Yahya Sinwar “è vivo” ma non nutre grandi speranze sul suo futuro a un anno dalle stragi compiute dai suoi uomini in Israele. Il leader di Hamas, isolato e annidato nella rete di tunnel a Gaza, punterebbe tutto sull’escalation del conflitto tra Tel Aviv, Beirut e Teheran per attenuare la morsa dell’esercito israeliano nella Striscia. Il quadro è stato tracciato dai responsabili dell’intelligence americana al New York Times: gli 007 sono convinti che Sinwar, rimasto l’unico in vita nella kill list dei responsabili degli attacchi del 7 ottobre, sarebbe consapevole che il “cerchio si stringe” e che non gli rimane molto tempo. Israele gli ha fatto terra bruciata intorno, eliminando innanzitutto la primula rossa e numero uno delle Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, Mohammed Deif – la mente del 7 ottobre – e il suo vice Marwan Issa; poi addirittura il capo politico Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran in circostanze da spy story ancora tutte da chiarire.
Ma l’elenco di comandanti di Hamas eliminati è ancora più lungo: l’ultimo è stato il successore di Deif e Issa, Sayyed Attaullah Ali, ucciso nelle ultime ore in un raid nel nord del Libano. Secondo gli analisti americani, al momento non ci sarebbe spazio per una tregua, mediata con il rilascio degli ostaggi: “L’atteggiamento di Sinwar si è inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori americani ora credono che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele”, scrive il Nyt citando le sue fonti. Del resto, stima l’intelligence Usa, sull’altro fronte il premier israeliano Benyamin Netanyahu “è concentrato soprattutto sulla sua sopravvivenza politica” e potrebbe considerare un cessate il fuoco contrario ai suoi interessi.
A Washington si ipotizza che “Sinwar sia diventato sempre più rassegnato mentre le forze israeliane gli danno la caccia”: Israele e gli Stati Uniti hanno investito ingenti quantità di risorse per scovarlo. La Cia ha creato un’unità speciale e il Pentagono ha dato direttive ai suoi operativi per contribuire alle ricerche degli israeliani. Da tempo il capo di Hamas si è affidato ad una rete di comunicazione verbale, utilizzando membri dell’organizzazione per fare spola con i comandi militari. Quindi nessun telefono, neppure satellitare, per eludere le ricerche dei sofisticati radar forniti dagli Usa, anche grazie alla fitta rete di tunnel a Gaza che gli ha permesso in questi mesi di muoversi in relativa tranquillità, talvolta anche all’aria aperta. Alcune sue tracce sono state trovate nel tunnel di Tel Sultan, dove sono stati rinvenuti i cadaveri di sei ostaggi israeliani, mentre un bombardamento su un complesso sotterraneo dove si riteneva potesse nascondersi si sarebbe risolto con un nulla di fatto. Il corpo di Sinwar non c’era, hanno riferito i media di Tel Aviv. Da allora nessun segno di vita, ma neppure di morte.
Il ricercato numero uno al mondo potrebbe tornare a far sentire la sua voce in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, sulle orme del bin Laden annidato nelle grotte afghane, sfidando i cacciatori del Mossad e della Cia in un ultimo sberleffo: convinto ormai che il messaggio di Teheran per lui sia che “non arriverà la cavalleria” iraniana a salvarlo, e che la sua sorte, prima o dopo, sia ormai segnata.