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Economia

Mediobanca alza gli obiettivi e non teme rilancio di Mps

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Mediobanca archivia il primo semestre dell’esercizio 2024-2025 con risultati record e può così migliorare gli obiettivi del piano triennale. Dopo aver visto aumentare l’utile netto a 659,7 milioni (+8%), dei quali 240,5 milioni generali dalla quota detenuta in Generali, e i ricavi a 1.847,7 milioni (+6,8%), l’istituto milanese finito nel mirino di Mps ha rivisto al rialzo i suoi target. Ha di fatto confermato quelli di quest’anno, alla luce anche dell’avvio brillante, e alzato quelli del prossimo esercizio. I ricavi sono stati vengono portati a circa 4 miliardi dagli iniziali 3,8 miliardi, l’utile netto oltre 1,4 miliardi rispetto a 1,3 miliardo preventivati e il payout a circa il 100%. E’ prevista di conseguenza una distribuzione totale cumulata nei 3 anni oltre 4 miliardi dal target iniziale di 3,7 miliardi. Nel dettaglio verranno distribuiti nell’ultimo anno del piano 300/400 milioni di dividendi in contanti in più (+40%) e la cedola per azione salirà quindi da 1,2 euro del consensus a 1,7/1,8 euro.

Nel diffondere il risultati dove hanno brillato, soprattutto nel secondo trimestre, il wealth management a un anno dal battesimo di Mediobanca Premiere e l’investment banking grazie anche dalla ripresa dell’M&A, l’istituto di Piazzetta Cuccia non manca di ribadire il suo no netto all’offerta pubblica di scambio annunciata dal Mps. L’amministratore Alberto Nagel va oltre e definisce l’offerta “innaturale” sostenendo la totale carenza di contenuti sia industriali sia finanziari come del resto pensano, riferisce il banchiere, gli investitori istituzionali, molti dei quali sono azionisti anche del Monte dei Paschi. In ogni caso l’istituto non teme che un rilancio possa far cambiare il sentiment del mercato e renderlo più favorevole ad aderire all’ops. “Non temiamo nulla”, assicura perché “se guardiamo alle proposte che ci vengono rivolte con occhio disincantato nell’interesse dei nostri azionisti” e “paragoniamo la proposta che ci è arrivata, ed altre proposte che dovessero arrivare sempre dallo stesso offerente o altre ancora, comparandola con quello che la banca può fare su base stand-alone” “la barra di riferimento è molto alta”.

Mediobanca infatti “ha a una storia di crescita dei ricavi, degli utili e delle distribuzioni ai soci, una solidità che è molto difficile possa essere migliorata o battuta all’interno di una banca che non ha il nostro dna e che non presenta le sinergie che noi immaginiamo debba presentare”, conclude ribadendo che non c’è preoccupazione. L’altro tema caldo sulla quale si concentrano le domande dei giornalisti, alla viglia della conference con gli analisti, è Generali della quale Piazzetta Cuccia è il principale azionista con il 13,1% davanti a Francesco Gaetano Caltagirone e alla Delfin degli eredi Del Vecchio, ossia gli stessi soci di Mediobanca e di Mps. Nagel ammette che in mancanza di una lista del cda uscente del gruppo assicurativo, la banca dovrà presenterà una propria lista per il rinnovo del board all’assemblea dell’8 maggio.

Le ragioni, ricorda sono due. La prima è tutelare l’ investimento e quindi concorrere a nominare consiglieri che meglio lo tutelino come dimostrano i risultati finora conseguiti e il nuovo piano presentato dal ceo di Generali Philippe Donnet. Il secondo motivo è legato invece al fatto che senza un proprio rappresentante nel nuovo board Mediobanca non può consolidare Generali ad equity né avere l’attuale trattamento prudenziale. Non un vero Danish compromise – che consente un trattamento favorevole delle partecipazioni assicurative nei requisiti patrimoniali di una banca – ma, lo definisce Nagel, “un suo parente stretto”. “Avremmo preferito che questo tipo di iter lo avesse fatto la compagnia, perché questo succede in tutto il mondo. Da noi non può succedere, ce ne rammarichiamo e provvederemo ad agire di conseguenza”, indica.

