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Cronache

Morto il giornalista Marco Gardenghi, una vita nel sindacato

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È morto a 69 anni il giornalista professionista ferrarese Marco Gardenghi, che ha lavorato per molti anni al Resto del Carlino, di cui è stato anche componente del Comitato di redazione, e ha ricoperto ruoli di vertice in Fnsi, Associazione stampa Emilia-Romagna (Aser) e Inpgi. In particolare è stato presidente dell’Aser dal 1998 al 2004 e componente della Giunta esecutiva della Federazione nazionale della stampa dal 2004 al 2011. Dal 2001 al 2011 è stato inoltre responsabile del Dipartimento emittenza radiotelevisiva locale della Fnsi. Tra i suoi incarichi anche quelli di consigliere generale Inpgi e fiduciario Inpgi per l’Emilia-Romagna. Dallo scorso giugno era presidente regionale del Gruppo giornalisti pensionati.

Sulla pagina Facebook di Gardenghi, noto appassionato anche di musica jazz e rugby, sono numerosi i ricordi e i messaggi di cordoglio di amici e colleghi. I familiari hanno reso noto che il funerale si terrà il 15 dicembre alle 14.20 nell’Aula del Commiato della Certosa di Ferrara. “Una vita per il sindacato, una grande personalità umana e politica”: così lo ricorda Paolo Serventi Longhi, presidente nazionale dell’Ungp ed ex segretario Fnsi, sul sito dell’Unione nazionale giornalisti pensionati.

“Tante le battaglie condotte insieme con tante e tanti amici nella Fnsi, dai contratti alla lotta per la libertà di informazione. Credo che la battaglia che lo fece più penare e soffrire fu quella in difesa di colleghe e colleghi del gruppo Riffeser prima come membro del cdr, poi come presidente dell’Aser e componente della giunta della Fnsi. Nella convinzione che le continue richieste di tagli e prepensionamenti non fossero giustificate. Aveva un carattere forte, poco incline a tutti i compromessi. Sindacali e politici. Trasparente e profondamente onesto e perbene. E però da ottimo sindacalista, gli accordi li sapeva fare, eccome. Come dimostra il contratto dell’emittenza locale con Aeranti-Corallo, con una trattativa durata oltre dieci anni”.

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Cronache

Giallo a Napoli, donna trovata morta in casa a Piscinola: indaga la polizia

Mistero a Piscinola: Nunzia Cappitelli, 50 anni, è stata trovata morta nel suo appartamento con una ferita alla testa. Gli inquirenti non escludono alcuna ipotesi.

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Si chiamava Nunzia Cappitelli, la donna di 50 anni trovata morta nella sua abitazione nel quartiere Piscinola, a Napoli. La vittima, nata nel 1974, era molto conosciuta nel rione e frequentava regolarmente la parrocchia della zona.

La scoperta è avvenuta nelle scorse ore: Nunzia è stata rinvenuta senza vita all’interno del suo appartamento, con un’unica ferita alla testa. Sul posto sono intervenuti gli agenti della Polizia di Stato e la scientifica, che hanno effettuato rilievi per diverse ore, alla presenza del magistrato di turno.


Tutte le ipotesi ancora aperte

Gli investigatori mantengono il massimo riserbo sull’accaduto. Al momento nessuna pista viene esclusa: si indaga sia su una possibile morte violenta, sia sull’ipotesi di un incidente domestico. Sarà ora l’autopsia a stabilire le reali cause del decesso e a chiarire la natura della ferita che la donna presentava alla testa.

Il compagno di Nunzia Cappitelli è stato già sentito dagli investigatori e, secondo quanto trapela, sarà nuovamente ascoltato nelle prossime ore per approfondire la ricostruzione dei fatti.


Il quartiere sotto choc

La notizia della morte di Nunzia ha profondamente scosso la comunità di Piscinola, dove la donna era conosciuta come una persona tranquilla e molto legata alla vita di quartiere. Parroco e fedeli hanno espresso cordoglio e incredulità per una vicenda che resta avvolta nel mistero e che solo le indagini potranno chiarire.

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Cronache

Le querele temerarie e il giornalismo delle marchette: così l’Italia ha spento la libertà di stampa

In Italia la libertà di stampa muore ogni giorno, soffocata da querele temerarie e da editori che trasformano i giornali in fabbriche di marchette e contenuti a pagamento.

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Altro che mafia, altro che minacce o scorte. Il giornalismo libero in Italia lo stanno uccidendo le querele temerarie. Quelle milionarie, depositate da “signori perbene” che si indignano se osi raccontare i loro affari torbidi, le loro commistioni con il potere, i loro rapporti con la politica o la pubblica amministrazione.
Politici, imprenditori, professionisti, banchieri, perfino magistrati — sì, magistrati — che usano la giustizia come un’arma per intimidire, fiaccare, annientare. Ogni volta che accade, non è solo un giornalista a essere colpito. È un pezzo di democrazia che si spegne.

Le querele bavaglio

Io, in trent’anni di giornalismo, ne ho contate decine. Ho passato migliaia di ore nei tribunali, da imputato, mai da condannato.
Ho dovuto difendermi da accuse ridicole, pretestuose, costruite con la precisione di chi conosce bene le falle del sistema.
In un processo sono finito persino identificato con il codice fiscale di Massimo Giletti e la data di nascita di Giuliano Ferrara. In un altro, un signore con la toga ha pensato bene di denunciarmi in tre procure diverse, chiedendomi pure 250 mila euro di danni civili nel tribunale della città in cui lui risiede e lavora.

