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Cinema

Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ecco i magnifici 16 in concorso

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Questa volta la lotta e’ meno impari. Ben cinque film italiani sui 21 in corsa per il Leone d’oro in questa 78/ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (1-11 settembre: E’ STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino a IL BUCO di Michelangelo Frammartino, QUI RIDO IO di Mario Martone a FREAKS OUT di Gabriele Mainetti fino a AMERICA LATINA dei fratelli D’Innocenzo. Ecco i magnifici 16 per la giuria presieduta da Bong Joon-ho, il regista di Parasite. Intanto MADRES PARALELAS in cui Pedro Almodovar torna ancora a pescare nelle sue acque preferite, il mondo femminile, mettendo in campo due donne, Janis (Pene’lope Cruz) e Ana (Milena Smit), che condividono la stanza di ospedale nella quale stanno per partorire, due donne single, entrambe in una gravidanza non attesa. Dall’Argentina e ancora con Penelope Cruz OFFICIAL COMPETITION di Gaston Duprat e Mariano Cohn, storia di un milionario ottantenne che ha voglia di lasciare un segno prima di morire. Pensa che la cosa giusta sia produrre un film. Ingaggia cosi’ un’ambiziosa regista (Cruz) e due star egocentriche e narcisiste: Fe’lix Rivero (Antonio Banderas) e Ivan Torres (Oscar Martinez). Tra loro scintille. Con UN AUTRE MONDE Ste’phane Brize’ porta a termine l’ultimo capitolo della trilogia sul mondo del lavoro. Non piu’ operai e sindacalisti protagonisti, ma un dirigente d’azienda (Vincent Lindon) costretto a scelta drammatiche. Sempre dalla Francia L’E’VE’NEMENT di Audrey Diwan. Siamo negli anni Sessanta: Anne (Anamaria Vartolomei) decide di abortire per portare a termine i propri studi ed emanciparsi dalla famiglia di estrazione proletaria, ma non sara’ affatto facile. Omaggio al prolifico Honore’ de Balzac e al suo capolavoro autobiografico, ILLUSIONS PERDUES, nel film omonimo di Xavier Giannoli con Ce’cile de France, Vincent Lacoste, Xavier Dolan, Salome’ Dewaels, Jeanne Balibar e Ge’rard Depardieu. Di scena l’epopea di Lucien (Benjamin Voisin), ingenuo poeta che fugge dalla comfort zone della provincia per approdare nella Parigi post-Restaurazione francese. SPENCER di Pablo Larrain, racconta invece la storia della Principessa Diana, interpretata da Kristen Stewart, sino alla sua tragica morte avvenuta a Parigi nel 1997. SUNDOWN di Michel Franco con Tim Roth e Charlotte Gainsbourg, ci porta invece in Messico. In seguito a un lutto familiare, un ricco ereditiere inglese (Roth) accetta un lavoro ad Acapulco, ma il suo soggiorno dura piu’ del previsto e l’uomo pare non aver intenzione di ritornare a casa. Ancora Messico in LA CAJA di Lorenzo Vigas, ovvero un paese diviso tra regime coloniale e le tradizioni dell’America Latina. Da qui la storia di Hatzin, adolescente di Citta’ del Messico che si mette in cammino per recuperare i resti del padre rinvenuti in una fossa comune. Ma a un certo punto appare un uomo del tutto somigliante al genitore. THE LOST DAUGHTER esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal con Olivia Colman, Jessie Buckley, Dakota Johnson, Ed Harris, Peter Sarsgaard e la nostra Alba Rohrwacher e’ invece tratto dal romanzo di Elena Ferrante La figlia oscura. Protagonista Leda (Colman), donna di mezza eta’ devota al suo lavoro di insegnante d’inglese. Quando le figlie partono la donna si concedera’ una vacanza al mare in una cittadina dell’Italia Meridionale. Dall’Ucraina REFLECTION di Valentyn Vasyanovych. Il medico Serhiy e’ fatto prigioniero dai militari russi. Durante la prigionia, l’uomo viene a contatto con un esponente della classe borghese. Da qui violenza, umiliazione e indifferenza dietro le sbarre che cambieranno totalmente la sua visione del mondo. IL COLLEZIONISTA DI CARTE di Paul Schrader racconta di Tell (Oscar Isaac), veterano di guerra malato di gioco d’azzardo. L’incontro con Cirk (Tye Sheridan), che gli chiede di aiutarlo a vendicarsi di un colonnello (Willem Dafoe), sembra dare un po’ di senso alla sua vita, ma Tell dovra’ fare i conti con il proprio passato. Il tutto con sullo sfondo il campo di detenzione di Abu Ghraib. In CAPTAIN VOLKONOGOV ESCAPED di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, il pentimento di Fedor Volkonogov capitano del Servizio di sicurezza nazionale russo. Appena fuori dall’ambiente militare, inizia un viaggio alla ricerca delle vittime al fine di chiedere il loro perdono. LEAVE NO TRACES di Jan P. Matuszynski ci porta nella Polonia del 1983. Basato su fatti veri, il film mette in scena un caso controverso: Grzegorz Przemyk, studente liceale, viene brutalmente picchiato dalla milizia comunista della Repubblica Popolare Polacca (1947-1989) e muore. Jurek e’ l’unico testimone del brutale omicidio e diviene il nemico numero uno dello stato. Film altamente politico e disturbante e’ ON THE JOB: THE MISSING 8 del filippino Erik Matti. Il regista continua la sua opera di denuncia verso censura e corruzione che imbavagliano i media filippini. E lo fa con il sequel di On the Job (2013), mostrando come per il suo paese e’ peggio di prima con il presidente Rodrigo Duterte e il Covid-19. THE POWER OF THE DOG di Jane Campion, targato Netflix, e’ ambientato nel Montana del 1920. Qui il carismatico allevatore Phil Burbank (Benedict Cumberbatch) incute paura e timore reverenziale a tutti. Quando il fratello George (Jesse Plemons) porta a casa la nuova moglie (Kirsten Dunst), con il figlio di lei, Phil va su tutte le furie e li tormenta in una guerra senza esclusione di colpi. Il film e’ tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage. MONA LISA AND THE BLOOD MOON di Ana Lily Amirpour, infine, tra fantasy e avventura, racconta la storia di una giovane dotata di imprecisati poteri paranormali (Kate Hudson), che fugge da un manicomio. Si ritrovera’ a New Orleans, dove tentera’ di sopravvivere anche grazie all’uso delle sue capacita’. Nel cast: Craig Robinson e Jun Jong-Seo (Burning).