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Economia

Criptovalute, la maggioranza vuole bloccare l’aumento della tassa dal 2026

La maggioranza spinge per fermare l’aumento della tassazione sulle cripto-attività previsto dal 2026. Giorgetti e Panetta richiamano sulla legalità economica e sui rischi legati all’uso illecito delle crypto.

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Centrodestra in pressing per bloccare l’aumento dell’aliquota sulle cripto-attività dal 26% al 33% previsto dal 2026. Con una serie di emendamenti alla manovra, le forze di governo puntano a scongiurare l’incremento, dopo che già lo scorso anno il tema aveva acceso il dibattito parlamentare e portato a un aumento molto ridotto rispetto al 42% inizialmente proposto.

Giorgetti: “Crimini economici minaccia per i sistemi democratici”

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervenuto alla Scuola di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza insieme al governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, ha richiamato l’attenzione sui rischi legati ai reati economici: “Sono una minaccia per la stabilità dei sistemi democratici”.
Il ministro ha sottolineato l’importanza della legalità fiscale: “Quando le tasse vengono pagate da tutti in modo equo e le imprese operano senza concorrenza sleale, il sistema funziona”.

Panetta: serve vigilanza sulle cripto-attività

Il governatore Panetta ha ricordato che l’evasione è diminuita dal 2011, ma l’economia irregolare resta pari al 10% del Pil. Ha evidenziato il ruolo positivo dei pagamenti elettronici sulla tracciabilità, ma ha anche avvertito sui rischi legati all’uso delle criptovalute per fini illeciti: “Servono regole e controlli”.

La battaglia sugli emendamenti alla manovra

L’intesa nella maggioranza sul tema crypto aumenta le probabilità che la proposta entri nella lista dei 414 emendamenti prioritari che i partiti dovranno selezionare tra quasi 6mila.
La ripartizione è complessa: Forza Italia potrà salvarne solo 39 su 677, FdI 123 su 500, la Lega 57 su 399 e Noi Moderati 19.

Tra le altre misure in valutazione:

  • tassa da 2 euro sui piccoli pacchi extra Ue come possibile copertura

  • tassazione agevolata sull’oro proposta da Lega e Forza Italia

  • ampliamento della rottamazione quinquies

  • stop all’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi

  • eliminazione del divieto di compensazione dei crediti fiscali

Meloni prepara un nuovo vertice di maggioranza

La premier Giorgia Meloni riunirà nuovamente i leader della coalizione per definire la linea in vista del voto in commissione. Nel frattempo FdI ha lanciato una campagna di comunicazione sulla manovra intitolata “Dalla parte degli italiani”, per sostenere le scelte del governo.


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Economia

Euro digitale vs stablecoin Usa: la sfida tra Bce, Apple e Big Tech per il futuro dei pagamenti

L’Europa accelera sull’euro digitale mentre gli Usa puntano sulle stablecoin: la sfida tra Bce, Big Tech e amministrazione Trump ridisegna il futuro dei pagamenti digitali.

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L’amministrazione Trump ha concentrato la sua strategia sulle stablecoin ancorate al dollaro, con il timore europeo che Amazon, Facebook o altre piattaforme Usa possano diventare la porta d’ingresso per una diffusione massiccia degli asset crypto in Europa.
Secondo una fonte finanziaria, il negoziato transatlantico appare fragile: «è come costruire una casa sulle sabbie mobili», viene spiegato, viste le posizioni volubili della controparte americana.

La risposta europea: l’euro digitale entro il 2029

La Bce corre contro il tempo per lanciare entro il 2029 l’euro digitale, uno strumento pensato per:

  • mantenere una moneta pubblica contro l’offensiva delle stablecoin;

  • ridurre la dipendenza dalle carte di credito statunitensi;

  • frenare l’espansione di PayPal, Apple Pay e Big Tech nei pagamenti europei.

L’euro digitale avrà due modalità d’uso:

  1. App su smartphone

  2. Card fisica, simile a una carta di credito

Sarà denaro vero, un “contante dematerializzato” con due tasche: una online e una offline, la seconda costruita su token conservati fisicamente nel telefono, trasferibili avvicinando due dispositivi e garantendo anonimato totale.

