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Cronache

Messina Denaro, in paese usava altro nome di copertura

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In clinica medici, infermieri e pazienti lo conoscevano come Andrea Bonafede, a Campobello di Mazara, il paese in cui ha trascorso almeno tre dei trent’anni di latitanza, usava però un altro nome di copertura. Matteo Messina Denaro, ex primula rossa di Cosa nostra arrestata lunedì dai carabinieri del Ros, non voleva rischiare d’essere scoperto. E per fare una vita quasi normale in un centro di 11mila abitanti non poteva certo presentarsi con le stesse generalità del vero Andrea Bonafede, geometra che in paese conoscevano in tanti. E’ l’ultimo sviluppo di una inchiesta che sta cercando di ricostruire la lunga fuga del padrino di Castelvetrano: luoghi frequentati, covi, auto usate, identità dei fiancheggiatori.

Carabinieri e pubblici ministeri – l’indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido – vanno avanti. Sono state perquisite decine di abitazioni: quella del fratello del capomafia, del geometra Bonafede, l’uomo che ha prestato l’identità al boss e gli ha comprato la casa in cui viveva a Campobello, della madre, dell’ex legale trapanese Antonio Messina, di Giovanni Luppino, l’insospettabile agricoltore che ha accompagnato in auto il capomafia alla clinica Maddalena il giorno dell’arresto e di suo figlio. Controlli a tappeto che, anche grazie alle indicazioni giunte agli investigatori da persone che si sono presentate in caserma dopo l’arresto, hanno portato alla scoperta di due covi del boss e di un magazzino, nascosto da un fondo rimovibile di un armadio utilizzati da Messina Denaro.

Nel primo rifugio, quello di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, sono spuntate foto di animali feroci, magneti da frigorifero con l’immagine di un boss in smoking che ricorda Al Pacino nel Padrino e sotto scritto ‘il padrino sono io’, la foto attaccata alla parete di Al Pacino, sempre nel film di Francis Ford Coppola e la riproduzione della Vucciria di Renato Guttuso. Oltre ai cellulari, ora al vaglio degli inquirenti, che avrebbero trovato decine di chiamate e spunti investigativi molto interessanti, oltre ai pizzini, ai post-it con appunti, a fogli scritti a mano tutti da interpretare, i carabinieri del Ros hanno trovato una serie di oggetti che si richiamano alla celebre pellicola.

Nel covo c’erano anche un quadro a colori di Joker, il famoso personaggio dei fumetti, nella versione interpretata da Joaquin Phoenix. “C’è sempre una via d’uscita, ma se non la trovi sfonda tutto” diceva invece la scritta su un quadretto più piccolo appeso proprio sotto quello di Joker. Le indagini hanno portato gli investigatori anche sulle tracce dell’auto del boss: una Giulietta che Messina Denaro ha comprato personalmente in una concessionaria di Palermo e che teneva in un garage del figlio di Luppino. I documenti dell’auto, intestati alla madre di Bonafede, erano conservati nel covo di vicolo San Vito. Sulla macchina sono in corso una serie di accertamenti tecnici irripetibili.

E indagini capillari vengono svolte sulla rete di fiancheggiatori del boss: Bonafede, che ha fatto mezze ammissioni, Luppino, che ha sostenuto di aver visto Messina Denaro, che conosceva come “Francesco”, solo due volte, l’ultima la sera prima dell’arresto e due medici. Uno, Alfonso Tumbarello, è l’ex medico di base di Campobello che aveva in cura il vero e il falso Andrea Bonafede. A entrambi prescriveva cure e farmaci. Credeva a un singolare caso di omonimia? Non ci credono i pm. Nell’elenco degli indagati c’e anche un oncologo trapanese che fece l’esame del dna al boss e gli prescrisse la chemio. Per loro l’accusa è di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dal metodo mafioso.

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Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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