Gli incendi che nel luglio 2017 devastarono ampie parti del Parco nazionale del Vesuvio (quasi la metà della superficie boschiva), compromettendone gravemente la biodiversità, rappresentarono una ferita dolorosa per tutti i napoletani che hanno a cuore la propria terra. Furono tanti i cittadini che non restarono a guardare e si impegnarono per giorni nel tentativo disperato di contenere le fiamme. Fra gli attivisti della prima ora ci fu Silvano Somma, dottore forestale e oggi presidente dell’associazione Primaurora. Proprio in questi giorni l’associazione ha portato a compimento la prima fase del progetto “Riforestiamo il Gigante”. Insieme al contribuito di quasi quaranta associazioni, quasi mille fra lecci, frassini, sughere ed altre specie autoctone sono stati messi a dimora. La natura in modo spontaneo farà il suo corso, ma anche l’uomo può contribuire a far tornare verdi e rigogliosi i versanti del vulcano ridotti ad un manto di cenere dalle fiamme di quattro anni fa.
Presidente Somma, ci parla dell’associazione Primaurora?
L’associazione Primaurora nasce all’indomani degli incendi del 2017. È formata perlopiù da attivisti ambientali, attivi nell’area vesuviana, nel napoletano e nel salernitano. Dopo l’incendio ci siamo resi conto della necessità di costituirci in un’associazione per interagire in modo proficuo con enti e istituzioni. Ci muoviamo a trecentosessanta gradi nella tutela ambientale, dal monitoraggio del territorio all’educazione ambientale, da attività antincendio a progetti di riforestazione. Tra di noi ci sono molti professionisti, per cui ci poniamo in modo tecnico nei confronti delle problematiche e riusciamo spesso a proporre anche possibili soluzioni.
Come nasce il progetto “Riforestiamo il Gigante”?
Noi fummo fra i primi ad attivarci sul Vesuvio durante quei giorni drammatici. La gravità di quell’incendio richiede un supporto da parte dell’uomo, anche se la natura si sta riprendendo in modo spontaneo. Questa attività non prevede al momento alcun finanziamento, né abbiamo lanciato campagne di raccolta fondi. Ci siamo autotassati e abbiamo coinvolto circa quaranta associazioni che hanno sposato il progetto. Disponiamo di tutte le autorizzazioni necessarie per piantare in un’area tutelata. Abbiamo avuto anche il patrocinio dell’ordine degli agronomi. E Il Comune di Torre del Greco ci fornirà l’acqua nei mesi estivi, quelli più duri. Noi volontari ci metteremo la manodopera. Abbiamo concluso il primo step, se tutto andrà bene espanderemo il progetto ad altre aree del Parco. Il nostro vuole essere un modello e un presidio di ambientalismo e legalità.
Com’è andata la prima fase, ce la racconta?
Abbiamo messo a dimora circa ottocento alberi, seguendo i protocolli e le linee guida fornite dall’Università Federico II. Le specie coinvolte sono il frassino, il leccio, la roverella, la sughera, il pino domestico e il corbezzolo. Innestare piante nuove sotto gli alberi morti non avrebbe avuto senso, perché una volta che questi vengono tagliati o cadono naturalmente, distruggono le nuove piante. Era quindi necessaria un’azione preliminare di rimozione. I lavori di taglio ed esbosco delle pinete bruciate sono a buon punto sia nella parte pubblica che in quella privata del Parco, per cui ora abbiamo potuto incominciare a piantare.
Dove può intervenire l’uomo per favorire la ripresa della natura?
Il nostro intervento si concentrerà nelle aree marginali, che possono essere raggiunte con comodità. In tante altre zone la natura da sola sta facendo un grandissimo lavoro. Non mancheranno, purtroppo, aree in cui la natura stenta a riprendersi e noi non potremo arrivare perché troppo impervie; ma è normale che sia così, non possiamo pensare di ripristinare tutti i 3400 ettari bruciati. La rinaturalizzazione mette in moto processi spontanei: una volta che abbiamo messo a dimora questi alberi, i loro semi saranno diffusi da uccelli vento e acqua nelle aree circostanti. Per questo è più corretto parlare di rinaturalizzazione, la nostra non è una riforestazione vecchio stampo.
