Collegati con noi

Cinema

Miglior film ‘The room next door’ di Almodovar, ma ecco tutti i premi ufficiali di Venezia 81

Pubblicato

del

Con Pedro Almodovar che alza il Leone d’oro mentre la sala lo applaude fragorosamente in piedi va in archivio Venezia 81, la Mostra del cinema che quest’anno ha riportato al Lido un grande numero di star. È stata nel segno del grande regista spagnolo la cerimonia in cui le istanze per il cinema, il tema forte del fine vita, il genocidio a Gaza, l’aiuto alle donne sono stati, tra i ringraziamenti e le commozioni, l’argomento dei discorsi dei premiati.

Nella prima fila della galleria al centro si è seduto, senza percorrere il red carpet, il neo ministro della cultura Alessandro Giuli. Solo due settimane fa quella stessa poltrona era occupata da Gennaro Sangiuliano costretto da uno scandalo a dimettersi ieri. Giuli ha seguito la cerimonia, con un occhio al telefonino, avendo accanto il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco suo storico amico.

E Buttafuoco dichiarando chiusa l’81/a Mostra di Venezia, nel dare appuntamento all’82/a che si svolgerà dal 27 agosto al 6 settembre 2025, ha declamato una frase delle Epistole di Orazio “Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt” (“Mutano non il loro animo, ma il cielo coloro che vanno per mare”) che potrebbe essere un auspicio proprio per Giuli. La presidente di giuria Isabelle Huppert, con un abito scultura bianco (la domanda in sala era: e ora come lo toglierà?), ha annunciato il premio ad Almodovar, dato all’unanimità, per il film La stanza accanto.

Il regista, al suo primo film in lingua inglese, si è emozionato, ha parlato del “miracolo” che le sue grandi attrici Julianne Moore e Tilda Swinton sono riuscite a fare ogni giorno sul set di questa storia su una donna alla fine dei suoi giorni e della sua amica scelta per accompagnarla in questo fine vita. “Ogni essere umano deve essere libero di scegliere questo momento con dignità e i governi devono prendere decisioni, fare regolamenti per aiutare le persone e rispettarle”, ha detto Almodovar. L’Italia c’è, arrivata sul palco per il secondo premio, il Leone d’argento Gran premio della giuria, con una regista tenace quanto minuta, Maura Delpero con la sua seconda opera, Vermiglio, girata quasi totalmente con attori non protagonisti, in lunghi mesi per rispettare le stagioni, e in dialetto.

Agnieszka Holland, nella giuria di Venezia 81, la abbraccia e le consegna il leone. “Questo film è stato possibile con il sostegno pubblico. Vorrei ricordare – ha detto Delpero – che senza questi fondi il film avrebbe dovuto tradire se stesso, non avrebbe avuto il dialetto che è la musica di questo film, non avrebbe avuto volti veri ma magari attori che avrebbero fatto incassare, non avrebbe potuto aspettare i ritmi della natura. È importante che ci sia dialogo tra il cinema indipendente e le istituzioni”, ha concluso la regista guardando proprio verso il palco dove era seduto il neo ministro. Non solo: Delpero ha colto l’occasione del premio nella notte dei Leoni per parlare anche di politica familiare, dal suo esempio di regista mamma, una politica di conciliazione tra lavoro e famiglia.

“Mi auguro che la società che si riproduce con i corpi delle donne senta questo problema come suo e non lasci sole le donne”, ha concluso. L’appello per il cinema è venuto dopo l’invito di Nanni Moretti ai colleghi cineasti. Sul palco ritirando il premio per il miglior restauro a Venezia Classici di Ecce Bombo (“un premio inaspettato, sproporzionato, esagerato visti i film in gara Da De Sica a Fritz Lang, ma che mi emoziona perché evidentemente riesce a parlare ancora, ai giovani di oggi”) ha detto con voce forte: “Forse dovremmo essere più reattivi nei confronti della nuova pessima legge sul cinema”. Giuli insomma dal palco di Venezia qualche avvisaglia sullo stato d’allerta del cinema l’ha avuta.

