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Messi, lacrime catalane: volevo restare, ho ridotto a metà l’ingaggio ma il Barcellona non può tenermi

Le toccanti parole di Leo al Camp Nou: “Mi sono dimezzato lo stipendio e allungato il contratto, ma non è bastato. Vorrei un omaggio un giorno con lo stadio pieno, per questa gente farei di tutto”

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Leo Messi ha terminato la sua ultima conferenza stampa al Barcellona in lacrime. Lui piangeva. Chi assisteva ala conferenza stampa, anche loro lacrime agli occhi, applaudivano: squadra, ex compagni eccellenti, dirigenti e tutta la sua famiglia. Di fianco a lui, lucide, le 35 coppe conquistate in maglia Barça da Leo. Messi era commosso e dispiaciuto. “Sono stato trasparente, sempre e con tutti. E nessuno mi ha ingannato” ha precisato Messi, mettendo un freno a polemiche inutili col Barcellona, che è stata e resta la sua casa, la sua famiglia.  “Mi sono abbassato l’ingaggio del 50% e mi sono allungato il contratto, ma non è bastato. Qualcuno ha detto che il club mi aveva chiesto un ulteriore sconto del 30%, ma non è vero”.”Mi resta il rimpianto di non aver vinto più Champions. Cercherò di vincerne e raggiungere Dani Alves che ho avuto come compagno. Un vincente nato e cercherò di raggiungerlo”.Poi ha di nuovo precisato.

Poi ha di nuovo precisato. “Ho fatto tutto il possibile per restare, ma non è stato sufficiente. Il presidente ha detto che non poteva fare il mio rinnovo, non sarebbe stato possibile per i parametri della Liga. Ora devo pensare al mio futuro”. Come dire: io ho ho fatto ogni cosa per restare, ma qualunque cosa io facessi non bastava.

“Non so quanto giocherò ancora, dipende anche dal fisico. Grazie a Dio non ho avuto infortuni gravi in carriera. Spero di poter competere a lungo” ha detto Messi. Poi una risposta a chi gli aveva fatto rilevare che già si era dato al Psg. “La foto a Ibiza con i giocatori del Psg è stata una causalità, un momento che abbiamo condiviso. Quasi uno scherzo. Chiaro che se poi vado a Parigi tutto prende un’altra piega. Ma era una semplice foto tra amici. Voglio continuare a competere a livelli alti per provare a vincere tutto. Sono un vincente e lotto sempre. Non mi si può rimproverare nulla.Gli ultimi tre-quattro giorni sono stati come una secchiata d’acqua fredda. Le cose miglioreranno poco alla volta” ha spiegato Messi.  “Non ho nulla da dire a Tebas. Non conosco i dettagli, non ho alcun problema con lui. Tutti eravamo sicuri che l’accordo si sarebbe trovato. Non è andato così, ma non ci sono mai state false speranze. Chiaro che penso a un omaggio futuro con il Camp Nou pieno. Per questa gente sono disposto a tutto” ha ancora spiegato Leo Messi. Quasi a voler ribadire che col Barcellona non sarà un addio, semmai un arrividerci.

“Dopo le elezioni andai a cena col nuovo presidente ed ero abbastanza sicuro che sarei rimasto. Poi è successo quello che è successo e non sono potuto restare. Il Barcellona ha una grande rosa. All’inizio sarà strano, sarà difficile, ma la gente si abituerà alla squadra senza di me. Non me l’aspettavo, ho sempre detto la verità. Un anno fa volevo andarmene e oggi no. Per questo sono triste. E’ questo il momento più complicato della mia carriera. Ne ho avuti tanti, ho perso tante partite. Ma ho sempre avuto la possibilità di ricominciare per rialzarmi. Qui si chiude una storia e se ne apre un’altra”. C’è il capitolo Psg. E Messi anche qui è chiaro. “Il Psg è una possibilità ma sinceramente non ho chiuso niente con nessuno. E’ vero che quando è uscito il comunicato del Barcellona in molti mi hanno chiamato. Ma niente è chiuso anche se è vero che stiamo parlando (col Psg, ndr). Sia io sia il club avevamo la stessa linea: continuare. Sto lasciando il club della mia vita e la mia vita cambierà completamente. Riparto da zero, è un grande cambio per tutti noi. Ma bisogna accettarlo e assimilarlo” dice Messi, sempre a voler spazzare via ogni veleno su suoi presunti accordi pregressi col Psg.