Qual è l’entità del danno generato dagli incendi del 2017?
Il Parco nazionale del Vesuvio si estende per circa 8400 ettari, di questi sono stati interessati dalle fiamme quasi 3400 ettari. C’è però da considerare che gli ettari di bosco, al netto del gran cono e delle parti vuote, sono circa 4500. L’incendio ha quindi percorso l’85% circa delle aree boscate del Parco. Con severità diversa: il danno è stato massimo in circa 500 ettari, medio-massimo in circa 2000 ettari, di severità bassa nella parte restante. Ci sono poi rischi di frane derivanti dal dissesto idrogeologico, soprattutto sul Monte Somma, il versante settentrionale del Vesuvio. Sul versante meridionale invece, il timore è che l’insediamento di specie aliene, l’ailanto e la robinia, tolga spazio alle specie autoctone, compromettendo la biodiversità e il valore del Parco.
Che cosa ricorda di quei giorni dolorosi?
Ho ancora delle immagini stampate nella memoria. Su tutte, il momento in cui l’incendio della pineta passò da radente ad incendio di chioma. Ci ritrovammo all’improvviso davanti ad un muro di fuoco alto trenta metri. Ci sentimmo impotenti. Ricordo le fiamme avanzare incontrastate e bruciare tutto ciò che incontravano sul loro cammino. E poi il momento successivo al loro passaggio, uno scenario apocalittico, da guerra nucleare. I boschi, prima verdi e rigogliosi, animati dai rumori degli animali, erano diventati silenziosi e carbonizzati, un manto di cenere. Decidemmo di non arrenderci; lanciai subito un appello sui social a cui risposero più di duecento volontari. Iniziammo così anche a soccorrere la fauna, portando acqua e cibo agli animali del Vesuvio.
Vesuvio. Un pezzo della foresta vesuviana incenerita dai roghi del 2017
Che idea s’è fatto sulle cause dei roghi?
Ha inciso la scarsa manutenzione della viabilità e delle vie tagliafuoco; inoltre il passaggio dal corpo forestale ai carabinieri forestali. Fra il personale del corpo forestale era previsto il DOS, il direttore delle operazioni di spegnimento. Poiché quello era l’anno di transizione, mancarono molte figure di coordinamento e ciò provocò carenze nella gestione dell’incendio. Il vento e la siccità fecero il resto. L’origine dolosa invece non è stata accertata. C’è stato un solo arresto, un ragazzo accusato di aver incendiato un ettaro di bosco. La narrazione dell’attacco criminale al momento non trova riscontro. Le aree incendiate sono soggette ad una serie di vincoli e non c’è nessuno che ad oggi stia lucrando con attività di rimboschimento. Potrebbe essersi trattato in origine di un incendio colposo. Non a caso è partito a bordo strada ad Ercolano, se si vuol incendiare in modo strategico non si parte certo da lì.
In quanto tempo potrà rigenerarsi il patrimonio naturalistico perduto?
Non dobbiamo aspettarci che ritorni come prima; la pineta monospecifica di pino domestico non tornerà più. Nell’arco di dieci anni il Vesuvio sarà di nuovo rigoglioso e numerose specie saranno di nuovo attecchite. È però fondamentale che l’uomo tuteli questo patrimonio. Se nuovi incendi colpissero le piante che stanno rinascendo queste potrebbero non riprendersi più. In dieci quindici anni credo che si ricostituirà una buona parte del patrimonio boschivo. Ma non pensiamo ai boschi di alto fusto, per certe dimensioni dovremo aspettare non meno di quarant’anni.
