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Cronache

Migranti: ancora un naufragio, si temono 40 morti

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Un’altra strage nel Mediterraneo. Un barcone e’ naufragato nella notte al largo di al Khums, ad est di Tripoli: 5 i cadaveri recuperati (anche un bimbo ed una donna); 65 persone sono state salvate dalla guardia costiera libica e da pescatori; mancano all’appello circa 20 persone che si trovavano a bordo; 40 secondo altre testimonianze dei sopravvissuti. Intanto, in Italia, la crisi di governo non ha impedito a Matteo Salvini di firmare l’ennesimo divieto di ingresso nelle acque italiane per una nave umanitaria, la tedesca Eleonore, 101 migranti a bordo. Lo stop e’ stato siglato anche dai ministri M5S Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli. Cosa che ha fatto parlare il titolare del Viminale di “ritrovata compattezza del Governo”. E’ stato il servizio telefonico Alarm Phone a ricevere alle 3.30 della scorsa notte la chiamata da una barca in difficolta’ partita 3 ore prima da al Khums con circa 100 persone a bordo. “Abbiamo tentato di ottenere la posizione GPS – spiega Alarm Phone – ma i naufraghi erano nel panico e non sono riusciti a comunicarla. Urlavano e piangevano, dicendo che alcuni di loro erano gia’ morti. La barca era molto vicina alla Libia e non abbiamo potuto fare altro che informare le autorita’ in Libia e in Italia”. La Guardia costiera libica si e’ mossa in soccorso e lo stesso hanno fatto barche di pescatori che si trovavano nelle vicinanze: 65 migranti sono stati salvati, recuperati cinque corpi, almeno 20 i dispersi secondo il portavoce della Marina libica, l’ammiraglio Ayoub Qasim, che ha citato testimonianze dei sopravvissuti. Unhcr e Oim Libia temono invece che i dispersi siano 40. La maggior parte dei migranti e’ di nazionalita’ sudanese. La portavoce dell’Unhcr Carlotta Sami definisce “inaccettabile” il naufragio e ricorda che dall’inizio dell’anno si stimano circa 900 vittime nel Mediterraneo: “queste morti non possono essere considerate fatalita’ o danni collaterali. Deve essere ripristinato al piu’ presto il sistema di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. Massimo supporto a ong impegnate a riempire il vuoto umanitario”. Per una barca che affonda, ce n’e’ un’altra, la Eleonore della ong Mission Lifeline, che vaga senza un porto con 101 persone salvate ieri sempre davanti ad al Khums. Salvini si e’ affrettato a firmare il divieto di ingresso per la nave; si sono accodati i colleghi Toninelli e Trenta. Ed il ministro puo’ parlare di “ritrovata compattezza del Governo”, con l’intenzione di sabotare il tentativo di intesa Cinquestelle-Pd alludendo ad un ritorno del ‘forno’ M5S-Lega. Il deputato dem Matteo Orfini attacca: “mentre contiamo decine di morti nel Mediterraneo, Matteo Salvini chiude i porti a chi ha salvato 101 esseri umani e annuncia che anche Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, ha sottoscritto la scelta, mentre Giuseppe Conte tace. Per me discontinuita’ significa prima di tutto smetterla con queste politiche disumane. Subito”. La Eleonore si e’ diretta verso Malta ma neanche sull’isola ha trovato ospitalita’. Anzi. Le autorita’ maltesi – secondo quanto denuncia Lifeline – non solo non hanno concesso alla nave di entrare nelle proprie acque territoriali, ma hanno rifiutato di fornire acqua e cibo. “Malta vuole che i rifugiati e l’equipaggio muoiano di sete sulla Eleonore”, denuncia la ong.

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Cronache

Tragedia a Muggia: madre ucraina uccide il figlio di nove anni, il bambino era stato affidato al padre

A Muggia, in provincia di Trieste, una madre ucraina ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Il bambino, affidato al padre dopo la separazione, era in visita alla donna.

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Una tragedia sconvolgente ha scosso la comunità di Muggia, alle porte di Trieste. Una donna di nazionalità ucraina ha ucciso il figlio di nove anni, tagliandogli la gola con un coltello all’interno della loro abitazione in via Marconi, nel centro cittadino.

L’allarme è stato lanciato nella serata di ieri dal padre del bambino, che vive fuori dal Friuli Venezia Giulia e non riusciva a mettersi in contatto con l’ex compagna. Quando la Squadra Mobile di Trieste è arrivata nell’appartamento, il piccolo era già morto.


Una famiglia seguita dal tribunale e dai servizi sociali

La vicenda familiare era nota ai servizi sociali ed era seguita anche dal tribunale minorile. Dopo la separazione, la custodia del bambino era stata affidata al padre, ma la madre aveva mantenuto il diritto di incontrare il figlio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni del giudice.

I rapporti tra i due genitori erano difficili, come hanno riferito persone vicine alla famiglia. Ieri sera, l’incontro si è trasformato in tragedia.


Il corpo trovato in bagno, la madre in stato di choc

Quando i Vigili del Fuoco e gli agenti di polizia sono entrati nell’abitazione, il corpo del bambino era già senza vita da diverse ore e si trovava nel bagno di casa.