Sopo un lunghissimo applauso e altre lacrime, ci sono state  le domande. “Titoli, gol, momenti: molto difficile scegliere ma mi porto dentro il mio debutto con questa maglia se devo sceglierne uno. Quando sono tornato dalle vacanze il presidente Laporta mi ha detto che era tutto pronto per il rinnovo, ma che non era possibile per questioni le gate alla Liga. Mi dispiace non poter salutare in mezzo al campo con la gente che tifa Barcellona. Dispiace non ascoltare l’ultima ovazione. Mi manca l’affetto e il calore della gente. Ma non c’è molto da dire, così vanno le cose in questo momento. Spero di tornare per continuare a far sì che questa società sia la migliore del mondo”. E partono gli applausi. Spero che di me resti l’umiltà e il rispetto. Ho vissuto tantissime cose meravigliose e anche qualcuna negativa, ma mi hanno fatto crescere e diventare la persona che sono oggi. Mi sono sentito parte di questo club e di questa maglia dal primo all’ultimo giorno.Volevamo continuare a fare questa vita, sono arrivato piccolissimo. Sono sicuro che torneremo perché questa è casa nostra e l’ho promesso ai miei bimbi”.

Nella sala, ad ascoltare Leo Messi, c’erano Piqué, Ter Stegen e Sergi Roberto. Poi uno alla volta sono entrati  tutti i compagni. Con questo addio si chiude un’era. Leo era arrivato bambino 13enne che faticava a crescere. Restò diverse settimane in attesa a Barcellona. Poi al padre diedero un contratto firmato su un tovagliolo di carta. Nel marzo 2001 il primo cartellino e il primo infortunio. Nel 2003 il primo contratto, fino al decimo firmato nel 2017, un accordo quadriennale che secondo quanto rivelato da El Mundo poteva arrivare a raggiungere (vincendo tutto) la mostruosa cifra di 555 milioni di euro lordi. In prima fila i quattro capitani: Busquets,, che erediterà la fascia da Leo, poi Piqué, Sergi Roberto e Jordi Alba, Xavi, Puyol. Tutti diventati campionissimi partendo dalla canterà catalana, come Messi. Tutti assieme hanno cominciato a giocare a 13 anni. A Barcellona, con Messi,  hanno vinto tutto quello che c’era da vincere in Spagna, in Europa, nel Mondo.

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Lega A ha deciso, Udinese-Roma prosegue il 25 aprile

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Il primo slot possibile, nel rispetto delle norme statutarie, era giovedì 25 aprile e su quella data è caduta la scelto dalla Lega serie A per il recupero dei minuti di gioco che mancano per concludere Udinese-Roma, il match della 32/a giornata di campionato sospesa domenica scorsa al 26′ della ripresa per il grave malore capitato al difensore giallorosso Evan N’Dicka. In un calendario ultra compresso, con la Roma che ha conquistato la qualificazione alle semifinali di Europa League e con l’Udinese in lotta per la salvezza, la scelta non era facile, tra le legittime esigenze delle due squadre e il necessario rispetto dell’integrità delle competizioni.

La Roma aveva chiesto di giocare il recupero con la squadra friulana a maggio, o in concomitanza con il recupero di Atalanta-Fiorentina – la partita non giocata a causa della scomparsa improvvisa del dg viola, Joe Barone – che si dovrebbe disputare a fine campionato, visto che entrambe le squadre sono ancora in corsa, oltre che ovviamente in campionato, in coppa Italia e nelle coppe europee. Quest’ultima soluzione non è stata ritenuta praticabile dalla Lega serie A, proprio nel rispetto della norma statutaria, che prevede che la prosecuzione delle gare interrotte, come nel caso di Udinese-Roma, sia effettuata entro 15 giorni dall’avvenuta interruzione.

La Roma aveva chiesto anche di giocare sabato 27 aprile con il Napoli. in vista dell’impegno la settimana successiva (il 2 maggio) per l’andata della semifinale di Europa League col Bayer Leverkusen. Il consiglio di Lega, convocato dal presidente, Lorenzo Casini, oltre a fissare data del recupero, “in orario tale da agevolare l’organizzazione della trasferta per la società ospite”, ha stabilito che la data della partita Napoli-Roma sarà fissata “tenendo conto anche delle esigenze manifestate dalla Roma”. La partita del Maradona si giocherà probabilmente il sabato o la domenica, per questo il quadro di anticipi e posticipi della 34esima giornata arriverà domani.

