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Meloni fuori dai Volenterosi, è scontro con Macron

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Una nuova riunione, una nuova foto, una distanza che si fa strappo e sfocia in uno scontro aperto con Parigi. Giorgia Meloni e la Coalizione dei Volenterosi a sostegno dell’Ucraina non sono mai stati così lontani. Dopo il viaggio a Kiev di Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e Donald Tusk, a Tirana i quattro leader si concedono un bis. Accade a margine del vertice della Comunità Politica Europea.

In Albania c’è Volodymyr Zelensky, nelle medesime ore i colloqui tra la delegazione russa e quella ucraina confermano la scarsa concretezza del tavolo di Istanbul. I leader di Francia, Regno Unito, Germania e Polonia si riuniscono con il presidente ucraino e tutti e cinque sentono Donald Trump. La foto del loro incontro rimbalza ovunque, come quella di Kiev. E l’Italia non c’è. A dispetto di quanto avvenuto nella capitale ucraina l’assenza di Meloni a Tirana è apparsa più evidente. Il 10 maggio la premier si era comunque collegata alla riunione.

In Albania i 4 leader nordeuropei si sono riuniti a pochi metri dalla presidente del Consiglio, che come tutti gli altri era nelle sale che ospitavano le tavole rotonde previste dalla riunione della Cpe. La sua assenza è subito entrata nel mirino delle opposizioni in Italia e, forse anche per questo, Meloni ha deciso di intervenire. Con un rapido punto stampa, nel quale la premier ha messo in chiaro la sua linea: “L’Italia non è disponibile a inviare truppe in Ucraina e non avrebbe senso partecipare a formati che hanno degli obiettivi sui quali non abbiamo dichiarato la nostra disponibilità”. Parole sulle quali, poco dopo, si soffermato Macron. Smentendo che si sia parlato di invio delle truppe sia a Tirana sia nell’incontro di domenica con Zelensky a Kiev.

“La discussione è sul cessate il fuoco, guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce ne sono a sufficienza di quelle russe”, ha tenuto a precisare l’uomo dell’Eliseo. Il botta e risposta conferma un gelo che a Tirana era parso già evidente. Basta guardare un altro scatto del summit, quello che ritrae Meloni, Tusk, Starmer e questa volta Ursula von der Leyen parlare con Zelensky prima della sessione plenaria dell’incontro. Quando Macron non era ancora arrivato. Il nuovo incontro dei Volenterosi ha tuttavia visto emergere un ulteriore elemento, il rinnovato asse con Trump sull’Ucraina.

“Continueremo a lavorare insieme. Il compito principale è mantenere l’unità dei partner europei e americani intorno alla questione”, hanno dichiarato i quattro leader dopo l’incontro, definendo “inaccettabile” il rifiuto del cessate il fuoco da parte del Cremlino. I contatti, ha spiegato Macron, continueranno nei prossimi giorni. E il presidente francese, in conferenza stampa, ha anche evocato la possibilità di un nuovo colloquio telefonico tra Trump e Vladimir Putin. Sullo Zar l’intenzione di Europa e Usa è quella di accrescere la pressione.

“Noi vogliamo la pace, e per questo dobbiamo aumentare le sanzioni”, ha incalzato von der Leyen anticipando che il nuovo pacchetto – coordinato con Washington – includerà il divieto di accesso a Nord Stream 1 e 2, l’abbassamento del prezzo del petrolio grezzo e misure finanziarie contro le banche russe. Meloni ha ribadito che “non bisogna gettare la spugna” e che “serve insistere sulla pace e sulle garanzie di sicurezza per Kiev”.

Ha lodato “l’eroismo” del popolo ucraino e e si è unita alla condanna dell’assenza di Putin a Istanbul. Ma il suo rapporto con i Volenterosi sull’Ucraina appare ora incrinato. Probabilmente la premier tornerà a discuterne con Merz nel bilaterale di Roma. Nel frattempo, le opposizioni sono passate all’attacco parlando di “umiliazione”. Ai vertici “è un fantasma, ha messo l’Italia in panchina”, ha sottolineato Giuseppe Conte. “E’ un’influencer ininfluente”, ha chiosato Matteo Renzi. “E’ ancora fuori dai tavoli che contano”, ha aggiunto Angelo Bonelli di Avs. Parole alle quali la premier ha replicato con durezza: “A chi si lamenta, all’opposizione ad esempio, chiedo la mia stessa chiarezza: ci si chiede di partecipare a questi formati perché dobbiamo mandare le truppe in Ucraina o perché dobbiamo farci una foto e poi dire di no? Io sono una persona seria”.