La serata, politica a parte, è stata anche tanto altro. La sorpresa Nicole Kidman che, richiamata al Lido per essere premiata con la Coppa Volpi per Babygirl ha avuto la notizia della morte della madre ed è tornata a casa, e la profusione di ringraziamenti di Vincent Lindon, Coppa Volpi per Noi e loro, alla presidente Huppert: “cosi generosa verso un attore francese ed è raro” ha detto prima di baciare uno ad uno i giurati e scherzare con autoironia sui suoi disturbi facciali “ecco i miei tic partono”.

Il più tenero? Decisamente il giovane Francesco Gheghi, migliore attore a Orizzonti per il film Familia di Francesco Costabile, che racconta una storia vera di violenza domestica e di un parricidio. Un discorso lunghissimo il suo, interrotto dalla commozione sincera, e con dediche speciali (persino al nonno in cielo) ai genitori “che mi hanno cresciuto con amore e serenità che diamo troppo per scontati”. L’exploit? Decisamente quello della regista Sarah Sarah Friedland, che con la sua opera prima Familiar Touch ha avuto tre premi importanti. Ebrea americana, Friedland ha espresso solidarietà al popolo palestinese. Stesso proclama da Scandar Copti che per Happy Holidays, che parla di due famiglie palestinesi e israeliane a confronto.

Ecco tutti i premi di Venezia 81:


VENEZIA 81

Giuria: Isabelle Huppert (Presidente), James Gray, Andrew Haigh, Agnieszka Holland, Kleber Mendonça Filho, Abderrahmane Sissako, Giuseppe Tornatore, Julia von Heinz, Zhang Ziyi.

  • Leone d’Oro per il miglior film:
    The Room Next Door di Pedro Almodóvar (Spagna)
  • Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria:
    Vermiglio di Maura Delpero (Italia, Francia, Belgio)
  • Leone d’Argento per la migliore regia:
    The Brutalist di Brady Corbet (Regno Unito)
  • Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile:
    Nicole Kidman nel film Babygirl di Halina Reijn (Stati Uniti)
  • Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile:
    Vincent Lindon nel film Jouer Avec le Feu (The Quiet Son) di Delphine Coulin e Muriel Coulin (Francia)
  • Premio per la migliore sceneggiatura:
    Murilo Hauser e Heitor Lorega per il film Ainda Estou Aqui di Walter Salles (Brasile, Francia)
  • Premio Speciale della Giuria:
    April di Dea Kulumbegashvili (Francia, Italia, Georgia)
  • Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente:
    Paul Kircher nel film Leurs Enfants Après Eux (And Their Children After Them) di Ludovic Boukherma e Zoran Boukherma (Francia)

ORIZZONTI

Giuria: Debra Granik (Presidente), Ali Asgari, Soudade Kaadan, Christos Nikou, Tuva Novotny, Gábor Reisz, Valia Santella.

  • Premio Orizzonti per il miglior film:
    Anul Nou Care N-a Fost (The New Year That Never Came) di Bogdan Mureșanu (Romania, Serbia)
  • Premio Orizzonti per la migliore regia:
    Sarah Friedland per il film Familiar Touch (Stati Uniti)
  • Premio Speciale della Giuria Orizzonti:
    Hemme Nin Öldüğü Günlerden Biri (One of Those Days When Hemme Dies) di Murat Fõratoğlu (Turchia)
  • Premio Orizzonti per la migliore interpretazione femminile:
    Kathleen Chalfant nel film Familiar Touch di Sarah Friedland (Stati Uniti)
  • Premio Orizzonti per la migliore interpretazione maschile:
    Francesco Gheghi nel film Familia di Francesco Costabile (Italia)
  • Premio Orizzonti per la migliore sceneggiatura:
    Scandar Copti per il film Happy Holidays (Palestina, Germania, Francia, Italia, Qatar)
  • Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio:
    Who Loves the Sun di Arshia Shakiba (Canada)
  • Venice Short Film Nomination for the European Film Awards 2024:
    René Va Alla Guerra di Luca Ferri, Morgan Menegazzo, Mariachiara Pernisa (Italia)

LEONE DEL FUTURO – PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS”

Giuria: Gianni Canova (Presidente), Ricky D’Ambrose, Taylor Russell, Bárbara Paz, Jacob Wong.

  • Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima (Luigi De Laurentiis):
    Familiar Touch di Sarah Friedland (Stati Uniti)

ORIZZONTI EXTRA

  • Premio degli Spettatori – Armani Beauty:
    Shahed (The Witness) di Nader Saeivar (Germania, Austria)

VENEZIA CLASSICI

Giuria: Renato De Maria (Presidente), 24 studenti dei corsi di cinema delle università italiane.

  • Premio Venezia Classici per il miglior documentario sul cinema:
    Chain Reactions di Alexandre O. Philippe (Stati Uniti)
  • Premio Venezia Classici per il miglior film restaurato:
    Ecce Bombo di Nanni Moretti (Italia, 1978)

VENICE IMMERSIVE

Giuria: Celine Daemen (Presidente), Marion Burger, Adriaan Lokman.

  • Gran Premio Venice Immersive:
    Ito Meikyū di Boris Labbe’ (Francia, Lussemburgo)
  • Premio Speciale della Giuria Venice Immersive:
    Oto’s Planet di Gwenael François (Lussemburgo, Canada, Francia)
  • Premio per la Realizzazione Venice Immersive:
    Impulse: Playing with Reality di Barry Gene Murphy, May Abdalla (Regno Unito, Francia)

LEONE D’ORO ALLA CARRIERA 2024

  • Sigourney Weaver
  • Peter Weir

CARTIER GLORY TO THE FILMMAKER AWARD 2024

  • Claude Lelouch

PREMIO CAMPARI PASSION FOR FILM

  • Paola Comencini

Advertisement

Cinema

Verso l’Oscar docu su abusi dei preti sui bambini nativi

Pubblicato

del

C’è una storia poco nota, almeno in Italia, e che punta dritto all’Oscar di quest’anno per il miglior documentario avendo tutte le carte tematiche e di qualità cinematografica. Ha già fatto breccia al Sundance dove ha vinto per la migliore regia e ora smuove le coscienze in sedi istituzionali come il Senato americano che gli ha dedicato una proiezione speciale. Presentato da National Geographic si vedrà su Disney+ entro l’anno e in anteprima proiezione speciale alla Festa del cinema di Roma a ottobre. E’ Sugarcane, il film di Julian Brave NoiseCat ed Emily Kassie, che racconta emozionando una storia di abusi lunga quattro generazioni nella missione cattolica di Saint Joseph, vicino Williams Lake in British Columbia, Canada.

E’ una storia simbolo di razzismo bianco, dell’annientamento culturale dei nativi americani, a colpi di indottrinamento, divieti di tradizioni e linguaggio e sottomissioni fisiche con la cifra religiosa, cattolica, e le violenze sessuali dei sacerdoti sui bambini e le bambine che vivevano lì strappati alle famiglie per ‘educarli’. Abusi sessuali con in più il raccapriccio delle gravidanze con i feti buttati nell’inceneritore per sbarazzarsi del problema. Papa Bergoglio in Vaticano ha ricevuto alcuni testimoni e si è scusato ed è anche andato in “pellegrinaggio di penitenza” (parole sue) nel luglio del 2022 in quei luoghi ma ai capi delle comunita’ autoctone First Nations non basta perchè quello che sta venendo fuori di un’epoca di Chiesa colonialista e complicità governative mette i brividi. Ma Sugarcane è anche un film nel film.

