questo edificio con la sua struttura architettonica complessa spinge il visitatore a interrogarsi”, prosegue, sottolineando lo stretto legame tra le opere e il luogo che le accoglie. A corredo della mostra il catalogo di Silvana Editoriale, anch’esso pensato per favorire un’ulteriore riflessione sul ‘lato oscuro’ che ci accompagna: come contrappunto allo sguardo degli artisti, anche i contributi del teologo Gianfranco Ravasi, del fisico-teorico Mario Rasetti, dello psichiatra Eugenio Borgna, del filosofo Federico Vercellone.
“Napoli vista dall’alto sembra un presepe. Non sai mai se è la città che imita il presepe o il contrario”. Così l’antropologo Marino Niola riassume il racconto di “Gesù a Spaccanapoli – Viaggio nella città presepe”, docufilm realizzato dal Master di Cinema e Televisione dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli diretto dal produttore Nicola Giuliano per celebrare i suoi primi dieci anni di attività non solo didattica ma anche produttiva. Il docufilm (trailer su www.facebook.com/mastercinematv.it), nato da un’idea del rettore Lucio d’Alessandro, all’interno del progetto “L’arte presepiale come patrimonio immateriale della città di Napoli”, e realizzato con la regia di Gianfranco Pannone, il montaggio di Sergio Scoppetta e lo storytelling degli antropologi Marino Niola (foto Imagoeconomica in evidenza) ed Elisabetta Moro, sarà proiettato in anteprima nazionale mercoledì prossimo, 11 dicembre, alle 11 nella Sala degli Angeli del Suor Orsola Benincasa.
MARINO NIOLA DOCENTE
“Napoli e il presepe – evidenzia Pannone – si fanno specchio l’una con l’altro, mostrandoci, oltre il facile folklore, le meraviglie della ‘città porosa’, che respira profondamente fin dalle sue lontanissime origini, partecipando al brulichio di genti d’ogni età prese dai loro commerci e in estatica preghiera davanti ai suoi simboli religiosi”. Nel docufilm, realizzato con il sostegno di Scabec-Regione Campania con l’obiettivo di promuovere e consolidare la connessione tra il patrimonio culturale e il sistema turistico regionale, il viaggio nella città presepe comincia dalla Certosa di San Martino e dal presepe con i pastori del Settecento di Michele Cuciniello e poi scende fin giù nelle viscere della città, passando per Spaccanapoli, per approdare alle bancarelle degli artigiani di San Gregorio Armeno.
“Un viaggio nel quale lo spettatore – si sottolinea – viene condotto con la sapiente guida di Marino Niola ed Elisabetta Moro impegnati a dissertare tra il serio e il faceto su miti, riti e storie dell’arte presepiale napoletana”. “A rendere davvero popolare il presepe – afferma Niola – è la sua ‘domesticazione’. Tale processo di privatizzazione familiare comporta una crescente autonomia ideativa e costruttiva che è all’origine di una crescita progressiva di figure non più esclusivamente di carattere religioso. Da oggetto esclusivamente religioso, la rappresentazione della nascita di Cristo diventa un teatro del sacro, una scenografia di moltitudini dove si fondono e si confondono soggetti sacri e soggetti profani. Di questo passaggio l’esempio più noto ed estremo è quello di Napoli dove la Buona Novella prende una caratterizzazione cittadina, folklorica, ambientale, spettacolare, in cui la dimensione sociale finisce per soverchiare quella religiosa”. Per celebrare la decima edizione del Master in Cinema e Televisione (che tiene aperte le iscrizioni fino all’8 gennaio) dopo la proiezione del docufilm ci sarà un incontro con il produttore Nicola Giuliano, premio Oscar per “La grande bellezza”.
Per la seconda volta alla Scala Liliana Segre è protagonista, chiamata a prendere il posto nel palco reale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, impegnato a Parigi per la riapertura di Notre-Dame. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa e il sindaco Giuseppe Sala si sono messi ai lati del palco, lasciando ai lati della senatrice a vita le rispettive consorti. Una proposta fatta dallo stesso La Russa, mentre dietro a loro si sono seduti il ministro della Cultura Alessandro Giuli, il governatore lombardo Attilio Fontana e la vicepresidente della Camera Anna Ascari. “Noi staremo ai margini una volta tanto” ha commentato La Russa. E ha poi ironizzato sul fatto che per il secondo anno si sono trovati in palco insieme.