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Meloni: non lascio l’Italia indifesa, sì alle spese al 5%

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Gli appelli alla via diplomatica e negoziale cadono mentre arrivano, sempre più preoccupanti, le conferme di attacchi iraniani alle basi americane in Medio Oriente. Guido Crosetto, che pure è rimasto tutto il pomeriggio, lascia la Camera quasi di corsa dopo la replica. Giorgia Meloni entra ed esce dall’Aula sempre più scura in volto, dopo avere ribadito le priorità italiane sui diversi scenari di crisi, come il sostegno a Kiev, il cessate il fuoco a Gaza, il ritorno a un tavolo di negoziato dell’Iran. E dopo avere confermato l’impegno a raggiungere i nuovi target Nato delle spese militari (il 3,5% per la difesa e l’1,5% per la sicurezza) perché, scandisce, “non lasceremo l’Italia esposta, debole e incapace di difendersi”.

Il momento è grave, la premier apre il suo intervento in vista del prossimo Consiglio europeo dicendo di volersi tenere lontana dalle “polemiche” e tendendo una mano alle opposizioni, assicurando di voler tenere aperto e di “ampliare” un canale di dialogo riallacciato con Elly Schlein proprio dopo gli attacchi Usa all’Iran. Attacchi che, dice Meloni ai deputati, hanno “aggravato la crisi che coinvolge” Teheran e Israele. Non solo, mentre ribadisce con forza che l’Italia finora non è stata coinvolta assicura inoltre: se mai dovesse arrivare una richiesta dall’alleato statunitense, l’utilizzo delle basi italiane per interventi in Iran passerebbe comunque per il vaglio delle Camere. Al momento si tratta di un periodo totalmente ipotetico, sottolinea la premier, perché “l’Italia non è impegnata militarmente” e “non è stato chiesto l’uso delle basi. Posso dire – aggiunge – che penso che non accadrà ma posso garantire che una decisione del genere dovrà fare un passaggio parlamentare, a differenza di quello che è accaduto quando al governo non c’eravamo noi”. Una risposta che non basta alle opposizioni, che chiedono, Schlein e Giuseppe Conte in testa, una parola “chiara” sul fatto che l’Italia “non entrerà in questa guerra”.

Non basta ai dem nemmeno la presa di posizione sull’azione di Israele a Gaza, che per la premier sta “assumendo forme drammatiche e inaccettabili”. I cittadini sono “preoccupati”, i toni da “campagna elettorale” vanno lasciati da parte, insiste Meloni anche nella replica in cui alza la voce solo nel passaggio in cui respinge la tesi di un’Italia “subalterna” agli Stati Uniti e rivendica di essere già “leader di una nazione che conta, non perché io conto – dice- ma perché sono presidente del Consiglio di una nazione che si chiama Italia”. Risponde piccata anche a chi la accusa di non avere citato né Donald Trump né Benjamin Netanyahu (“non ho nessun problema a farlo”) ma non si lascia andare ad affondi pesanti, come è successo in altre occasioni, nei confronti delle opposizioni. Non attacca frontalmente neanche il Movimento 5 Stelle che presenta una risoluzione che non esclude la ripresa della collaborazione con la Russia sul gas. Azione incassa anche il parere favorevole del governo ad alcuni impegni della sua risoluzione come quello di rilanciare il negoziato con l’Iran che, per la premier, è uno dei punti in cui in Parlamento si registra una sostanziale “convergenza”.