“Da reporter per The New Yorker e New York Times ho affrontato vari temi – ha detto a Roma il co-regista Julian Brave Noisecat – e quando la collega di giornalismo investigativo Emily Kassie mi ha proposto di realizzare un documentario sui nativi indiani in Canada ho accettato senza sapere che il film sarebbe diventato per me qualcosa di molto personale”. Sugarcane, prodotto dal giovane candidato all’Oscar Kellen Quinn, segue con il ritmo dell’inchiesta una sorta di auto-indagine che dal 2021 con tenacia stanno portando avanti alcuni sopravvissuti, mettendo insieme dolorose testimonianza, scavi (per trovare fosse comuni di bambini), foto, reperti, tutto quello che la stessa comunità dei nativi indiani riesce a tirare fuori per documentare che le voci su questi fatti sono verità nascoste. Uomini e donne tenaci che non vogliono dimenticare quello accaduto a loro stessi e ai loro familiari e proprio durante questa indagine è emerso che il 64enne padre di Julian che per tutta la vita ha vissuto una dipendenza dall’alcol (come moltissimi nativi) e ha avuto un rapporto assente con lui, è figlio dell’abuso di un prete con una bambina, sopravvisse all’inceneritore della missione per caso e fu adottato da una famiglia insieme ad altri 10 nativi, sette dei quali si suicidarono.

“Mai mi ero interessato a quello che il mio paese aveva fatto ai suoi primi abitanti e via via che si lavorava a questo film via via emergevano pezzi della mia famiglia. La mission dove nacque mio padre Ed Archie è stata scelta su 139 presenti sul territorio. E’ stato uno choc. Ho cercato mio padre, sono tornato con lui su quei luoghi e quello che era stato scoperto ha avuto la sua devastante conferma. C’è un potere e una responsabilità in chi testimonia e in chi documenta e Sugarcane è importante perchè a queste persone che hanno vissuto la vita senza rispetto, diciamo loro che sono importanti, che al mondo importa di loro”. C’è una “sofferenza che ha bisogno di giustizia” ha dettoe ancora Julian, “Chiesa e governo canadese continuano a rifiutare di aprire gli archivi e tutto viene portato avanti dalla comunità”, ha aggiunto il regista. C’è Charlene Belleau, abusata da bimba, che da 30 anni si batte con forza, c’è Rick che da capo della comunità ha guidato la piccola delegazione in Vaticano ed a lui, morto nel frattempo, è dedicato il film, c’è il tenerissimo anziano MacGrath, il cui Dna ha confermato che per metà è di sangue nativo, per metà scozzese (figlio dell’abuso di un reverendo) che a Roma ha avuto il coraggio di andare dai missionari oblati di Maria Immacolata a chiedere ‘perchè?’. I numeri di questo orrore non sono definitivi, migliaia sono le vittime, un’intera comunità di nativi continua a vivere con questo fardello ma se il tempo della riconciliazione è solo iniziato, quello dell’orgoglio dell’accettazione che forse porterà i colori orange, i cappelli con le piume e i nativi sul palco di Hollywood la notte dell’Oscar il 2 marzo 2025 è arrivato.

Continua a leggere

Cinema

Bellezza e autoironia, Monica Bellucci 60 anni da favola

Pubblicato

del

Questa è una favola che assomiglia più alle storie delle dive italiane dell’immediato dopoguerra che alla splendida realtà che fa oggi di Monica Bellucci una star internazionale. Domani l’attrice compie 60 anni ed è reduce dagli applausi veneziani per la sua apparizione in “Beetlejuice Beetlejuice” diretta dal nuovo compagno, Tim Burton, ma la sua storia viene da lontano, dal piccolo paesino di San Giustino, a un passo da Città di Castello in Umbria dove è nata il 30 settembre 1964. È qui che cresce la figlia di Pasquale e Brunella, impiegato lui, casalinga lei.

