Il bianco dei lenzuoli srotolati dai balconi e dai palazzi delle istituzioni in ogni parte d’Italia, i messaggi via web, flash mob, i tweet e i post su Facebook, lo streaming per unire ricordi e riflessioni su cos’e’ oggi la mafia e su cos’era quando 28 anni fece saltare in aria a Capaci col tritolo Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta. Nessun corteo per le strade, le navi della legalita’ ferme, niente bambini nell’aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo: anche se il Covid-19 ha impedito il rito delle cerimonie in grande stile, quest’anniversario della strage di Capaci passera’ alla storia come quello segnato dalla sobrieta’ e dal ricordo silenzioso ma intenso. E cosi’ la commozione con la voce rotta in diretta streaming del presidente della Conferenza dei rettori siciliani Gianni Puglisi, mentre via web ricorda l’amico Falcone con migliaia di collegamenti on line, da’ il segno di una giornata densa di emozione e partecipazione, conclusasi alle 17.58, l’ora della strage in autostrada, sotto l’albero Falcone, con tanta gente radunata, a distanza gli uni dagli altri e con le mascherine.
Il merito, ancora una volta, va alla Fondazione guidata da Maria Falcone, che assieme al ministero dell’Istruzione con l’iniziativa #PalermochiamaItalia hanno sfidato il virus con la campagna “Il mio balcone e’ una piazza” centrando nel segno. Come tradizione al centro delle tante iniziative virtuali, e non, ci sono stati i giovani. A loro si e’ rivolto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, parlando di Falcone e Borsellino come luci nelle tenebre: “Sono stati tra i primi a comprendere il senso del sacrificio di Falcone e di Borsellino, e ne sono divenuti i depositari, in qualche modo anche gli eredi. Dal 1992, anno dopo anno, nuove generazioni di giovani si avvicinano a queste figure esemplari e si appassionano alla loro opera e alla dedizione alla giustizia che hanno manifestato. Siate fieri del loro esempio e ricordatelo sempre”. “Magistrati unici” li ha definiti il capo della Procura di Palermo, Francesco Lo Voi, e “come loro purtroppo non ce ne sono stati piu’ e non ce ne sono adesso: c’e’ stato forse qualche imitatore, sicuramente in buona fede, ma non sono gli originali. Gli imitatori fanno ridere, a volte”. E facendo un accenno all’impegno costante e continuo della Resistenza contro il nazifascismo, Lo Voi, ha lanciato un forte appello sul fronte della lotta ai mafiosi, quelli con la faccia truce e quelli col volto pulito che “s’infiltrano persino nell’Antimafia”: “Serve una nuova resistenza”. Ai timori che le mafie possano approfittare della drammatica crisi economico-sociale nutrendosi “delle difficolta’ dei cittadini di fronte alla pandemia che sta danneggiando il tessuto occupazionale e il sistema produttivo”, il premier Giuseppe Conte risponde che “la risposta dello Stato deve essere forte, rapida e incisiva”. “Lo Stato c’e’, la scuola c’e'” assicura la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, mentre la collega degli Interni, Luciana Lamorgese, sottolinea che “magistratura e forze di polizia si impegnano tutti i giorni” e che “la lotta contro le mafie continua con la stessa intensita’, seppure in un contesto storico e sociale mutato e in continua evoluzione”. Proprio allo Stato si rivolge il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, perche’ “deve intervenire con urgenza dando liquidita’, ma continuando a fare controlli” perche’ “le mafie approfittano proprio della sofferenza della gente”. Augurandosi che presto si possa conoscere “tutta la verita’” sulle stragi, Maria Falcone, davanti alla stele in memoria del fratello e delle vittime di Capaci, rivolge infine un pensiero a chi facendo il proprio dovere “nei momenti gravi” salva l’Italia, i “nuovi eroi” di una pandemia che, come la mafia, ha mietuto migliaia di vittime: “Qui ricordiamo anche tutti i morti del 2020: i medici, gli infermieri, gli agenti, i rider”.
Ecco il testo del messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai giovani delle scuole coinvolti nel progetto “La nave della legalità”, nel 28° anniversario della strage di Capaci
«A ventotto anni dalla strage di Capaci invio un saluto caloroso a tutti i giovani delle scuole coinvolti nel progetto “La nave della legalità”, che ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E, con loro, Francesca Morvillo e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Rocco Dicillo, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Claudio Traina.
I due attentati di quel 1992 segnarono il punto più alto della sfida della mafia nei confronti dello Stato e colpirono magistrati di grande prestigio e professionalità che, con coraggio e con determinazione, le avevano inferto durissimi colpi, svelandone organizzazione, legami, attività illecite.
I mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo: quel che avrebbe provocato nella società. Nella loro mentalità criminale, non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e di Borsellino, il loro esempio, i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi, oltre la loro morte: diffondendosi, trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste.
La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell’ombra. Le figure di Falcone e Borsellino, come di tanti altri servitori dello Stato caduti nella lotta al crimine organizzato, hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell’impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre, infondendo coraggio, suscitando rigetto e indignazione, provocando volontà di giustizia e di legalità.
I giovani sono stati tra i primi a comprendere il senso del sacrificio di Falcone e di Borsellino, e ne sono divenuti i depositari, in qualche modo anche gli eredi.
Dal 1992, anno dopo anno, nuove generazioni di giovani si avvicinano a queste figure esemplari e si appassionano alla loro opera e alla dedizione alla giustizia che hanno manifestato.
Cari ragazzi, il significato della vostra partecipazione, in questa giornata, è il passaggio a voi del loro testimone.
Siate fieri del loro esempio e ricordatelo sempre».
Il video e il testo del messaggio sono stati messi a disposizione dall’Ufficio stampa del Quirinale
Otto anni di reclusione. Li ha chiesti la Procura di Roma nei confronti dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, imputato assieme alla compagna Elisabetta Tulliani, per l’opaca operazione di compravendita, che risale al 2008, di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale. I pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace hanno sollecitato una pena a 9 anni per la compagna dell’ex segretario di An, e a 10 anni per il fratello Giancarlo Tulliani. Chiesti 5 anni per il padre Sergio.
Nel processo si contesta il solo reato di riciclaggio dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici della quarta sezione collegiale avevano dichiarata prescritta l’accusa di associazione a delinquere, fattispecie contestata ad altri imputati ma non a Fini. La decisione dei giudici è legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. In aula, durante la requisitoria, era presente l’ex presidente della Camera. “Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna – ha commentato – continuo ad avere fiducia nella giustizia e ciò in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi”.
Poco prima dell’intervento della Procura ha chiesto di rilasciare una breve dichiarazione Elisabetta Tulliani. Parole con le quali ha sostanzialmente ‘scaricato’ il fratello. “Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna -. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità”.
L’Avvocatura dello Stato ha chiesto, dal canto suo, l’assoluzione per Fini. Inizialmente il procedimento vedeva coinvolte anche altre persone, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta. Per loro la decisione dei giudici del 29 febbraio ha fatto scattare la prescrizione delle accuse. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere mettevano in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.
Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani.
Quest’ultimi, in base a quanto accertato dagli inquirenti, avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco. ”Questa vicenda – affermò Fini nell’udienza del marzo del 2023 – è stata la più dolorosa per me: sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta. Solo anni dopo ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui. Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito: ho scoperto solo dagli atti del processo che lei era comproprietaria dell’appartamento e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo”. La sentenza è attesa per il prossimo 18 aprile.
Si è avvalso della facoltà di non rispondere il sostituto procuratore antimafia Antonio Laudati nell’interrogatorio in procura a Perugia nell’ambito dell’indagine sui presunti accessi abusivi alle banche dati del suo ufficio compiuti dal tenente della guardia di finanza Pasquale Striano. Fascicolo nel quale è indagato lo stesso Laudati. Lo ha riferito il difensore del magistrato uscendo dal palazzo di giustizia.
(Nella foto in evidenza il procuratore Raffaele Cantone)
Dieci agenti di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Foggia sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari con le accuse di tortura, abuso d’ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, omissione di atti d’ufficio, danneggiamento, concussione, falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale in atti pubblici, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. L’ordinanza è stata emessa dal gip del tribunale di Foggia su richiesta della procura che ha coordinato le indagini dei carabinieri.
Gli indagati sono ritenuti responsabili di aver partecipato a vario titolo ad un violento pestaggio, compiuto l’11 agosto 2023 nel carcere di Foggia, nei confronti di due detenuti. Nel corso delle indagini sarebbe stata accertata la predisposizione e la sottoscrizione di atti falsi finalizzati a nascondere le violenze compiute e a impedire che venissero emesse le diagnosi delle lesioni riportate dai detenuti. Sarebbero state inoltre accertate anche minacce e promesse di ritorsioni attraverso le quali due indagati avrebbero costretto le vittime a sottoscrivere falsi verbali di dichiarazioni in cui fornivano una versione dei fatti smentita dagli esiti delle indagini.