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Meloni al Consiglio d’Europa: registro sui danni di Mosca

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L’istituzione di un Registro dei danni causati dall’aggressione di Mosca all’Ucraina e un rinnovato sostegno all’azione internazionale per assicurare responsabilità per i crimini internazionali commessi dai russi: con questi due atti prenderà nuovamente posizione dalla parte di Kiev il Consiglio d’Europa, che riunisce i capi di stato e governo il 16 3 17 maggio a Reykjavik, dove è attesa anche Giorgia Meloni.

Da programma, la premier è fra i leader che terranno i discorsi di apertura del vertice intitolato “Uniti attorno ai nostri valori”, assieme al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, reduce da un tour nelle principali capitali europee, al presidente francese Emmanuel Macron, al cancelliere tedesco Olaf Scholz e al primo ministro del Regno Unito Rishi Sunak. Dall’Islanda, la premier volerà direttamente in Giappone per il G7. A Reykjavik, o più probabilmente a Hiroshima dove il programma offre più spazi (il G7 dura da venerdì a domenica), dovrebbero crearsi le condizioni per un faccia a faccia con Macron. Le diplomazie vi stanno lavorando dopo i nuovi attacchi lanciati nella settimana passata da membri del governo francese nei confronti della leader italiana e del suo esecutivo, sulla gestione del dossier migranti.

È solo una strategia “per regolare conti interni”, e non c’è “nessun problema bilaterale con la Francia”, è stata la reazione di Meloni nei giorni scorsi. L’ultimo incontro con Macron, il 23 marzo a Bruxelles, preceduto da simili tensioni, era stato molto positivo, notano fonti di governo. Quasi due mesi più tardi, i due potrebbero rivedersi per un confronto in uno di questi vertici internazionali, in cui l’attenzione generale sarà focalizzata sull’Ucraina. Quello in Islanda è il quarto summit di capi di stato e governo (l’ultimo nel 2005 a Varsavia) del Consiglio d’Europa, che riunisce 46 paesi, con l’obiettivo di promuovere la democrazia, proteggere i diritti umani e lo stato di diritto.

La Russia è stata espulsa a marzo 2022 dall’organizzazione internazionale con sede a Strasburgo. E ora il vertice affronterà il tema di come rendere Mosca responsabile per l’aggressione e perseguire chi ha commesso crimini di guerra. I leader riaffermeranno l’impegno comune sui valori fondamentali del Consiglio d’Europa, per riorientarne la missione alla luce delle nuove minacce ai diritti umani, e per sostenere ulteriormente l’Ucraina. Il principale risultato atteso è l’annuncio di un Registro dei danni causati dall’aggressione russa in Ucraina: uno strumento di cooperazione intergovernativa, spiegano fonti italiane, aperto anche a Stati terzi. Si tratta, viene sottolineato, di un primo passo verso la creazione di un meccanismo internazionale di compensazione economica dei danni subiti dall’Ucraina che consentirà di chiamare la Russia a rispondere delle sue responsabilità, ed è anche una prova concreta di assistenza a Kiev.

Al summit parteciperà anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha annunciato il sostegno alla creazione di un tribunale dedicato. Sul tavolo pure le sfide su diritti umani, ambiente, intelligenza artificiale e sviluppo digitale. Dopo l’arrivo dei leader, accolti attorno alle 19 italiane dalla premier dell’Islanda Katrin Jakobsdottir e dal segretario generale del Consiglio d’Europa Marija Pejcinovic Buric, è prevista l’apertura del summit, poi cinque tavole rotonde in simultanea. Meloni interverrà a quella sulle nuove sfide per i diritti umani. Il summit andrà in scena all’Harpa, un centro congressi con sala da concerti: a fine giornata è prevista la cena di lavoro dei leader, all’ultimo piano del palazzo, con una suggestiva vista sul Mar di Groenlandia.

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La strage dei neonati, si allarga l’inchiesta dopo la condanna della infermiera

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Si allargano anche alle possibili negligenze dei vertici della struttura sanitaria locale le indagini idella polizia britannica sulla “strage di neonati” del Countess of Chester Hospital: l’ospedale del nord dell’Inghilterra in cui un’infermiera addetta al reparto maternità fece morire – deliberatamente secondo le accuse – 7 neonati fra il 2015 e il 2016, esponendo a sovradosaggi di farmaci almeno altri 6, per motivi deliranti che in parte restano oscuri. Il primo capitolo della vicenda si è chiuso nell’agosto scorso con la condanna all’ergastolo dell’ex infermiera 33enne Lucy Letby, ribattezzata dai tabloid “la nurse killer del Chestershire”. Mentre è di oggi l’ufficializzazione della notizia dell’apertura formale di un secondo fascicolo parallelo da parte della polizia della contea sull’ipotesi di reato di complicità in omicidio colposo plurimo a carico di responsabili dell’ospedale o di figure addette sulla carta alla sorveglianza in seno al servizio sanitario nazionale (Nhs). Figure al momento non identificate. Il sovrintendente detective Simon Blackwell ha sottolineato che le verifiche riguarderanno anche i massimi vertici dell’epoca della struttura, precisando che esse sono tuttavia “a uno stadio iniziale”. E che quindi non vi sono per ora specifici individui nel registro degli indagati.

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Ricatto di Saied, l’arma dell’invasione per i fondi

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Saied presidente Tunisia

Un gioco al rialzo o rivendicazioni a uso e consumo interno? Il presidente tunisino Kais Saied ha rifiutato un primo assegno da 127 milioni dell’Unione europea, bollandolo come “elemosina”, con un rigurgito – almeno all’apparenza – di anticolonialismo. O, piuttosto, per alzare la posta, brandendo la minaccia dell’invasione di migliaia di migranti pronti a salpare da Sfax verso le coste italiane. Con un duplice obiettivo: ricevere una somma più alta, sul modello dell’accordo da 6 miliardi di euro raggiunto dall’Ue con la Turchia di Erdogan nel 2016 per chiudere i rubinetti della rotta balcanica; e riuscire ad ottenere i 900 milioni di assistenza macrofinanziaria previsti dal memorandum del luglio scorso, sganciandoli dai quasi 2 miliardi che l’Fmi tiene bloccati in attesa di riforme. Riforme che Saied – che dal 2021 si presenta come nuovo autocrate del Nord Africa – non sembra intenzionato nemmeno ad avviare.

La Commissione europea aveva annunciato nei giorni scorsi di aver stanziato i 127 milioni da versare “rapidamente” a Tunisi. Bruxelles aveva precisato che si trattava di 67 milioni per combattere l’immigrazione illegale (i primi 42 milioni dei 105 milioni di aiuti previsti dal memorandum firmato due mesi fa e altri 24,7 milioni nell’ambito di programmi già in corso) e 60 milioni legati al sostegno del bilancio tunisino. Ma Saied ha bloccato tutto: “La Tunisia accetta la cooperazione, ma non accetta nulla che somigli a carità o favore, quando questo è senza rispetto”, ha dichiarato il presidente dopo aver rinviato e sospeso nei giorni scorsi anche le visite delle delegazioni europee, prima parlamentare e poi della Commissione. Questo rifiuto, ha tenuto a sottolineare Saied, “non è dovuto all’importo irrisorio ma al fatto che questa proposta va contro” l’accordo firmato a Tunisi e “lo spirito che ha prevalso durante la Conferenza di Roma” di luglio, “iniziativa avviata da Tunisia e Italia”.

“Non abbiamo capito ancora cosa volesse dire Saied. Non abbiamo avuto la trascrizione e stiamo lavorando per avere più informazioni”, ha ammesso un alto funzionario Ue, intuendo però che il tunisino “avrebbe preferito più aiuti” rispetto alla prima tranche. Sullo stato dell’intesa la fonte ha ricordato che il Consiglio “non è stato coinvolto” nei negoziati. Ma, ha sottolineato, “non possiamo dire che il Memorandum sia un fallimento”. E se anche a Bruxelles l’intesa con Tunisi trova un ostacolo nelle diverse posizioni dei 27, preoccupa lo stato dei diritti umani nel Paese, dove la democrazia sognata dalla rivoluzione dei Gelsomini è ormai naufragata e dove lo stesso Saied ha di fatto aizzato una caccia al migrante subsahariano, ormai poco tollerato da una popolazione alle prese con una grave crisi economica e alimentare.

Resta il fatto che l’Europa e l’Italia non possono fare a meno di lavorare con la Tunisia per arginare gli sbarchi che rischiano di mettere in crisi l’Unione e il suo futuro dopo le elezioni di giugno. E Saied lo ha capito, rilanciando ogni giorno, non solo per sedare le tensioni interne ma anche e soprattutto per spingere l’Europa, di fronte ad una crisi migratoria senza precedenti, a fare pressione su Washington per lo sblocco degli 1,9 miliardi del Fondo Monetario Internazionale.

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La Camera destituisce lo speaker, prima volta negli Usa

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La Camera ha approvato la mozione per destituire lo speaker repubblicano Kevin McCarthy, facendo precipitare il Capitol nel caos e nell’incertezza. E’ la prima volta nella storia Usa. A proporre la mozione il deputato del suo partito Matt Gaetz, un fedelissimo di Donald Trump ed esponente di una fronda parlamentare alla Camera legata al tycoon.

La votazione si è conclusa con 216 voti a favore e 210 no. Otto repubblicani hanno votato contro McCarthy. Quest’ultimo ora dovrà indicare il suo sostituto provvisorio sino all’elezione di un nuovo speaker, passaggio che non sarà certo facile e che rischia di paralizzare il Congresso proprio quando deve negoziare la prossima legge di spesa.

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