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Meloni frena gli alleati, con la Lega gelo sui migranti

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Evitare che la marcia verso le Europee si trasformi in una lunga campagna elettorale è l’auspicio che si fa a Palazzo Chigi. Nei prossimi dieci mesi è “naturale” che “si valorizzino le differenze” fra i partiti della maggioranza, ammette Giorgia Meloni, comunque “ottimista” sulle capacità di “sintesi” della coalizione e convinta che “nessuno metterà a repentaglio tutto questo per un punto percentuale alle Europee”. La speranza rischia di essere più volte messa alla prova dei fatti, a cominciare dalle scelte su una manovra dalle “poche” risorse, e proseguendo con una serie di dossier su cui non c’è perfetto allineamento fra gli alleati. Uno potrebbe essere anche il superbonus. Per Meloni ha generato “la più grande truffa ai danni dello Stato”.

Nessuno per ora nel governo parla di un’ulteriore stretta, ma da FI chiedono di “salvaguardare chi ha investito e riposto fiducia nelle norme dello Stato, per quanto scritte male”. Una frizione fra gli azzurri e Palazzo Chigi si è già consumata a inizio estate con la tassazione degli extraprofitti sulle banche, che aveva costretto a un chiarimento fra la premier e Antonio Tajani. In quel faccia a faccia si era condiviso l’impegno procedere in modo collegiale di fronte a decisioni simili. A una ventina di giorni di distanza, in una lunga intervista al Sole 24 Ore Meloni ha rivendicato la “responsabilità politica” di quella mossa: “Io non tasserò mai il legittimo profitto imprenditoriale e agirò sempre per aiutare a creare ricchezza. Però non intendo difendere le rendite di posizione. Non ho coinvolto gli alleati perché quando si interviene su queste materie bisogna farlo e basta”.

E lunedì FI e Lega hanno preso atto che la presidente del Consiglio ha accentrato a Palazzo Chigi anche la gestione della questione migranti, convocando in maniera permanente il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, delegata al sottosegretario Alfredo Mantovano. Vi partecipano i ministri competenti e, come ha spiegato Mantovano, anche i vicepremier. Una scelta accolta in maniera piuttosto fredda dai leghisti, che avrebbero considerato il passaggio della regia a Palazzo Chigi e a Mantovano, come un’estromissione bella e buona da uno dei dossier tradizionali di loro “competenza”. Tanto da far circolare voci, comunque smentite, di un irritato rifiuto di Salvini a partecipare alle riunioni del Comitato. Matteo Salvini “è invitato permanentemente” al Cisr, “a ogni riunione sarà presente, come sempre successo”, gettano acqua sul fuoco dalla Lega pur aggiungendo che “gli uffici del Mit non si occupano di immigrazione come è normale e come è sempre stato”.

Ma un suo obiettivo dichiarato è un nuovo decreto sicurezza, e nella maggioranza non si nasconde il timore che il tentativo della Lega di inserire norme particolarmente stringenti si possa scontrare con la preoccupazione di Palazzo Chigi di non andare incontro a obiezioni da parte del Quirinale. Nel colloquio con Maria Latella, Meloni ha anche chiarito che “il tema della privatizzazione dei porti non è all’ordine del giorno e non credo sia un tema da campagna elettorale”. Uno stop quindi a una delle proposte avanzate da Tajani per allentare il debito, accolto con soddisfazione dalla Lega. Quel tipo di asset è da tempo nel mirino della Cina, con cui l’Italia non rinnoverà l’accordo della Via della Seta. “Non prevedo che il nostro rapporto con la Cina diventi complicato – ha assicurato Meloni alla vigilia del viaggio di Tajani a Pechino -. Tra Roma e Pechino le relazioni sono antiche e ci sono grandi e reciproche convenienze, non solo in ambito commerciale. Penso ad esempio che la Cina possa essere un ottimo partner per il lusso italiano”. Mentre il Financial Times si domanda se “l’Italia sprecherà l’opportunità da 200 miliardi di euro” del Pnrr osservando che “la risposta a questa domanda avrà ripercussioni ben oltre i confini italiani e in tutta l’Ue”, a Roma si guarda con attenzione alle trattative sul Patto di stabilità. Il negoziato europeo è uno dei temi che Meloni affronterà domani ad Atene nella cena di lavoro con il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, al Palazzo Maximos.