La donna è stata trovata in stato di choc e soccorsa sul posto. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica dei fatti e le eventuali motivazioni del gesto, mentre la Procura di Trieste ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato.

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Inchiesta sui cellulari in carcere: perquisizioni ad Avellino, 18 indagati tra detenuti ed ex detenuti

I Carabinieri di Avellino e la Polizia Penitenziaria hanno eseguito perquisizioni nel carcere “Antimo Graziano” e in altre sedi: 18 indagati per uso illecito di cellulari in carcere, uno anche per stalking.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino, insieme alla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale e al Nucleo Investigativo Regionale per la Campania, hanno eseguito un decreto di perquisizione locale e personale a carico di 18 indagati, tutti detenuti o ex detenuti dell’istituto penitenziario “Antimo Graziano” di Avellino.

Gli indagati sono gravemente sospettati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). In un caso si procede anche per atti persecutori (articolo 612 bis).


L’operazione nel carcere “Antimo Graziano”

Le perquisizioni, disposte dalla Procura della Repubblica di Avellino, hanno interessato le celle ancora occupate dagli indagati con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e schede SIM detenuti illegalmente.

Il provvedimento nasce da un’indagine condotta dai Carabinieri di Avellino a partire da febbraio 2025, mirata a contrastare il fenomeno dell’uso di smartphone e cellulari all’interno delle carceri, spesso utilizzati per comunicazioni non autorizzate o per accedere ai social network.


La rete dei contatti e i profili social

Le investigazioni hanno rivelato una vera e propria rete di telefoni connessi, una “connected cell” che consentiva ai detenuti di mantenere rapporti continui con l’esterno. Attraverso l’analisi di tabulati telefonici e telematici, spesso riferiti a utenze intestate a soggetti fittizi, gli investigatori hanno ricostruito il circuito relazionale dei detenuti, identificando familiari e amici contattati illegalmente.

Su alcuni profili social riconducibili agli indagati sono stati trovati messaggi e immagini di rilievo investigativo, che confermano l’uso illecito dei dispositivi per comunicazioni e attività potenzialmente criminali.


Un caso di stalking tra i reati scoperti

Le indagini hanno inoltre evidenziato che i telefoni venivano utilizzati anche per commettere altri reati. In particolare, un detenuto è risultato gravemente indiziato di atti persecutori ai danni della vedova dell’uomo da lui ucciso, utilizzando lo smartphone per continuare a molestarla anche dal carcere.

L’inchiesta resta aperta, mentre la Procura di Avellino valuta ulteriori sviluppi per accertare eventuali responsabilità all’interno dell’istituto penitenziario.

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Scoperto bunker-serra di marijuana nell’Aspromonte: denunciati padre e figlio a Platì

I carabinieri scoprono un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla a Platì: coltivavano marijuana con un impianto elettrico abusivo. Denunciati padre e figlio.

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Un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla in mezzo alla vegetazione aspromontana è stato scoperto dai carabinieri della Stazione di Platì, insieme ai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e del 14° Battaglione “Calabria”, nel corso di un’operazione di controllo del territorio contro la produzione di sostanze stupefacenti.

Padre e figlio, entrambi denunciati in stato di libertà, sono ritenuti responsabili di aver realizzato una vera e propria serra “indoor” per la coltivazione di cannabis, trasformando un capanno agricolo in disuso in un sofisticato laboratorio sotterraneo.

Il cavo elettrico che ha svelato il bunker

L’operazione è scattata dopo una lunga attività di osservazione. Durante una perlustrazione in un’area rurale, i carabinieri hanno notato un cavo elettrico che si perdeva tra gli alberi. Seguendone il tracciato per centinaia di metri, sono giunti all’ingresso di un capanno apparentemente abbandonato.

Dietro un pannello basculante azionato da un sistema di contrappesi, nascosto alla vista, si celava l’accesso a un bunker sotterraneo. All’interno, i militari hanno trovato una piantagione di marijuana con piante alte tra 70 e 110 centimetri, illuminate e ventilate da un impianto elettrico e di aerazione alimentato da un allaccio abusivo alla rete pubblica.

Una serra illegale tecnologicamente avanzata

La struttura era interamente realizzata abusivamente e dotata di tutto il necessario per garantire la crescita indisturbata delle piante: trasformatori, ventilatori, lampade e sistemi di ventilazione ricreavano le condizioni ottimali di una serra professionale.
Tutto era stato studiato nei minimi dettagli per nascondere l’attività e mantenerla attiva in modo costante, lontano da occhi indiscreti.

L’operazione dei carabinieri di Locri

L’intervento rientra in una più ampia strategia di contrasto al narcotraffico condotta dai carabinieri della Compagnia di Locri, che da tempo intensificano i controlli nelle aree più impervie dell’Aspromonte, spesso utilizzate per la produzione e lo stoccaggio di droga.

In una nota, l’Arma ha sottolineato come “la conoscenza del territorio e l’esperienza operativa dei militari restano un baluardo fondamentale contro l’illegalità”, ribadendo l’impegno quotidiano nel controllo delle zone rurali più isolate della Calabria.

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