Fin da ragazzina ha forme da donna, capelli corvini, sorriso aperto; va a scuola a Città di Castello dove ottiene la maturità classica e per pagarsi l’università a Perugia accetta di posare come modella. Sono appena cominciati gli anni ’80, non ci sono ancora i reality e sa di antico la sua scelta, un percorso che la avvicina a icone come Silvana Mangano, Sofia Loren, Marisa Allasio. Tra mille dubbi e altrettanti sogni approda a Milano nel 1988, sotto contratto per un’agenzia di moda che le spalancherà le porte delle passerelle più prestigiose.

Nel frattempo si è sposata (anche se il matrimonio con il fotografo Claudio Basso dura poche settimane), ha lasciato casa, ha piegato l’accento umbro alla scuola di recitazione frequentata al nord, ha messo nel mirino Cinecittà dove ottiene il primo contratto per la miniserie televisiva “Vita coi figli” di Dino Risi nel ruolo della giovane Elda che fa perdere la testa al molto più grande Adriano (Giancarlo Giannini). In pochi mesi due fatti le cambiano la vita: si innamora del collega Nicola Farron con cui vivrà quasi sei anni e Francesco Laudadio le offre il ruolo da protagonista in “La riffa”, il film che la fa esordire sul grande schermo. Per anni alternerà la recitazione alle passerelle di moda che la fanno conoscere all’estero e la rendono protagonista del jet-set.

“La Bellucci è una seria” – si sente dire a Cinecittà e infatti, alla soglia dei 30 anni, è già in grado di recitare in inglese. Per questo Francis Ford Coppola la sceglie in “Dracula di Bram Stoker” (1992), mentre in Italia lavora con Carlo Vanzina, Maurizio Nichetti, Antonello Grimaldi. È del 1996 il secondo passo determinante della sua carriera d’attrice. Al culmine della popolarità come modella, nel 1996 accetta un film in Francia, “L’appartement” di Gilles Mimouni con Vincent Cassel. Scoppia l’amore tra i due e nel frattempo fioccano per lei le proposte: l’unione dell’affascinante coppia durerà 14 anni, punteggiata dalla nascita di due figlie e caratterizzata dall’esistenza nomade di Monica tra Londra, Parigi, Roma e Rio de Janeiro dove più tardi scoprirà che Cassel conduce una doppia vita sentimentale a sua insaputa. Quattro anni dopo è invece il cinema italiano ad offrirle una nuova, importante occasione, dopo numerosi film girati in Francia: Giuseppe Tornatore ne fa la protagonista assoluta di “Malena”, mentre per la prima volta sbarca a Cannes per “Under suspicion” di Stephen Hopkins girato a fianco di due mostri sacri come Gene Hackman e Morgan Freeman.

Monica Bellucci a questo punto è la star italiana più amata nel mondo. Farà furore nei panni della regina Cleopatra nel più riuscito titolo della serie “Asterix & Obelix” e la versione di “Ti amo” (Umberto Tozzi) da lei accompagnata con grande autoironia nel remix del brano furoreggia anche in Asia. Adesso la diva italiana può scandalizzare i benpensanti con il discusso “Irreversible” di Gaspar Noè per la torrida scena di stupro recitata con Cassel, può tornare a Cannes come madrina dell’edizione 2003 del festival, può entrare nel cast di “Matrix” (due episodi) ed essere Maria Maddalena ne “La passione di Cristo” di Mel Gibson. Ormai è un’icona degli anni 2000 e per questo Terry Gilliam la veste da strega nella sua versione de “I fratelli Grimm”; Sam Mendes la vuole come Bond Girl per “Spectre” in coppia con il nuovo 007, Daniel Craig; Emir Kusturica la impegna a lungo al suo fianco nel travagliato “On the Milky Road” (tre anni di riprese con lunghe pause). Conclusa la storia d’amore con Cassel, si dedica alle figlie (Deva ha da poco debuttato come attrice), lavora ininterrottamente tra cinema e tv in Italia, Francia e Hollywood, riceve i primi riconoscimenti alla carriera, torna da madrina a Cannes, debutta in teatro nei panni di Maria Callas, incontra Tim Burton con cui andrà a vivere a Londra.