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Rai e Report: polemiche e tensioni dopo la trasmissione della telefonata di Sangiuliano

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La puntata di Report, andata in onda domenica scorsa, ha scatenato una bufera ai vertici della Rai. Al centro della polemica, la decisione di trasmettere l’audio di una conversazione privata tra l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini (nella foto Imagoeconomica in evidenza), registrata di nascosto da Maria Rosaria Boccia. Una scelta editoriale che ha portato a critiche severe nei confronti del conduttore Sigfrido Ranucci e del direttore dell’Approfondimento Paolo Corsini, responsabile del controllo editoriale del programma.

Secondo fonti interne, l’amministratore delegato della Rai, Giampaolo Rossi, avrebbe espresso una «forte irritazione» per quanto accaduto, definendo l’episodio una possibile violazione del mandato del servizio pubblico.

Le accuse ai vertici editoriali

Paolo Corsini, che supervisiona i contenuti di trasmissioni come Report, è finito sotto accusa per non aver sollevato dubbi sull’opportunità di trasmettere l’audio integrale della telefonata. Secondo i vertici Rai, Corsini avrebbe dovuto valutare se la conversazione avesse una reale valenza pubblica tale da giustificarne la diffusione.

La notizia della messa in onda sarebbe arrivata ai piani alti di viale Mazzini solo poche ore prima della trasmissione, senza lasciare il tempo di intervenire per modificarne il contenuto o trasformare la registrazione in una narrazione sintetica.

Questo episodio, sommato alle critiche già mosse in passato per altre puntate di Report, potrebbe compromettere la riconferma di Corsini nella prossima tornata di nomine Rai.

Danno d’immagine e ammonimenti

La Rai ritiene che la trasmissione della registrazione abbia causato un danno d’immagine al servizio pubblico, esponendo Federica Corsini, giornalista Rai e moglie di Sangiuliano, a una gogna mediatica. Questo non è il primo episodio controverso legato a Report: sull’inchiesta sulla Liguria, mandata in onda il giorno prima delle elezioni regionali, pende già un ammonimento dell’Autorità per le Comunicazioni.

Secondo alcune voci ai piani alti, il metodo Report, accusato di «inseguire lo scoop per fare ascolti», non sarebbe sempre in linea con gli obblighi del servizio pubblico, né efficace in termini di share. L’ultima puntata, infatti, ha registrato l’8,5% di ascolti, in calo rispetto al 14% della puntata precedente sul caso Boccia.

Un futuro incerto per Report

Le tensioni tra la Rai e il team di Report riflettono un dibattito più ampio sul ruolo del servizio pubblico e sui limiti dell’informazione giornalistica. Mentre la trasparenza e la denuncia restano valori fondamentali, episodi come questo sollevano interrogativi su etica, privacy e responsabilità editoriale.

Il futuro di Report potrebbe dipendere dalla capacità di bilanciare la ricerca della verità con il rispetto delle regole del servizio pubblico, in un contesto sempre più complesso e competitivo.

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Scudo erariale resta, allarme dei giudici contabili

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Resta alta la tensione fra giudici contabili e maggioranza di governo. L’ultimo fronte è aperto dal decreto legge Milleproroghe, che allunga di quattro mesi la durata dello scudo erariale, che solleva gli amministratori pubblici da responsabilità contabili in caso di colpa grave, limitandole al danno “dolosamente voluto”. La novità suscita “fortissime perplessità” nell’Associazione dei magistrati della Corte dei conti. La critica si somma a quelle sulla riforma sulla Corte dei conti che in Parlamento procede a rilento, e su cui è acceso anche il faro del Quirinale, come ammettono fonti di centrodestra. Doveva approdare in Aula alla Camera in questi giorni, poi a metà dicembre e ora ha come orizzonte gennaio.

In attesa di uno o più emendamenti, che potrebbero riscrivere alcune parti cruciali della proposta di legge targata Tommaso Foti e quindi FdI. Le modifiche in fase di definizione dovrebbero riguardare soprattutto il capitolo organizzativo, ossia l’accorpamento delle sezioni territoriali e la centralizzazione a Roma delle funzioni requirenti delle Procure. Due aspetti duramente contestati dall’Associazione dei magistrati contabili e dalle opposizioni, richiamando a più riprese il recente monito di Sergio Mattarella, che ha rimarcato come la Corte sia “garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche”.

Sono in arrivo uno o più emendamenti, che dovrebbero essere presentati nelle prossime ore alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia dai relatori (Sara Kelany di FdI e Pietro Pittalis di FI): ci si lavora, spiegano in ambienti parlamentari, in asse con Palazzo Chigi, e non mancano interlocuzioni con il Colle. Da mesi i giudici contabili sostengono che qualsiasi riforma della responsabilità amministrativa dovrebbe essere accompagnata dall’abolizione dello scudo erariale, adottato sulla scia dell’emergenza Covid, prorogato più volte per rimediare alla ‘paura della firma’ e ora di nuovo fino al 30 aprile. “Si rischia un vero e proprio scudo tombale – nota la presidente dell’Associazione magistrati della Corte dei conti, Paola Briguori -, in violazione del dettato della Corte costituzionale.