La Roma risponde alla Serie A che ha deciso di recuperare il 25 aprile la sfida con l’Udinese. “L’AS Roma, con i suoi risultati europei e quattro semifinali consecutive ha contribuito al ranking Uefa e dunque al quinto slot per le squadre italiane nella prossima Champions League come pochi altri club – comincia la nota giallorossa – Nonostante questo, il Presidente della Lega Serie A Lorenzo Casini ha oggi avallato un’ingiusta decisione che costringerà la Roma ad affrontare il Bayer Leverkusen, in condizioni di svantaggio. Questo rappresenta un chiaro passo indietro per tutto il sistema calcio in Italia”.

Poi la Roma conclude così nella sua nota: “La squadra, i giocatori e lo staff dell’AS Roma riaffermano il proprio impegno a opporsi a questa ingiustificata avversità e a raggiungere, con il supporto dei propri incredibili tifosi, i massimi obiettivi in stagione”.

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Cagliari beffato, Vlaohvic e un autogol salvano la Juve

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La Juventus rischia a Cagliari, ma alla fine pareggia dopo essere stato sotto di due gol: squadra di Allegri salvata da una punizione di Vlahovic e soprattutto da un autogol di Dossena. Alla fine pari amaro soprattutto per il Cagliari: aveva chiuso il primo tempo in vantaggio due a zero con i rigori di Gaetano e Mina. E i rossoblu avevano accarezzato l’idea di poter quasi chiudere il discorso salvezza in anticipo con una bella e prestigiosa vittoria con una big. Un punto che comunque muove la classifica del Cagliari. E che invece è un brodino per la Juventus: non perde partita e faccia, ma forse i tifosi a Cagliari si aspettavano un altro atteggiamento. Nel primo tempo Allegri è cascato un po’ nella trappola di Ranieri. Il Cagliari ha lasciato che fosse la Juve a fare il primo passo ripartendo con gli scatenati Luvumbo e Shomurodov.

E sono arrivati i gol rossoblu. Nella ripresa orgoglio bianconero che alla fine ha buttato dentro tutti suoi attaccanti. E alla fine ha raddrizzato la partita con un autogol. Allegri ha puntato su Alcaraz dal primo minuto accanto a Locatelli e Rabiot. Sulle fasce Weah e Cambiaso, Chiesa vicino a Vlahovic davanti. La risposta di Ranieri è stata quasi a specchio con Nandez e Augello sulle corsie esterne. In mediana Makoumbou e Sulemana con Luvumbo e Gaetano disponibili a dare una mano partendo da lontano. E anche pronti ad aiutare Shomurodov. Cagliari concentrato e aggressivo: insidioso più che pericoloso con Shomurodov e Luvumbo. Juventus abbastanza imprecisa con palloni persi a favore delle ripartenze rossoblu sempre con la scatenata coppia uzbeko-angolana. Bianconeri comunque pronti a far male: il primo tiro in porta con Weah al 20′.

Alla fine l’intraprendenza del Cagliari trova il premio con un rigore per un tocco di mano di Bremer su colpo di testa di Dossena. Dal dischetto Gaetano non sbaglia. Luvumbo sbaglia il raddoppio su assist di Shomurodov. Ma poco dopo azzecca tempo e giocata sempre su imbucata illuminata ancora di Shomurodov. Salta anche Szczesny, ma il portiere bianconero travolge l’angolano, ancora rigore. Questa volta dal dischetto si presenta Mina, specialista dai tempi dell’Everton: stesso angolo di prima, ancora gol. Primo vero sussulto soltanto nel finale Juve: fuga di Chiesa a sinistra e palla facile per Vlahovic in mezzo. Gol, ma era fuorigioco. Anche il Var conferma mostrando però che si è trattato proprio di una questione di centimetri. Allegri nella ripresa ha provato ad “allargare” il campo con Yidliz al posto di Alcaraz, infastidito anche da una ferita al viso.