 

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Oppenheimer sbanca agli Oscar, il film su papà della bomba atomica fa incetta di premi

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‘Oppenheimer’ di Christopher Nolan sbanca gli Oscar: la pellicola porta a casa 7 statuette su 13 candidature, ma tutte le piu’ importanti – film, regia, attori maschili protagonista e non protagonista – e aggiunge premi prestigiosi a quello gia’ assegnato dal pubblico. Basato sul libro vincitore del premio Pulitzer ‘American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer’ di Kai Bird e Martin J. Sherwin, frutto di due decenni di ricerche, il film di Christopher Nolan parla di una delle figure piu’ geniali e controverse del XX secolo considerato il padre della bomba atomica.

In ‘Oppenheimer’ Nolan racconta in un film di tre ore, per meta’ in bianco e nero che ha incassato quasi un miliardo di dollari (958 milioni), la parabola e i dilemmi morali del grande fisico che fu a capo del Progetto Manhattan, attivato in gran segreto dagli Usa nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale, mentre le sorti del conflitto sembravano ancora favorire al Germania nazista. Il governo americano scelse il brillante scienziato, nato nel 1904 da genitori tedeschi di origini ebraiche, a capo del team riunito nei laboratori di Los Alamos, nel deserto del New Mexico. Un grande organizzatore, carismatico e competente, che paradossalmente fu ‘perseguitato’ fin dall’inizio della sua missione da sospetti di tradimento per le sue simpatie per il comunismo.

Nel suo team il regista inglese ha voluto alcuni collaboratori storici che, come lui, tornano a casa con l’Oscar: i produttori Emma Thomas e Charles Roven, il direttore della fotografia Hoyte van Hoytema, con cui gia’ aveva girato ‘Interstellar’, ‘Dunkirk’ e ‘Tenet’. E Jennifer Lame per il montaggio e il compositore Ludwig Goransson (gia’ Oscar per ‘Black Panther’).
Oltre al neo premio Oscar Cillian Murphy, ‘Oppenheimer’ ha un grande cast, a partire da Robert Downey Jr. (anche lui premiato con l’Oscar) nei panni del capo della Atomic Energy Commission, Lewis Strauss.

Poi Emily Blunt nella parte della moglie del fisico, Matt Damon in quelli del generale che diresse il Progetto Manhattan, Leslie Groves, e Florence Pugh nei panni di Jean Tatlock, l’amante dello scienziato, oltre a Gary Oldman nel ruolo del presidente Harry Truman (poco piu’ di un cameo, ma davvero magnifico) e Kenneth Branagh in quello di Niels Bohr, il padre della fisica quantistica.

Nel suo film, Christopher Nolan traccia un ritratto a volte un po’ didascalico e non privo di qualche inesattezza o omissione (il rapporto con Albert Einstein un po’ esagerato e quello con Enrico Fermi troppo sottovalutato) di Robert Oppenheimer, unica persona, il solo scienziato, in grado secondo il generale di brigata Leslie Groves che lo scelse come direttore del laboratorio della bomba di motivare gli scienziati di Los Alamos e di farsi seguire nel progetto forte del suo carisma e della sua tenacia. Oppenheimer colpi’ il generale per l’ampiezza delle sue conoscenze e, soprattutto, per quella che Groves considerava la sua praticita’. Piu’ di ogni altro scienziato con cui il generale aveva parlato, Oppenheimer sembrava capire cosa bisognava fare per passare da teorie astratte ed esperimenti di laboratorio alla realizzazione di una bomba nucleare.

Una cosa che tra tutti aveva capito forse il solo generale Groves che difese sempre Oppenheimer dagli attacchi di Fbi, servizi segreti e fanatici anticomunisti che ne chiedevano la sostituzione. Groves sapeva bene che Oppenheimer era un uomo eccezionale perfette per guidare il laboratorio. Non si trattava solo di un problema di fisica, infatti, bisognava realizzare un’impresa ingegneristica senza precedenti, che doveva progredire mentre si stavano ancora risolvendo i problemi teorici di base.

 

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Addio a Paolo Taviani, con Vittorio rigore e impegno civile

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Rigore e impegno civile: questa la cifra dei Taviani, la coppia più affiatata di tutte, quei fratelli toscani che scesero a Roma negli anni ’50 per cambiare il mondo e riuscirono a cambiare il cinema italiano. Dopo la scomparsa di Vittorio, il 15 aprile 2018, se ne va oggi a 92 anni, nella clinica villa Pia di Roma, dopo una breve malattia, anche Paolo. Lunedì 4 marzo la cerimonia laica funebre alla Promototeca del Campidoglio, dalle 10 alle 13. Il suo ultimo film, in solitario, “Leonora addio”, presentato in concorso a Berlino nel 2022, segue il rocambolesco viaggio delle ceneri di Pirandello, da Roma ad Agrigento, a quindici anni dalla sua morte: “Siamo cresciuti insieme io e Vittorio e sempre lavorando”, ha raccontato Paolo in quella occasione.

“Sento ancora dietro di me il suo fiato. Anche a lui piaceva molto il set e mi ricordo ci litigavamo le scene, quando toccava a me e avevo finito di girare cercavo la sua approvazione e confesso l’ho fatto anche adesso in questo primo film senza di lui”. Quel suo ultimo film lo ha voluto in bianco e nero, come in un ideale ritorno agli esordi di quel cinema, firmato Paolo & Vittorio Taviani, che fin dagli anni ’50 ha tracciato un’ideale linea di confine tra il magistero del Neorealismo e un nuovo cinema realista, volutamente ideologico e poetico insieme. Nati a San Miniato, vicino a Pisa, da una famiglia borghese, con padre avvocato e antifascista, i Fratelli Taviani arrivano a Roma con un’idea ben chiara nella testa: fare il cinema, suggestionati dalla scoperta di “Paisà” (Rossellini è il maestro dichiarato), emozionati da “Ladri di biciclette”.

“Quando il film uscì – ha raccontato Paolo – fu un altro innamoramento, e come in ogni innamoramento la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolare in quegli anni. E noi due l’abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L’abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiatura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio”.