Sono istantanee di una carriera e di un’esistenza vissute intensamente, a cavallo del successo ma sempre con l’aria di una normalità ferocemente difesa dall’effimera gloria delle passerelle. Nella realtà infatti Bellucci rimane sempre Monica, capaci di prendersi in giro per il suo accento natio (come in “N” di Paolo Virzì), madre premurosa e molto mediterranea, innamorata gelosa quanto riservata, star internazionale che ogni volta ama ricordare le sue radici e il debito di riconoscenza per l’Italia. Come quando nel 2006 accettò, senza alcun compenso, di tenere a battesimo la Festa del Cinema di Roma o mise in mostra un portamento distante e altezzoso (ancora una volta pieno di autoironia) in due episodi di “Diabolik” diretta dai Manetti Bros. Insomma, all’alba di una nuova vita da protagonista, l’attrice italiana oggi più famosa del mondo può guardarsi indietro con un sorriso. Certo, parafrasando Celentano, “quella ragazza ne ha fatta di strada”.

Continua a leggere

Cinema

Megalopolis di Coppola fa flop ai botteghini

Pubblicato

del

Flop Megalopolis: il kolossal autofinanziato di Francis Ford Coppola ha aperto a sale semivuote al banco di prova del Nord America. L’85enne regista si è consumato per decenni sulla sua favola di avanguardia vendendo alla fine parte del suo impero vinicolo per rastrellare i 120 milioni di dollari di costi di produzione più altri 20 milioni per il marketing, ma il risultato alla prova dei botteghini è stato di appena quattro milioni di dollari di biglietti venduti da giovedì a domenica. L’implacabile verdetto del box office è stato poco al di sotto dei peggiori pronostici: Megalopolis, uscito in duemila sale tra Stati Uniti e Canada, a ieri sera era avviato al sesto posto nelle classifiche dietro Devara Part One, un dramma d’azione in un dialetto indiano disponibile in circa mille cinema. Il primo posto ai botteghini è andato a The Wild Robot (Universal/DreamWorks Animation), avviato a rastrellare 35 milioni in tre giorni, seguito da Beetlejuice Beetlejuice della Warner con 16 milioni alla quarta settimana nelle sale.

Presentato a Cannes con reazioni contrastate, Megalopolis racconta la storia di un brillante architetto (Adam Driver) in una metropoli futurista ispirata all’antica Roma. “Come ogni capolavoro, sarà giudicato dal pubblico nel tempo”, ha detto Adam Fogelson, il capo di Lionsgate, che ha distribuito il film, “orgoglioso” di allearsi a un mito come Coppola per dare al film “la vasta presenza nelle sale che si merita”. Alle spalle capolavori come Apocalypse Now e la saga del Padrino, Coppola aveva cominciato a sviluppare il film negli anni Ottanta, quando le chance di successo di progetti ambiziosi per un pubblico che pensa erano assai maggiori di quelle di oggi.

L’industria del cinema all’epoca dominava l’entertainment e lasciava che il pubblico di un film d’autore crescesse naturalmente nell’arco di mesi. Hollywood allora poteva permettersi di tenere un progetto nelle sale anche per un anno perché, a differenza di adesso, non aveva la concorrenza di internet, della tv via cavo e dei videogiochi. Oggi un film si brucia nell’arco di un paio di settimane, soprattutto se le recensioni e la risposta degli spettatori non sono eccellenti. In primavera sembrava addirittura che Megalopolis non ce l’avrebbe fatta ad arrivare nelle sale dopo esser stato respinto da molti distributori. Coppola è la seconda leggenda di Hollywood a pagare quest’anno il prezzo del nuovo andamento del mercato: quest’estate il costoso Horizon: An American Saga di Kevin Costner ha fatto fiasco al box office e i piani di portare il sequel nelle sale sono stati accantonati.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto