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Spettacoli

Michela Giraud: «Io, pagliaccio che ride per resistere. Ma la satira è una cosa seria»

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«Io mi presento solo come pagliaccio. Tutto il resto lo mettono gli altri». Michela Giraud, attrice, autrice, regista, storica dell’arte e performer, si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera. Ironica, autoironica, profonda. A settembre chiuderà il tour del suo spettacolo Mi hanno gettata in mezzo ai lupi e non ne sono uscita capobranco alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. «Se me ne rendessi conto m’inventerei un impegno, tipo danza», scherza.

La comicità femminile come atto politico

Per Giraud la comicità è resistenza, è urgenza, è libertà. «La comicità è il mezzo più democratico che esista, ma per molto tempo le donne comiche senza maschera non sono state accettate. Quando facevo dirette durante la pandemia, una ragazza di Guidonia mi disse: “Non pensavamo che le ragazze potessero parlare così”».

Ha segnato un punto di svolta con il tormentone mignottone pazzo a LOL? Forse sì: «È stato tanto eccitante quanto complicato. Ho ricevuto odio, insulti, ma anche affetto. Mi chiedevo: perché si ricordano la parolaccia e non Socrate, che pure cito nello sketch? Forse perché ho toccato un nervo scoperto».

Fragilità, sarcasmo e il coraggio di mostrarsi vulnerabile

Dietro la battuta, c’è una ferita. Giraud lo sa bene: «Ho sempre usato ironia e crudeltà per nascondere una parte di me che credevo noiosa». In Flaminia, il suo film, racconta proprio quella fragilità: la storia di sua sorella nello spettro autistico. «Non credevo interessasse a nessuno, invece è stato accolto bene».

L’estetica dominante e il peso della diversità

Il corpo, per Michela, è da sempre uno spazio di battaglia: «La nostra società perdona tutti, tranne le donne che ingrassano. Se ti prendi gioco di chi ha una fragilità manifesta, sei un essere abietto». Un messaggio forte, rivolto anche ai più giovani: «Spegnete il telefono, uscite, parlate, fate esperienze vere».

Tra satire, insulti e querele: il confine da non superare

«La parolaccia deve essere un mezzo, mai un fine. Il turpiloquio da solo non è interessante». E sulla libertà d’espressione: «C’è una differenza tra satira e free speech: offendere non è satira». Commenta il caso Daniele Fabbri, querelato per una battuta su Giorgia Meloni: «Se ridete siete complici, la querela la paghiamo insieme!».

Cultura, arte e famiglia: la Giraud fuori dalla scena

Con un master in drammaturgia e una laurea in storia dell’arte, Giraud non si limita al palcoscenico. «La storia dell’arte mi rigenera come una doccia dopo una giornata pesante». Nel podcast Gioconde racconta i capolavori con taglio pop. Viene da una famiglia «borghese cattolico militare»: «Per renderli fieri avrei dovuto fare il catamarano».

Politica e comicità: un’epoca che è un grande spettacolo

«La nostra classe politica ci regala tanto materiale. Pensa a Sangiuliano… Berlusconi non l’avrebbe mai fatto. Lui aveva un senso del limite. Oggi no. Oggi sono tutti influencer e cialtroni». Ma attenzione: «La paura chiama l’oscurità, e con la dittatura è tutto finito».

Il femminismo come strumento e non come moda

Michela Giraud è femminista, ma con lucidità: «Ovvio che lo sono. Ma non mi piace quando viene usato per un tornaconto personale. Ogni battaglia pubblica usata per scopi privati è da disprezzare».

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Musica

Max Pezzali a Imola per rincorrere la nostalgia

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Il carburante delle musica di Max Pezzali (foto Imagoeconomica) è senza dubbio la nostalgia. Quella di un’epoca – gli anni ’90 – che tanti hanno amato con i suoi colori, lo stile nel vestirsi, o banalmente perché erano giovani. Grazie a questo magico combustibile stanotte all’autodromo di Imola si è svolta una gara inedita. I suoi concorrenti sono stati i protagonisti delle canzoni di Pezzali, presentati sugli schermi sopra il palco come in un episodio delle “Wacky Races” di Hanna-Barbera, nel corso del concerto-evento che ha raccolto 85mila fan del cantante. Il vincitore del Grand Prix? “Volta”, personaggio di “Con un deca”.

“Per me che ho la passione per i motori e la musica questo è un posto mitico”, racconta l’artista dietro le quinte, in uno spazio allestito in tema motorsport. Addosso ha una camicia gialla e blu che richiama il mondo del racing con su scritto “Max Forever Grand Prix”, il nome dell’evento. La indossa ancora quando, preceduto da un video in cui arriva all’autodromo in Harley-Davidson, sale sul palco e canta “Con un deca”. “Abbiamo deciso di creare un live nuovo, inedito rispetto a quanto fatto finora”, aggiunge, e che si collega perfettamente con il luogo in cui si svolge. Oltre alla gara, diversi i richiami al mondo della velocità: dalla telecronaca del concerto, affidata alla voce di Guido Meda, a un omaggio ai piloti che hanno fatto la storia nel corso de “Gli anni”, con Pezzali che si è esibito in qualche verso di “Ayrton” di Lucio Dalla, dedicata a Senna, morto in un incidente proprio a Imola nel ’94.

“Quando se n’è andato per me è stato uno spartiacque”, spiega. In scaletta, oltre ai grandi successi, compare pure “Cumuli”, “che avrò fatto solo nel tour nelle discoteche dal ’93 – ride – il tema allora era molto forte”, ma rimetterla oggi è “un modo per far pace con canzoni che non hai considerato per un po’”. Sul filo della nostalgia, non manca chi chiede a Pezzali un commento sulla reunion degli Oasis. “Era inevitabile”, risponde e scherza: “magari fossi Noel Gallagher e potessi svegliarmi la mattina e dire ‘Ho scritto Wonderwall'”.

Quanto a un possibile ritorno di Mauro Repetto al suo fianco, anch’essa una possibile suggestione per gli amanti dell’epoca, dice che “è bello quando le cose le fai una tantum, perché una festa comandata non è più una festa”. Alla fine, però, Max Pezzali e la sua carica di energia (“mi diverto a vedere la gente che si diverte”, sostiene) trovano uno spazio pure nella contemporaneità. Anzitutto proponendo in scaletta il pezzo con i Pinguini Tattici Nucleari, “Bottiglie vuote”, che ha cantato sul palco con Riccardo Zanotti.

“Lui per me è sia un collega che un amico con cui scambiarmi meme e stupidaggini da nerd come noi”, rivela. Poi, con un tour negli stadi il prossimo anno per cui sono già stati acquistati 240mila biglietti. Su eventuali nuovi progetti, dice che di brani “uno ne scrive sempre” ma “non si può decidere semplicemente di farne uscire, pena l’irrilevanza assoluta, detta brutalmente. Il mondo da cui vengo aveva regole d’ingaggio diverse”.

Qualcosa, però, bolle in pentola: un testo è già “convincente”, e poi chiaramente ci sono i live da organizzare. Considerando che si troverà nelle venue del calcio, non esclude di fare qualcosa di tematico pure in quel caso: “al Maradona, a Napoli, le suggestioni sono tante”, dice. Sul suo ritorno in voga, ricorda che i soldout sono arrivati prima della serie “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”, che però ha dato un “boost ulteriore”. All’idea di essere “per sempre”, come per il titolo “Max Forever”, Pezzali sorprende dicendo di avere “un po’ un problema con l’eternità”, ma che lo emoziona “l’idea che il mio repertorio possa durare oltre me”.

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Gerry Scotti torna con La Ruota della Fortuna e sfida De Martino: «I pacchi? Non sono imbattibili»

Gerry Scotti rilancia la fascia access prime time di Canale 5 con La Ruota della Fortuna. Intervista esclusiva al Corriere: «I pacchi non sono ingiocabili, io sono l’alternativa ai belli».

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Gerry Scotti (foto Imagoeconomica) torna in prima serata con un grande classico della televisione: La Ruota della Fortuna, che da lunedì alle 20.40 segnerà un nuovo capitolo nell’access prime time di Canale 5. Dopo 40 anni di carriera, per Scotti si tratta di un vero e proprio esordio in una fascia oraria mai affrontata prima. Lo racconta in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.

Un cambio storico per Mediaset

La trasmissione va a sostituire temporaneamente Paperissima Sprint, mentre a settembre Gerry dovrà sfidare il campione d’ascolti Affari Tuoi condotto da Stefano De Martino. «Non ho fatto le scarpe a nessuno, al massimo i sandali visto che è estate», commenta con ironia, riferendosi ad Antonio Ricci. E aggiunge: «Non è una rivoluzione, ma un’evoluzione».