Ma sono modelli che poi si sono trasformati in consapevolezza interiore, tanto che i due fratelli hanno sempre negato di avere un solo riferimento e di amare soprattutto il confronto con la letteratura; anche la collaborazione con Valentino Orsini (al loro fianco all’esordio) e con il produttore più fedele (l’ex partigiano Giuliani De Negri) è sempre stato più un confronto ideologico che una guida estetica. Dal sodalizio sono nati film che hanno segnato la storia del cinema come il profetico “Sovversivi” sulla fine della fiducia cieca nel comunismo reale e il visionario “Sotto il segno dello scorpione” a cavallo con la repressione in Cecoslovacchia; hanno anticipato il fallimento dell’utopia rivoluzionaria attingendo alla storia del Risorgimento con “San Michele aveva un gallo” e “Allosanfan”. Nel 1977 hanno vinto la Palma d’oro con “Padre padrone” e otto anni dopo trionfano ancora a Cannes con il loro più grande successo, “La notte di San Lorenzo” (Premio speciale della giuria). È dell’84 il loro incontro con Pirandello e le novelle di “Kaos” seguito nel ’98 da “Tu ridi”; nel 2012 dopo una lunga parentesi che li ha visti confrontarsi con il racconto televisivo, hanno vinto il Festival di Berlino con “Cesare deve morire”.

L’ultima collaborazione è del 2017 con “Una questione privata” che Paolo dirige da solo, mentre il fratello Vittorio è costretto a rimanere a casa per la malattia che lo avrebbe portato via pochi mesi dopo. Da allora Paolo Taviani si è definito “un mezzo regista” perché metà di lui non c’era più sul set, si sentiva “un impiegato del cinema perché in fondo – spiegava – Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall’età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova”. Con oltre venti film alle spalle (senza contare documentari, pubblicità e qualche corto disperso come l’ultimo episodio di “Tu ridi”) altrettanti premi maggiori e un Leone d’oro alla carriera (nel 1986), i due fratelli hanno dimostrato che passione, costanza, rigore e fedeltà al reale possono essere premiati.

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Alessandro Magno è gay? La Grecia contro Netflix

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La Grecia è scesa in campo contro Netflix per un docudrama britannico su Alessandro Magno che suscita controversie sulla rappresentazione della relazione tra il grande condottiero macedone e il suo generale Efestione come un amore omosessuale. Lina Mendoni, ministra della Cultura del governo di Atene, ha bollato la serie televisiva “Alexander, the making of a god” (Alessandro, la creazione di un dio) come “una fiction di qualità estremamente bassa e pessimo contenuto, piena di inesattezze storiche”. Riguardo alla descrizione dei due protagonisti come gay, Mendoni ha sottolineato che “non c’è alcuna menzione nelle fonti dell’epoca di un rapporto che vada oltre l’amicizia”.

La questione è giunta al dibattito in Parlamento, dove Dimitris Natsiou, presidente di Niki, un partito cristiano ortodosso greco di estrema destra, ha condannato il serial come “deplorevole, inaccettabile, antistorico”, sostenendo che “l’obiettivo subliminale è dare un’idea dell’omosessualità come perfettamente accettabile nei tempi antichi, una tesi priva di basi”.

Sulle questioni sollevate dalle rappresentazioni storiche e sessuali della serie, gli specialisti offrono opinioni divergenti. Il professor Lloyd Llewellyn-Jones, docente di storia antica all’università di Cardiff, sostiene che “le relazioni fra persone dello stesso sesso erano decisamente la norma attraverso tutto il mondo greco”. Viceversa, Thomas Martin, docente di storia greco-romana al College of the Holy Cross, Massachusetts, nota che Omero non ha mai identificato Alessandro ed Efestione come amanti nell’Iliade, benché tale interpretazione sia stata avanzata successivamente.

Mentre alcuni esperti, come Martin e Christopher Blackwell della Furman University, ritengono che i rapporti omosessuali non fossero diffusi al tempo di Alessandro il Macedone, altri come Robin Lane Fox di Oxford sostengono che l’amore tra uomini non fosse fuori dalla norma. Tuttavia, tutti concordano sul forte legame tra Alessandro e il generale, testimoniato dalla testimonianza dei contemporanei.

La ministra Mendoni riconosce la complessità del concetto di amore nell’antichità ma respinge l’idea di intraprendere azioni contro Netflix, affermando che “non è compito del governo censurare, sull’arte ognuno può avere diverse opinioni”.

Questa controversia non è isolata: l’anno scorso, il ministro delle antichità egiziano criticò Netflix per la scelta di far interpretare Cleopatra da un’attrice nera nella serie “Queen Cleopatra”. Inoltre, la serie “The Crown” è stata oggetto di polemiche per presunte distorsioni storiche nella rappresentazione della famiglia reale inglese.

La discussione su come rappresentare accuratamente la storia attraverso i mezzi di intrattenimento continua a sollevare domande complesse sulla verità storica, l’interpretazione artistica e le sensibilità moderne.

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