Vesuvio. Monte Somma visto da un elicottero dei carabinieri dopo gli incendi del mese di agosto 2017
Quali errori non dovranno essere ripetuti dalle istituzioni?
Non devono più sottovalutare gli incendi, bloccarli sul nascere è fondamentale. Con le giuste condizioni di vento, siccità e combustibile, anche il più banale degli incendi può diventare pericoloso. Noi quest’estate abbiamo segnalato tanti incendi e abbiamo aiutati i mezzi per lo spegnimento ad arrivare sul posto. Il Parco nazionale ha inserito inoltre due squadre di vigili del fuoco di pronto intervento. Ci vuole però anche una manutenzione attenta e costante della viabilità del Parco. Andiamo incontro ad estati sempre più siccitose, con eventi di incendio sempre più indomabili. Con gli anni il combustibile tornerà a crescere e si potranno presentare di nuovo le condizioni ideali per un maxi incendio. Dovremo farci trovare pronti quando il fuoco tornerà alle pendici del Vesuvio.
Scoperta in Australia una nuova specie di ape con le corna: si chiama “Lucifero”
Gli scienziati australiani hanno scoperto una nuova specie di ape con minuscole corna, chiamata “Lucifero”. Si trova solo nell’Australia Occidentale e rappresenta la prima scoperta del genere in 20 anni.
Una nuova specie di ape autoctona è stata scoperta in Australia e, per le sue caratteristiche uniche, gli scienziati le hanno dato un nome singolare: “Lucifero”. Il nuovo insetto, denominato Megachile Lucifer, è stato individuato durante uno studio su un raro fiore selvatico dei Bremer Ranges, nella regione dei Goldfields, nell’Australia Occidentale, circa 470 chilometri a est di Perth.
L’ape con le corna
La particolarità di questa specie risiede nelle piccole corna prominenti, presenti solo nelle femmine. Secondo i ricercatori, queste strutture potrebbero servire come meccanismo di difesa o come strumento per raccogliere polline, nettare o resine utilizzate nella costruzione dei nidi.
Il nome ispirato a una serie Netflix
La scienziata responsabile della scoperta ha spiegato che il nome Lucifer è stato scelto in modo ironico e ispirato dalla serie televisiva “Lucifer” di Netflix, che stava guardando durante il periodo della ricerca. Il nome, però, risulta quanto mai appropriato per un insetto dalle caratteristiche tanto singolari e misteriose.
Una scoperta importante dopo 20 anni
Il Megachile Lucifer rappresenta il primo nuovo membro del suo gruppo tassonomico in 20 anni, un evento che sottolinea la ricchezza e la varietà della fauna australiana. Gli studiosi sperano che questa scoperta contribuisca a sensibilizzare sulla tutela della biodiversità e sulla necessità di proteggere gli ecosistemi unici dell’Australia Occidentale.
Bonifiche a Taranto, dal governo 97 milioni: “Riconoscimento storico per la città”
Il governo destina a Taranto oltre 97 milioni per la bonifica ambientale, pari al 35% delle risorse nazionali. Uricchio: “Riconoscimento storico delle criticità del territorio”.
Una quota record delle risorse nazionali per la tutela ambientale sarà destinata a Taranto. Con la firma dell’Accordo per la Coesione, il governo ha assegnato al territorio jonico oltre 97 milioni di euro, pari al 34,66% dei fondi complessiviper la linea nazionale “Bonifiche”.
Il commissario per le bonifiche del SIN di Taranto, Vito Felice Uricchio, ha espresso “viva e profonda soddisfazione per la sottoscrizione di questa intesa di portata strategica”, firmata dal Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il dettaglio degli interventi finanziati
Nel dettaglio, 89,9 milioni di euro saranno destinati alla bonifica dell’area Pip Statte-SIN Taranto, mentre 7,1 milioniandranno alla messa in sicurezza della falda nell’ex Yard Belleli, un’area da anni segnata da criticità ambientali.