Apple nel mirino: la battaglia sull’antenna NFC

Per i pagamenti offline la Bce punta tutto sull’antenna NFC del telefono, ma su iPhone l’accesso al secure element è sempre stato chiuso.
La bozza legislativa europea prevede che tutti i produttori, quindi anche Apple, debbano aprire l’hardware necessario all’euro digitale.

Il Digital Markets Act ha definito Apple un gatekeeper, permettendo alla Commissione europea di imporre l’apertura dell’NFC. In caso contrario, Cupertino rischierebbe persino l’accesso al mercato europeo, che vale il 35% della sua presenza globale.

Le tensioni strategiche

La partita è delicata su entrambi i fronti:

  • Per gli Usa, le stablecoin sono un vettore geopolitico del dollaro.

  • Per l’Europa, l’euro digitale è un argine alla penetrazione americana nei pagamenti.

  • Per Apple, aprire l’ecosistema significa cedere un vantaggio competitivo, ma l’App Store potrebbe guadagnare dai servizi collegati all’euro digitale.

Il confronto si annuncia lungo e complesso, con la Bce determinata a non farsi superare dai colossi tech e dalle mosse di Washington.

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Economia

Eurozona, previsioni d’autunno migliori del previsto: Bruxelles vede crescita oltre l’1% nel 2025

La Commissione europea si prepara a rivedere al rialzo le previsioni d’autunno: la crescita dell’eurozona nel 2025 potrebbe tornare sopra l’1%. Restano incognite geopolitiche, da Trump alla guerra in Ucraina.

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Nonostante un contesto geopolitico fragile, l’eurozona potrebbe crescere più del previsto. La Commissione europea presenterà lunedì le nuove previsioni economiche d’autunno, e rispetto a maggio il quadro appare più luminoso.

Le anticipazioni di Bruxelles

Il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis ha anticipato il filo conduttore delle nuove stime: nel 2025 l’economia dell’area euro “sta registrando risultati migliori delle aspettative e continua a generare crescita”, pur tra ostacoli significativi.

Dalle stime al ribasso al ritorno dell’ottimismo

A maggio la Commissione aveva rivisto al ribasso le previsioni: +0,9% per l’eurozona nel 2025 e +1,4% nel 2026. A pesare era stata la guerra dei dazi con gli Stati Uniti.
L’accordo raggiunto in luglio in Scozia tra Ursula von der Leyen e Donald Trump su una tariffa standard del 15% ha però riportato stabilità. È possibile — in attesa dell’annuncio ufficiale — che le nuove stime riportino la crescita dell’eurozona oltre l’1%.

Le indicazioni di Bce, Ocse ed Eurostat

A settembre la Bce era già stata più ottimista, assegnando un +1,2% all’eurozona nel 2025. Stesse percentuali indicate dall’Ocse per il prossimo anno.
Eurostat, il 14 novembre, ha certificato un +0,2% nel terzo trimestre 2025 per l’eurozona e +0,3% per l’Ue.

Cosa Bruxelles chiederà agli Stati

La Commissione punterà a esortare i Paesi membri a fare di più:

  • semplificazione burocratica,

  • progressi sull’unione bancaria,

  • accelerazione dell’Unione dei risparmi e degli investimenti.

Il contributo dei privati sarà cruciale, come indicato dal rapporto Draghi sulla competitività, tema centrale nel summit Ue del 12 febbraio convocato da Antonio Costa.

I punti critici: Italia, Germania e variabile Trump

Restano ombre significative: Eurostat segnala crescita zero per Italia e Germania nel terzo trimestre. Berlino fatica ancora a uscire dalla crisi industriale.
Sul fronte esterno pesa il fattore Trump: secondo il negoziatore statunitense Jamieson Greer, le tariffe Ue sull’export americano restano “troppo elevate”. Greer sarà a Bruxelles la prossima settimana per un nuovo round di trattative.

Lunedì il verdetto

Le previsioni d’autunno diranno se l’eurozona potrà davvero riprendere slancio, superando il muro dell’1% e lasciandosi alle spalle un anno di incertezza economica.

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