Ad azione segue reazione: la Russia ha promesso una nuova rappresaglia contro l’Ucraina dopo aver affermato di aver abbattuto la scorsa notte sulla regione di Belgorod almeno otto missili balistici a medio raggio Atacms forniti a Kiev dagli Stati Uniti, il cui uso Mosca considera una linea rossa invalicabile. “Queste azioni del regime di Kiev, sostenuta dai suoi tutori occidentali, causeranno delle rappresaglie”, ha dichiarato lo stato maggiore russo in una nota, dopo aver affermato che il territorio russo era stato preso di mira, oltre che dagli Atacms, anche da 72 droni, che hanno ferito due persone nel Belgorod e provocato la chiusura temporanea dell’aeroporto Pulkovo di San Pietroburgo.
Ma l’Ucraina è cosciente che la rappresaglia minacciata da Mosca ha almeno due precedenti, l’ultimo dei quali fu l’inferno di fuoco scatenato sulle infrastrutture energetiche ucraine la notte del 13 dicembre, quando su tutto il Paese piovvero – secondo Kiev – quasi 200 droni e 94 missili, fra cui gli ipersonici Kinzhal, in risposta a sei missili Atacms o Storm Shadow britannici ucraini di due giorni prima. In precedenza, il 21 novembre, il presidente russo Vladimir Putin in persona vantò di aver fatto lanciare per rappresaglia sulla centrale elettrica di Dnipro il nuovo missile balistico sperimentale Oreshnik. Il quale, viaggiando fino a circa 10 volte la velocità del suono, secondo Mosca, non è intercettabile.
Un attacco, quello a Dnipro, che appare essere per metà un test, non solo del missile stesso, ma anche delle capacità dell’antiaerea ucraina e occidentale: tanto che Putin stesso ha “sfidato” i suoi nemici a bloccare, se ne sono capaci, un Oreshnik lanciato sul centro di Kiev. Kiev non ha fatto menzione del presunto attacco di missili Atacms, ma ha denunciato uno sciame di 81 droni russi durante la notte, 34 dei quali abbattuti dalle difese aeree e almeno altre 47 ‘esche’, fatte per confondere la contraerea, cadute in zone aperte. “Solo nei primi tre giorni del nuovo anno – ha denunciato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky -, l’esercito russo ha utilizzato più di 300 droni d’attacco e circa 20 missili, anche balistici, contro città e villaggi ucraini”.
Del resto, nell’incertezza su cosa potrà accadere fra due settimane con il cambio della guardia alla Casa Bianca e con la pressione militare ucraina che non dà tregua sul fronte del Donbass, seppure a un elevato costo in vite umane – anche oggi Mosca rivendica di aver conquistato il piccolo villaggio di Nadiya, nel Lugansk -, Kiev sente che dovrà contare sempre più sulle proprie forze. E a fronte dell’evidente difficoltà a reperire combattenti freschi, “i droni – ha detto Zelensky – sono diventati uno degli strumenti più importanti nella lotta contro l’occupante”. I droni, che adesso l’Ucraina progetta e fabbrica in proprio, “hanno già cambiato la guerra. Salvano le vite del nostro popolo e compensano la carenza di altre armi, compresa l’artiglieria”.
In questo contesto, in un momento in cui Mosca e Kiev si misurano a distanza in vista del processo di pace che Trump ha promesso, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha fatto una rivelazione al Financial Times, affermando che gli Stati Uniti ritenevano che Putin fosse sempre più tentato di ricorrere alle armi nucleari tattiche per risolvere a proprio favore una guerra che sta logorando le capacità militari, l’economia e l’immagine della Russia: una probabilità passata dal 5% al 15%, secondo Blinken, il quale ritiene che sia stata la Cina a dissuadere l’alleato. “Abbiamo ragione di credere che la Cina abbia contattato la Russia e le abbia detto: ‘Non ci provare'”, ha dichiarato il capo della diplomazia americana uscente.