Dopo una battaglia sul suo territorio durata 24 ore, la Russia ha annunciato di aver “liquidato” le forze che muovendo dal confine ucraino avevano compiuto un’incursione nella regione di Belgorod. “Nazionalisti ucraini” che volevano vendicare la sconfitta subita a Bakhmut, li ha definiti il ministero della Difesa di Mosca. Per Kiev, invece, erano partigiani russi che si battono contro il Cremlino. Mosca ha reagito intanto al dibattito in Occidente sull’invio di caccia F-16 con la consueta divisione dei ruoli e dei toni. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov si è limitato a dire che anche questa fornitura “non potrà cambiare in modo fondamentale la situazione sul terreno” favorendo una vittoria di Kiev.
Mentre l’ex presidente Dmitry Medvedev, attuale vice capo del Consiglio di Sicurezza nazionale, ha avvertito che più distruttive diventano le armi messe a disposizione dell’Ucraina, “più diventa probabile un’apocalisse nucleare”. “La Russia sta passando momenti difficili, ma ciò porterà a un forte consolidamento”, ha sintetizzato invece Vladimir Putin parlando ad una cerimonia per la consegna di onorificenze a personale del settore pubblico. Il Cremlino ad ogni modo si è detto “profondamente preoccupato” dall’incursione avvenuta nella regione di Belgorod, che secondo le autorità locali ha portato alla morte di un civile e al ferimento di altri 13, oltre che alla distruzione di una trentina di case e all’evacuazione temporanea di nove villaggi. Ma sull’intera vicenda rimangono molti interrogativi. A partire dai “70 nemici” che le forze russe dicono di avere ucciso, senza tuttavia mostrare nemmeno uno dei corpi, come fanno notare alcuni utenti di Telegram.
E poi rimane aperta la questione di chi abbia compiuto la mini offensiva, nella quale, sempre secondo il ministero della Difesa russo, sono stati impiegati mortai, lanciarazzi multipli, droni e mezzi blindati. Mentre le forze russe sono dovute intervenire anche con l’impiego dell’aviazione e dell’artiglieria. Un gruppo di miliziani russi inquadrati nelle forze ucraine, la Legione per la Libertà della Russia, si è assunto la paternità dell’operazione affermando di averla attuata insieme ad un altro gruppo armato, il Corpo dei Volontari russi, di estrema destra. Sul canale Telegram della Legione è stato diffuso oggi un audio in cui si afferma che sono stati raggiunti gli scopi dell’operazione, in particolare “dimostrare al popolo russo che è possibile la creazione di focolai di resistenza per una lotta di successo contro il regime di Putin”. Ma anche una nota giornalista dell’opposizione, Yulia Latynina, in un articolo per la testata indipendente Novaya Gazeta ha espresso più di un dubbio.
“Se questa Legione esistesse davvero”, ha scritto, già migliaia o forse decine di migliaia di russi si sarebbero arruolati nelle sue file, e l’incursione avrebbe visto la partecipazione di almeno 10.000 combattenti, che avrebbero potuto penetrare molto in profondità nel territorio russo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha intanto visitato le posizioni in prima linea del fronte di Vugledar-Marinka nel Donetsk per la Giornata del Corpo dei Marines, di cui ha annunciato un potenziamento con attrezzature e armi moderne. Sul fronte diplomatico, invece, la Tass ha annunciato che venerdì è atteso a Mosca il mediatore cinese Li Hui, dopo i colloqui avuti la settimana scorsa a Kiev.
E a confermare il rafforzamento dei legami tra Mosca e Pechino è stato l’arrivo in Cina del primo ministro russo Mikhail Mishustin, che a Shanghai ha presenziato a un business forum bilaterale con la partecipazione di ben 1.200 dirigenti di imprese di Stato e private russe. Mishustin rimarrà in Cina fino a domani e ha anche in programma un incontro a Pechino con il presidente Xi Jinping. Sempre più tesi si fanno invece i rapporti tra Russia e Usa. La Corte del distretto di Lefortovo a Mosca ha prolungato di tre mesi, fino al 30 agosto, l’arresto del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, incarcerato alla fine di marzo con l’accusa di spionaggio. “Liberatelo immediatamente, il giornalismo non è un crimine”, è stata la richiesta perentoria del portavoce del Consiglio per sicurezza nazionale americana, John Kirby.
Che fare con l’Ucraina? Il dilemma sta sul tavolone del Consiglio Atlantico, diviso su quanto in là spingersi nell’aprire all’ingresso di Kiev nella Nato. Volodymyr Zelensky, ospite d’onore del summit dei leader alleati di Vilnius, ha fatto capire di non essere disposto a presentarsi solo per la fotografia di rito ma di attendersi passi concreti. Una parte dell’est Europa spinge per assicurare all’Ucraina un chiaro cronoprogramma, gli Usa e la Germania invece guidano il campo dei cauti, con Londra impegnata in una mediazione.