“Non siamo una coppia di fatto – ha risposto alla domanda dei giornalisti -, ma è una persona che stimo molto”. Poca comunque la politica con Giuli unico ministro presente, al suo primo 7 dicembre da quando guida il dicastero della Cultura. Lo scorso anno prima dell’inizio dell’opera Marco Vizzardelli dal loggione ha urlato ‘W l’Italia antifascista’. Questa volta l’urlo (fatto da una loggionista) è stato meno politico. “Salvate Sant’Agata’, un appello per la villa di Giuseppe Verdi nel Piacentino messa all’asta dal Tribunale di Parma come conseguenza di una disputa fra gli eredi. Qualche applauso dal pubblico, e l’assicurazione del sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi che il governo “sta seguendo la vicenda. La salveremo”.
Già diversi teatri italiani hanno partecipato all’iniziativa del ministero ‘Viva Verdi’, la Scala con una anteprima del Macbeth lo scorso 15 giugno che ha permesso di raccogliere 151 mila euro. La Prima di questa sera invece è stata un invito alla pace, forse per la tanta guerra e miseria che è andata in scena sul palco. “Con tutte le nostre forze vorremmo il ritorno alla pace – ha detto il sovrintendente Dominique Meyer -. Al mondo c’è un numero pazzesco di guerre e ogni volta che si trova la pace è una vittoria per l’umanità. Ma al momento non si può essere molto ottimisti”.
“Da tutta la cultura viene un messaggio di pace” ha osservato Pierfrancesco Favino. “La musica è pace, al punto che mi spiace che uno dei migliori bassi in circolazione Ildar Abdrazakov che inaugurò la Scala in questi anni, non possa più cantare in Europa perché russo” ha commentato il sottosegretario all’economia Federico Freni. Il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi, dotato di cornetto contro la sfortuna che si narra porti quest’opera, ha ammesso che “la gente è stanca e c’è solo la responsabilità di ognuno di noi di dare speranza. Dall’opera arriva un ulteriore responsabilità per chi fa politica, che è quella del dialogo e di abbassare i toni”.
Scambio critico c’è stato via social fra Andrée Ruth Shammah “imbarazzata” dalle tante forze dell’ordine schierate e il generale Roberto Vannacci che l’ha invitata ad “andare in un centro sociale”. Mentre in teatro si mostravano gli orrori della guerra con l’invocazione ‘pace’, fuori è andata in scena la protesta. “È la storia della Scala e della prima. Inutile che ci stupiamo, cerchiamo di capire le ragioni” ha commentato il sindaco Sala.
Dopo otto anni di chiusura e un complesso lavoro di adeguamento, riaprirà al pubblico il prossimo 21 dicembre il Corridoio Vasariano, passaggio aereo sopra le vie cittadine che collega Palazzo Pitti e Palazzo Vecchio, lungo 750 metri. Lo ha annunciato il direttore delle Gallerie degli Uffizi Simone Verde, spiegando che il Vasariano riaprirà il primo giorno utile dopo la fine dei lavori senza allestimento interno, sul quale il museo sta ancora lavorando. Progettato da Giorgio Vasari e realizzato nel 1565 per consentire ai granduchi di muoversi in sicurezza dalla loro residenza privata alla sede del governo cittadino, il Vasariano era chiuso dal 2016 per consentire interventi di adeguamento alle norme di sicurezza.
I lavori, per circa 10 milioni di euro (più un milione di dollari donato nel 2023 dall’imprenditore statunitense Skip Avansino) sono partiti nel 2022, terminando nelle scorse settimane. Già l’ex direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, aveva annunciato la riapertura del Corridoio più famoso del mondo, poi slittata fino a oggi. Dopo il taglio del nastro ufficiale, in programma il 20 dicembre con il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, il ‘percorso del principe’ sarà accessibile al pubblico in via ordinaria, tutti i giorni dal martedì alla domenica. Sarà però necessaria la prenotazione, al via del 10 dicembre.
Al Corridoio Vasariano si accede acquistando il biglietto della Galleria degli Uffizi con un supplemento speciale, al prezzo complessivo di 43 euro. Le visite saranno contingentate: entreranno 25 persone alla volta che potranno percorrere il corridoio in un’unica direzione: dagli Uffizi al Giardino di Boboli, poi si uscirà dalla porta di fianco alla Grotta Buontalenti. “Mantenendo un impegno preso con i cittadini l’indomani dell’insediamento – ha detto Verde – il Corridoio Vasariano riapre entro la fine del 2024 al pubblico. Per il complesso degli Uffizi si tratta di un momento di strategica importanza che permette di ricucire, anche nella sua fruibilità, l’unitarietà della sua storia monumentale e collezionistica.
Dal 21 dicembre i visitatori che vorranno farlo potranno passare da una parte all’altra dell’Arno, apprezzando in tutta la sua tentacolare estensione la vastità, la coerenza e la ricchezza della cittadella medicea del potere e delle arti. Questa apertura, infatti, va di pari passo con l’opera sistematica di riqualificazione e di ricomposizione museale in corso”.