Il valore della sfida e della tradizione

Per Scotti, La Ruota della Fortuna rappresenta una sfida entusiasmante: «È un titolo forte per la sua semplicità, familiarità, nazionalpopolarità. È un gioco che si sposa con il mio volto». L’obiettivo è rafforzare una fascia strategicaper Canale 5 con un prodotto capace di attrarre il pubblico generalista.

La concorrenza con i “pacchi” di De Martino

Gerry non teme il confronto con Stefano De Martino e il suo successo: «I pacchi sono il nuovo benchmark, ma io non credo nell’ingiocabilità. Se fanno il 28% e scendono al 25%, il risultato è arrivato». E aggiunge: «Affari Tuoi somiglia più a una riffa, la nostra è una sfida dove il merito conta».

Una sfida anche personale

Scotti ammette che il nuovo orario è una scommessa lontana dalla sua comfort zone del preserale, ma l’accetta con entusiasmo: «È una nuova emozione. Io sono l’alternativa ai belli, rappresento l’uomo normale». E scherza: «Vado in palestra, imparo a ballare e faccio i pacchi anch’io!».

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Andrea Occhipinti, il re del cinema d’autore tra passioni, battaglie e rimpianti

Lunga intervista al Corriere della Sera con Andrea Occhipinti, fondatore di Lucky Red: dalla giovinezza turbolenta al successo, tra cinema d’autore, libertà e grandi intuizioni.

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Da attore inquieto e irrisolto a protagonista assoluto del cinema d’autore italiano: Andrea Occhipinti, classe 1957, si racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera, ripercorrendo i momenti più delicati e appassionanti della sua vita. Fondatore di Lucky Red, la casa di distribuzione che ha portato al pubblico italiano alcuni tra i film più premiati e coraggiosi degli ultimi decenni, Occhipinti ha costruito un impero sulle sue intuizioni e sul desiderio di libertà.

Un’infanzia selvaggia e un padre difficile

«Ero timido e irrequieto», racconta. Cresciuto nella campagna romana, Occhipinti parla di un’adolescenza senza punti di riferimento, tra cavalli cavalcati a pelo e un rapporto difficile con il padre, medico bipolare, a tratti adorabile, a tratti violento. «Mi scagliò uno specchio addosso urlandomi insulti omofobi. In quel momento capii che aveva capito tutto di me».

Dagli spot al grande schermo

Per rendersi autonomo, Occhipinti inizia a recitare. «Cornetto Algida, jeans, poi il debutto con Castellano & Pipolo in un ruolo assurdo: Hitler da giovane». La carriera da attore dura vent’anni, ma non è la sua vera vocazione: «Mi sentivo fragile, insoddisfatto. Essere scelto solo per la bellezza mi pesava: ero un sex symbol ma non ero a mio agio. Ero omosessuale, mai represso, ma non lo dichiaravo pubblicamente».

Lucky Red e la rivoluzione d’autore

Nel 1988 la svolta: nasce Lucky Red, dal nome ispirato ai capelli rossi di un socio americano. Da lì in poi una lunga serie di capolavori portati in sala: Let’s Get Lost su Chet Baker, The Millionaire (8 Oscar), Cous Cous, Magdalene, Il Divo, Silvio Forever. «Il talento è scegliere i film giusti prima che vincano», dice. E ricorda con amarezza il rimpianto per non aver distribuito Almodóvar: «Un errore che brucia ancora».

Sanremo, Luxuria e Priscilla

Ha anche condotto il Festival di Sanremo nel 1991 con Edwige Fenech, senza gobbo e con testi consegnati all’ultimo. E poi ricorda la magia del Mucca Assassina con una giovane Vladimir Luxuria, e il lancio di Priscilla, la regina del deserto, che divenne un cult.

Le lotte, la fede nel cinema e l’amore di una vita

Dalla battaglia per il tax credit alla censura su Totò che visse due volte, Andrea Occhipinti non si è mai tirato indietro. Ha amato il regista Franco Brusati, che lo ha spinto verso la distribuzione, e da 31 anni è legato a un uomo spagnolo, con cui ha celebrato unione civile in Italia e matrimonio in Spagna.

La sua eredità culturale

Con 31 Oscar, 51 David di Donatello e 23 premi a Venezia fino al 2023, Andrea Occhipinti è il volto del cinema coraggioso, umano, alternativo. Un uomo che ha saputo trasformare le fragilità in forza, l’estetica in contenuto, la passione in mestiere.

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