Ma è stato Prati il primo a tirare in porta. Partita in mano alla Juventus con il Cagliari che si abbassa però troppo e non riparte con la precisione e la velocità del primo tempo non è un caso che la Juventus riapra la partita. Da una punizione molto contestata al limite dell’area parte la rinascita bianconera: punizione di Vlahovic e palla sull’angolo non coperto da barriera e portiere. Cagliari città fortunata per Vlahovic: in Sardegna ai tempi della Fiorentina aveva trovato i primi gol in serie A. Poco da perdere per Allegri che è diventato super offensivo con Milik accanto a Vlahovic. Alla fine è diventata quasi una partita a una porta sola anche se la Juventus non è stata molto lucida. Proprio da un cross di uno dei nuovi entrati, Yildiz, è arrivato il gol del due a due. Dossena, nel disperato tentativo di anticipare Vlahovic, ha colpito malissimo beffando Scuffet. Nel finale Allegri ha chiesto ai suoi di vincerla la partita. Ma sono arrivate solo mischie su mischie. Due a due. Juventus sempre tranquillo in zona Champions. Cagliari un passo avanti: dal trittico Atalanta-Inter-Juve ne è uscita con cinque punti che profumano di salvezza.

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Pioli, ora il Milan è lontano e lunedì c’è il derby

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E’ il capolinea di Stefano Pioli. L’addio, dopo l’eliminazione dall’Europa League nel derby tricolore con la Roma, sembra inevitabile. Il tecnico rossonero resterà probabilmente sulla panchina del Milan fino a fine stagione, a meno di clamorosi passi falsi nel derby di lunedì e nella sfida contro la Juventus la giornata successiva. La società ha più volte confermato stima e fiducia in Pioli e dopo il ko dell’Olimpico non ci sono state dichiarazioni ufficiali, ma è difficile pensare che sia tutto invariato dopo la prestazione di ieri sera all’Olimpico. Anche la Curva Sud ha preso posizione condividendo la lettera aperta del capo ultras Luca Lucci sui social: “Pioli è l’artefice di uno dei più bei scudetti della storia del Milan, ma poi si arriva al punto in cui inesorabilmente le strade si debbano dividere e direi che tutti noi tifosi abbiamo aspettato anche fin troppo. A questo punto il cambio dell’allenatore è ormai doveroso”.

In un clima tanto sfiduciato e deluso, con la squadra che per l’ennesima volta non mostra spirito, fame e attaccamento alla maglia, è chiaro che qualcosa si è rotto e non si può più sistemare. “Il Milan è da tempo noioso, privo di gioco, confuso, ha bisogno di un cambio di rotta, di nuovi stimoli e soprattutto di ritrovare il gioco ormai da tempo smarrito”, la richiesta del tifo organizzato rossonero che poi attacca anche la società colpevole di un “immobilismo sia durante la stagione sia soprattutto nel mercato di riparazione, che ha fatto si che quest’annata scivolasse via nel più totale anonimato”. Il Milan, se dovesse riuscire a confermare il vantaggio sulla Juventus, chiude la stagione senza trofei, con il secondo posto in classifica, eliminato ai gironi in Champions League, senza essere stato protagonista in Coppa Italia e nettamente dominato dalla Roma in Europa League. Un bilancio insoddisfacente.

“I giudizi si danno alla fine”, è lo slogan ripetuto a più riprese dai dirigenti in netta contrapposizione ad esempio con quanto fatto a Roma, con la conferma di Daniele De Rossi prima ancora di sapere del passaggio del turno. Ora si dovrà capire se all’interno dei parametri economici imposti dalla società, ci può essere un’alternativa che davvero possa fare al caso del club rossonero. Cambiare tanto per farlo non serve a nulla. Scommettere su un allenatore con poca esperienza può essere deleterio vista la pressione esercitata ogni anno sul Milan. Così si fa strada l’idea di un tecnico straniero, mentre già impazza il toto nomi tra Thiago Motta, Antonio Conte, Vincenzo Italiano, solo per citarne alcuni. Il futuro della panchina del Milan è incerto. La decisione finale sarà presa da Gerry Cardinale che sarà tra l’altro a San Siro per il derby di lunedì. Il numero uno di RedBird valuterà il profilo che gli sarà proposto da Zlatan Ibrahimovic (che – come ha detto anche l’ad Giorgio Furlani – ha molta influenza sulla gestione sportiva del club), da Furlani stesso e da Geoffrey Moncada. Intanto però c’è un derby da preparare che non sposta gli equilibri di classifica ma che deve essere vinto per alleviare i dispiaceri del popolo rossonero. “Il successo manca da troppo tempo”, ha ricordato la Curva Sud. Cinque stracittadine perse di fila, un altro dato che pesa come un macigno sul destino di Pioli.

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