Cinque anni di mancato risarcimento dei danni erariali per condotte attive gravemente colpose sono davvero troppi danni non risarciti che resteranno per sempre a carico dei contribuenti”. Dalla maggioranza la risposta arriva da FI. “C’è una circostanza che dovrebbe interrogare l’associazione – afferma Pittalis -: dal 2019 al 2024 solo il 9% dell’ammontare delle condanne della Corte dei Conti è stato recuperato. È evidente che c’è qualcosa che non va nel sistema e di questo ci stiamo occupando. Vogliamo valorizzare il lavoro dei giudici contabili e rendere effettive le loro sentenze”. Alla critica dei magistrati contabili si unisce il coro delle opposizioni. Per i dem Debora Serracchiani e Federico Gianassi, dietro la proroga dello scudo erariale c’è “l’ossessione della maggioranza e del governo di approvare in tempi stretti la riforma che stravolge il ruolo e le funzioni” della Corte.

“La destra sta facendo una guerra alla Corte dei conti, poi proroga il cosiddetto ‘scudo erariale’ – attacca Marco Grimaldi (Avs) -: è una vera vergogna. Vanno aggiunti la cancellazione del reato di abuso d’ufficio e lo scudo penale per gli amministratori. Questi tasselli nel loro insieme garantiranno ai colletti bianchi totale impunità”. Per Alfonso Colucci (M5s) la misura, “sbagliata e pericolosa di per sé”, diventa “esplosiva in combinato disposto con l’abolizione del controllo concomitante della Corte dei conti sul Pnrr e con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio”.

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Politico incorona Meloni, “è la più potente d’Europa”

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“Chi chiami se vuoi parlare con l’Europa? Se sei Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e consigliere chiave del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, il numero da chiamare è quello di Giorgia Meloni”. La testata internazionale Politico ha incoronato la premier italiana come la persona più potente d’Europa per il 2025, definendola nella sua classifica d’influenza l’interprete perfetta dello zeitgeist, lo spirito del tempo, “sempre più radicale che fiorisce su entrambe le sponde dell’Atlantico”. “In meno di un decennio, la leader di destra di Fratelli d’Italia è passata dall’essere liquidata come una pazza ultranazionalista all’essere eletta prima ministra d’Italia, affermandosi come una figura con cui Bruxelles, e ora Washington, possono fare affari”, evidenzia la testata considerata una voce autorevole nel panorama politico globale in una lunga descrizione che ripercorre l’ascesa di Meloni e le principali tappe dei suoi due anni anni di governo, definito come “uno dei più stabili mai esistiti nell’Italia del dopoguerra”.

Da quando è arrivata a Palazzo Chigi, osserva Politico, Meloni “ha mantenuto al minimo la sua retorica anti-Ue ed evitato scontri con Bruxelles”, spiazzando anche i suoi detrattori ed “emergendo come una delle sostenitrici più convinte dell’Ucraina”. L’affermazione della leader di Fratelli d’Italia è coincisa con la resa dei conti nel Vecchio Continente sulla crisi migratoria. Meloni ha saputo giocarsi le sue carte: attraverso una “collaborazione con la presidente Ursula von der Leyen” e la firma di “accordi storici con Tunisia, Mauritania ed Egitto”. Oltre al modello Albania da cui, si evidenzia, non si sono discostati nemmeno i leader di centrosinistra come il tedesco Olaf Scholz e il britannico Keir Starmer. Sfruttando il vuoto di potere lasciato da Parigi e Berlino, la premier ha ora spazio per “portare avanti le sue politiche”.

E “la rielezione di Trump”, nel giudizio della testata di proprietà del gruppo editoriale Axel Springer, potrà darle “ancora più slancio”. Anche grazie al sostegno di Elon Musk, che la acclama come paladina del contrasto all’immigrazione illegale. Se finora Meloni ha usato la sua influenza principalmente in Italia, la domanda – evidenzia infine Politico – è se adesso “inizierà a esibire i muscoli a livello internazionale e se, con un nuovo vento che soffia attraverso l’Atlantico, continuerà a giocare bene con istituzioni come l’Ue e la Nato oppure tornerà alle sue radici di destra e sfiderà lo status quo”.

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