Resta tutta la distanza, invece, sulle spese militari, che certo non entusiasmano la Lega (in Aula c’è Salvini ma non sempre i deputati, che quando scatta la standing ovation sull’Italia “che conta” applaudono ma non si alzano). Meloni si lancia in una citazione di Margaret Thatcher per argomentare la scelta di aderire al nuovo obiettivo Nato, dopo una trattativa che ha portato ad esempio ad allungare al 2035 i tempi. Gli impegni peraltro, risponde a chi le chiede perché non abbia fatto come Pedro Sanchez, “sono uguali per tutti, non c’è alcuna differenza tra quelli assunti dall’Italia e dalla Spagna”. L’importante è che siano target “chiari, trasparenti e sostenibili”, un messaggio che la premier manda anche a Bruxelles, insistendo, come aveva fatto nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sull’esigenza di rendere il Patto di stabilità “compatibile” con l’aumento delle spese per la difesa, senza creare “disparità di trattamento” per quei paesi, come l’Italia, in procedura per deficit eccessivo.

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Il M5s apre al gas russo, rottura con Pd e Avs

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La Russia divide le opposizioni. Alla Camera, i gruppi di Pd, Avs e M5s non solo hanno presentato ognuno una propria risoluzione sulle crisi internazionali – specie quelle in Medio Oriente e in Ucraina – ma si sono scontrati su un passaggio di quella del M5s, che chiedeva di non escludere “a priori e pro futuro una possibile collaborazione con la Russia” sulla fornitura di gas, nel caso in cui la guerra all’Iran determini una stretta alle importazioni. Poche righe che hanno subito fatto fibrillare il campo largo. Pd e Avs hanno deciso che non avrebbero votato quel passaggio. “Lo trovo irricevibile”, ha scritto sui social il senatore del Pd Filippo Sensi. E a ruota, il segretario di Azione, Carlo Calenda: quella del M5s è una risoluzione “vergognosa, il Pd deve prendere atto che non può esserci” un’alleanza con chi, sulla Russia, “ha una linea identica a quella di Salvini”.

Per il Pd, anche un’altra richiesta del M5s era irricevibile, quella di “interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine”. Nella risoluzione Pd, invece, era stata sottolineata la necessità di “continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine”. Una posizione ribadita anche dalla segretaria Elly Schlein, nelle dichiarazioni di voto in Aula. Insomma, al fronte delle armi all’Ucraina, da sempre motivo di frizione all’interno del campo largo – anche Avs, come il M5s, è per lo stop all’invio – si affianca quello “nuovo” sul gas russo. Lo scopo di una eventuale collaborazione, ha scritto il M5s nella risoluzione, è “garantire il contenimento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale” e mettere l’Unione europea “in grado di adeguarsi ai mutevoli scenari del quadro geopolitico mondiale, senza legarsi a specifiche fonti energetiche in maniera quasi monopolista”.

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Commissione d’inchiesta in visita a Casamicciola ed a Napoli

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Mercoledì 25 e giovedì 26 giugno, la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico, presieduta da Pino Bicchielli, sarà in missione a Casamicciola, a Napoli e nei Campi Flegrei e svolgerà audizioni di sindaci e rappresentanti istituzionali, secondo il seguente programma. Mercoledì 25 al Comune di Casamicciola Terme: ore 12.15 audizione Commissario straordinario per la ricostruzione a Ischia, Giovanni Legnini; ore 12.45 audizione Sindaco di Casamicciola, Giuseppe Ferrandino; ore 14.15 sopralluogo alla zona colpita dalla frana del 26 novembre 2022. Al termine è previsto un punto stampa. Giovedì 26 in Prefettura a Napoli: audizioni dei sindaci dei Comuni interessati dal rischio sismico (ore 10 Sindaco di Napoli e della Città Metropolitana, Gaetano Manfredi; ore 10.45 Sindaco di Pozzuoli Luigi Manzoni; ore 11.15 Sindaco di Bacoli, Josi Gerardo Della Ragione. Alle ore 11.45 è previsto un punto stampa. Alle ore 12 seguiranno le audizioni del Vicepresidente della Giunta Regionale della Campania con delega all’Ambiente, Fulvio Bonavitacola; ore 12.30 Assessore all’urbanistica e governo del territorio, Bruno Discepolo; ore 13 Segretario generale Autorità di bacino dell’Appennino meridionale, Vera Corbelli; ore 13.30 Commissario Straordinario per i Campi Flegrei, Fulvio Maria Soccodato. Alle ore 15 partenza dalla Prefettura per i sopralluoghi nei Comuni di Bacoli e Pozzuoli. L’ultimo appuntamento è in programma alle ore 18 e prevede la visita dell’Osservatorio vesuviano (sede operativa).

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