“Per la prima volta questi interventi dispongono di una copertura finanziaria solida che consentirà di avviare e completare opere essenziali per la salute pubblica e per l’ambiente”, ha sottolineato Uricchio.
“Un riconoscimento storico per Taranto”
Il commissario ha definito l’accordo “un atto di riconoscimento storico delle complesse e decennali criticità ambientali del territorio”. Ha poi rivolto “un sentito ringraziamento al governo, al ministro Pichetto e alla viceministra con delega alle bonifiche, Vannia Gava, per l’attenzione riservata a Taranto”.
Con i 97.041.212,30 euro stanziati, la città potrà contare su risorse senza precedenti per avviare un percorso di rigenerazione ambientale e sanitaria in un territorio che da decenni attende interventi strutturali.
L’Accordo per la Coesione rappresenta dunque un passo decisivo verso la messa in sicurezza del sito industriale di interesse nazionale di Taranto, segnando un nuovo capitolo nella politica ambientale italiana e nel risanamento di una delle aree più compromesse del Paese.
Pac, accordo Ue per semplificare la Politica agricola: meno ispezioni e più sostegni ai piccoli agricoltori
Accordo tra Parlamento Ue e Stati membri per semplificare la Politica agricola comune: meno controlli, tetti più alti per gli aiuti ai piccoli agricoltori e nuove misure per gestire le crisi.
Il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno raggiunto in serata un accordo sulla semplificazione della Politica agricola comune (Pac), accogliendo la proposta avanzata a maggio dalla Commissione europea. Il nuovo pacchetto prevede meno ispezioni, tetti di aiuto più alti e una gestione più flessibile dei fondi, con risparmi stimati in 1,58 miliardi di euro all’anno per gli agricoltori e 240 milioni per le amministrazioni nazionali.
Aiuti forfettari e nuovi incentivi allo sviluppo
L’intesa innalza a 3.000 euro (rispetto ai 2.500 proposti inizialmente) il tetto massimo degli aiuti forfettari annuali che i governi potranno concedere ai piccoli agricoltori. È inoltre previsto un nuovo pagamento una tantum fino a 75mila euro per sostenere lo sviluppo aziendale.
Sul fronte dei controlli, le ispezioni in loco saranno limitate a un solo anno, alleggerendo il carico burocratico per le aziende agricole più piccole e favorendo una gestione più snella e mirata dei fondi comunitari.
Maggiore flessibilità sugli standard ambientali
L’accordo interviene anche sulle “buone condizioni agronomiche e ambientali” (Bcaa), gli standard necessari per ricevere i sussidi agricoli europei. I terreni che risulteranno coltivabili al 1° gennaio 2026 manterranno tale status anche se non arati o riseminati.
Un’ulteriore semplificazione riguarda gli agricoltori biologici, che saranno automaticamente considerati conformi ai criteri “green” della Pac. Gli Stati membri potranno inoltre stabilire in che misura anche le aziende parzialmente biologiche potranno beneficiare dello stesso riconoscimento.
Fondi di emergenza e nuove tutele contro le crisi
Le capitali europee avranno la possibilità di destinare fino al 3% dei propri fondi Pac all’anno per risarcire gli agricoltori colpiti da crisi, come quelle legate ai cambiamenti climatici o alla diffusione di malattie animali.
L’accordo dovrà ora essere ratificato dal Consiglio e dal Parlamento europeo prima di entrare in vigore ufficialmente.
Hansen: “Una vittoria per gli agricoltori europei”
Il commissario Ue all’Agricoltura Christophe Hansen ha accolto positivamente l’intesa: “È una grande vittoria per gli agricoltori e i produttori agroalimentari dell’Ue. Li aiuterà a concentrarsi sull’obiettivo principale: nutrire l’Europa con politiche più semplici e più giuste”.