Ecco dunque spuntare l’ipotesi di creare il Consiglio Nato-Ucraina come opzione di compromesso per rafforzare i legami in vista di una futura (reale) adesione all’Alleanza. Si parte da una constatazione. Nessuno, tantomeno Kiev, reputa realistico lo scenario di aprire i protocolli di accesso a guerra in corso. Dunque si tratta d’immaginare il futuro andando però oltre – è la posizione dei ‘falchi’ – il linguaggio già usato a Bucarest nel 2008, ovvero promesse senza fatti concreti. Diversi alleati lo reputano un approccio prematuro: prima deve finire il conflitto e poi, a bocce ferme, si stabilirà il da farsi. Anche perché – spiega una fonte diplomatica – al momento non si può prevedere “che piega prenderà”, quando sarà, l’atteso negoziato di pace tra Ucraina e Russia ed è meglio lasciare “la lavagna pulita”.
Kiev, è il ragionamento, procederà con la controffensiva, proverà a strappare più territorio possibile alle forze occupanti di Mosca, e il Cremlino a quel punto, a seconda di come si svilupperanno le cose sul campo di battaglia, prenderà in considerazione “varie opzioni negoziali”. Ma un’altra linea di pensiero sottolinea come l’Ucraina, al di là del Cremlino, sta diventando la nazione “meglio armata d’Europa” con un esercito – e una società civile – induriti dal fuoco della battaglia. È dunque nell’interesse dell’Occidente “legare saldamente Kiev alle proprie istituzioni” e accompagnarne lo sviluppo democratico. L’opzione del Consiglio Nato-Ucraina è vista come il vero ‘derivable’ del summit di Vilnius – ovvero risultato concreto, nel gergo diplomatico – e per Kiev si tratterebbe di un “upgrade” rispetto all’attuale Commissione. Non sono solo parole.
Il Consiglio permetterebbe all’Ucraina di prendere parte in modo molto più stretto ai lavori dell’Alleanza e di essere partecipe del suo sviluppo e indirizzo. Dunque una prima integrazione politica, che accompagni il piano di assistenza militare pluriennale in via di approvazione, chiamato a rendere “pienamente interoperabili” le forze armate ucraine con quelle Nato. Questa opzione sanerebbe allo stesso tempo un paradosso. Al momento, infatti, il formato della Commissione Nato-Ucraina resta a un gradino inferiore del Consiglio Nato-Russia, che per quanto inattivo per ovvie ragioni non è mai stato formalmente ripudiato da nessuna delle due parti.
“È quantomeno curioso – sottolinea un’altra fonte – che l’Alleanza mantenga questo strumento con la Russia e non l’accordi all’Ucraina, dopo tutto quello che è successo e il sostegno militare-politico senza precedenti che ha ricevuto”. A Oslo la prossima settimana i ministri degli Esteri alleati saranno chiamati a limare le posizioni e a convergere verso il compromesso: la strada dalla Norvegia alla Lituania s’è fatta ormai breve.
Il Connecticut ha scagionato dodici persone, nove donne e due uomini, condannate per stregoneria quasi 400 anni fa, di cui undici impiccate dopo un processo farsa. Lo riportano i media americani. L’assemblea dello Stato Usa ha adottato una risoluzione che proclama la loro innocenza e denuncia le condanne come un “errore giudiziario”. La decisione arriva alla vigilia del 376esimo anniversario della prima impiccagione per stregoneria quella di Alice Young, nel New England. Centinaia di persone, per lo più donne, furono accusate di stregoneria in quello e in altri Stati nel XVII secolo, in particolare durante i famosi processi di Salem, Massachusetts, tra il 1692 e il 1693.
Centinaia di dipendenti pubblici tedeschi che lavorano nei settori dell’istruzione e della cultura dovranno lasciare la Russia in seguito a una richiesta di Mosca, ha dichiarato all’Afp una fonte del governo tedesco. Il personale diplomatico e e i dipendenti di istituzioni pubbliche come l’organizzazione culturale Goethe Institute e la scuola tedesca di Mosca dovranno lasciar la Russia entro l’inizio di giugno. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, lo spionaggio russo in Germania è cresciuto a un ritmo raramente eguagliato negli ultimi anni, secondo i servizi di sicurezza tedeschi.
A metà aprile, la Germania ha espulso un certo numero di diplomatici russi “per ridurre la presenza dei servizi di intelligence”, provocando la reazione di Mosca che ha espulso una ventina di dipendenti dell’ambasciata tedesca. Nella primavera del 2022, la Germania aveva già espulso circa 40 diplomatici russi che Berlino riteneva rappresentassero una minaccia per la sua sicurezza. Lo scorso ottobre, il capo dell’agenzia tedesca per la sicurezza informatica, Arne Schoenbohm, è stato licenziato dopo che le notizie hanno rivelato la sua vicinanza a una società di consulenza per la sicurezza informatica che si ritiene abbia contatti con i servizi segreti russi. Un mese dopo, un ufficiale della riserva tedesca è stato condannato a una pena detentiva sospesa di un anno e nove mesi per aver spiato per la Russia.