Ti difendi, sì. Ma intanto spendi soldi, tempo, salute. Ti logori.
E intanto, chi ti ha querelato gode: l’obiettivo è raggiunto. Hai smesso di scrivere di lui. Ti sei zittito.

L’autocensura: il virus che ha infettato la stampa

Oggi i giornalisti non hanno più bisogno di essere censurati. Si censurano da soli.
Non per vigliaccheria, ma per stanchezza, per paura, per sopravvivenza.

E gli editori? Non fanno più giornali per raccontare il Paese, ma marchette eleganti travestite da articoli, comunicati stampa mascherati da inchieste, spot pubblicitari infilati tra le cronache.
È tutto evidente, alla luce del sole. Sulle stesse pagine dove un tempo trovavi inchieste che facevano tremare i palazzi del potere, oggi leggi interviste pagate ai colossi del tabacco per illustrare i nuovi “modelli sostenibili di consumo” o peana ai Ceo delle multinazionali del farmaco, settore che oggi foraggia alla grande il neo-giornalismo delle marchette.

E non è un incidente, ma un sistema perfetto.
Dentro le grandi case editrici dei giornali e dei magazine italiani convivono due aziende parallele: da un lato la redazione, che dovrebbe fare informazione; dall’altro una macchina societaria opaca, che non si occupa di pubblicità (per quella c’è la concessionaria), ma di business di lobby travestito da giornalismo.

Queste strutture organizzano corsi per manager, creano ranking e certificazioni fasulle su pari opportunità, gender gap, sostenibilità e altre questioni serie, svuotate di senso e trasformate in scemenze a pagamento.
Un mondo dove la reputazione si compra, la visibilità si vende e la verità non interessa più a nessuno.

I mafiosi e i perbene

Tutta quella retorica sui “giornalisti minacciati dalle mafie” suona ormai come una litania ipocrita.
Le mafie vere fanno paura, certo. Ma almeno rischiano qualcosa.
Le vere minacce oggi arrivano dai mafiosi in giacca e cravatta, quelli che non urlano ma ti soffocano con atti giudiziari.

Il giornalismo come il Csm di Palamara

Il giornalismo italiano oggi somiglia al Csm raccontato da Palamara: mercanteggi, compromessi, carriere costruite su rapporti opachi e silenzi calcolati.
Con una differenza: nel Csm si barattavano nomine, nel giornalismo si baratta la dignità.
E così il “cane da guardia” della democrazia si è trasformato nel cane da salotto dei potenti, con il guinzaglio corto e la ciotola piena.

Le querele manganello e le leggi che mancano

Le querele temerarie sono la versione giudiziaria del manganello: non ti spaccano la testa, ma ti spaccano la vita.
Eppure il Parlamento resta immobile. Servirebbe una legge di civiltà: punire severamente chi abusa della giustizia per intimidire un giornalista, prevedere risarcimenti automatici e sanzioni per chi usa il tribunale come clava.

Senza giornalismo libero, non c’è democrazia

Non si tratta di difendere una categoria — molti non meritano nemmeno di essere chiamati giornalisti — ma di difendere la qualità della democrazia.
Un Paese senza stampa libera è un Paese cieco.
E in Italia, da troppo tempo, chi dovrebbe accendere la luce preferisce restare al buio. O peggio ancora, vendere l’interruttore.

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Cronache

Cantone & Costabile firmano il Presepe di San Pietro: eccellenza artigianale napoletana nel cuore del Vaticano

Storico traguardo per l’artigianato napoletano: Cantone & Costabile realizzano il primo presepe mai affidato a una ditta esterna nella Basilica di San Pietro. Arte, fede e tradizione si incontrano nel cuore del Vaticano.

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Per la prima volta nella storia, il Presepe della Basilica di San Pietro è stato realizzato da una ditta esterna al Vaticano. E non poteva che essere napoletana: Cantone & Costabile, autentica eccellenza dell’artigianato partenopeo, già celebre nel mondo per i presepi monumentali di Piazza San Pietro del 2013, 2017 e 2023.

L’opera, che sarà collocata all’interno della Basilica a partire dal 1° dicembre, rappresenta un momento storico e simbolico, capace di unire arte, fede e tradizione in uno degli spazi più sacri della cristianità.


Un capolavoro di arte e tradizione

Ogni elemento del presepe porta la firma inconfondibile della scuola napoletana: materiali pregiati, cure minuziose nei dettagli, colori caldi e armonie luminose che raccontano la nascita di Cristo con l’autenticità e la poesia tipiche di Napoli.

Cantone & Costabile, noti per aver portato la tradizione partenopea nelle piazze e nei santuari più importanti del mondo, confermano con questa impresa la loro maestria artigianale di livello internazionale.

“Per noi è un onore e una profonda emozione poter portare la nostra arte all’interno della Basilica di San Pietro. È un riconoscimento al lavoro e alla passione di tutta la nostra squadra”,
dichiarano Antonio Cantone e Maria Costabile, fondatori dell’azienda.


Un riconoscimento al genio creativo di Napoli

Il nuovo presepe sarà visitabile per tutto il periodo natalizio e offrirà a fedeli e visitatori un’esperienza di spiritualità e bellezza, con il tratto distintivo di un’arte che ha reso Napoli capitale mondiale del presepe.

Con questa nuova creazione, Cantone & Costabile scrivono un’altra pagina straordinaria della loro storia, confermando che l’eccellenza artigianale napoletana è un patrimonio vivo, capace di unire il sacro e il popolare, la tradizione e l’innovazione, sotto la cupola più celebre del mondo.

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