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Cronache

Mazzette e appalti in cambio di soldi e voti, così i giudici disegnano il “sistema Salerno”

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L’hanno ribattezzato “sistema Salerno”. Per i  magistrati nella città dove nulla si fa se Vincenzo De Luca non vuole, ci sarebbe (usiamo il condizionale) “un sistema di affidamenti illeciti” che ha “radici lontane nel tempo”. Appalti per il verde e la manutenzione in città, per un importo superiore a 1,5 milioni l’anno, aggiustati a favore di un unico imprenditore. E’ questo il moccolo dell’inchiesta della squadra Mobile sui rapporti incestuosi fra il Comune di Salerno e le cooperative sociali. La Procura diretta da Giuseppe Borrelli con l’aggiunto Luigi Cannavale lavora nella roccaforte politica del presidente della Regione Vincenzo De Luca. Arresto uno dei suoi fedelissimi, il consigliere regionale Nino Savastano. Mette nel mirino il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, indagato per turbativa d’asta. mette in carcere, per associazione a delinquere e turbativa d’asta, l’imprenditore Fiorenzo Zoccola, detto Vittorio, il dominus del cartello delle coop, ritenuto “al centro di un vasto network di conoscenze e legami che avvincono il potere legale e quello illegale”. Zoccola è un signore con legami ovunque, anche in regione. Ed è lo sponsor dell’ex assessore comunale Nino Savastano, poi diventato consigliere regionale eletto con oltre 16mila voti, un anno fa, nella lista “Campania libera”, la lista di De Luca. Savastano è indagato per corruzione e turbativa d’asta. Dagli atti dell’inchiesta emerge che avrebbe ricevuto da Zoccola la promessa di sostegno elettorale in cambio della proroga degli appalti alle coop legate all’imprenditore. Secondo i magistrati, Savastano era “a disposizione degli interessi” di Zoccola e ne “indirizzava le richieste anche in ambito regionale, fino al vertice politico apicale”. Dagli atti d’indagine emergono telefonate, ricostruzioni di cene e incontri elettorili nel corso delle ultime elezioni regionali vinte a mani basse da De Luca, riconfermato presidente della Regione Campania.  Ebbene, il governatore De Luca, che pur ritroviamo spesso negli atti di indagine, non risulta indagato. Al momento così è. Eppure spesso elementi d’indagine e indagati si intersecano con la vita politica di De Luca.  Il 17 settembre del 2020, è riportato in atti di di indagine, l’imprenditore Fiorenzo Zoccola, detto Vittorio, parla al telefono con un altro imprenditore. Racconta di aver incontrato il governatore Vincenzo De Luca al rione Petrosino durante una tappa elettorale. E afferma di avergli fatto recapitare un appunto che – sostiene Zoccola – il presidente della Regione avrebbe letto. E  dopo averla letto avrebbe “bestemmiato tutti i Santi..a Maria Vergine..il Bambino Gesu’.•Poi ha chiamato a Marotta ed al Sindaco e li ha fatti una munnezza a tutti e due..ed adesso loro (}Jarotta ed il Sindaco) stanno vedendo di risolvere il problema (si stanno attivando per trovare la soluzione al problema).•. (questo) me lo ha confermato Polverino hai capito me lo ha confermato Polverino••per ciò•.non sono bugie..hai capito?”.
De Luca non è o non risolato ad ora indagato. L’imprenditore Zoccola sarà interrogato domani ed è assistito dall’avvocato Michele Sarno, eccellente avvocato di Salerno che alle ultime comunali era candidato sindaco di centrodestra. Secondo la Procura “per comprendere il significato della conversazione, occorre ricordare che in data 22 giugno 2020, a seguito della esecuzione da parte della Squadra mobile di decreto di perquisizione emesso nel connesso p.p. 5495/20/21, il Comune di Salerno adottava la Determinazione Dirigenziale nr. 3376 del 20 luglio 2020 a firma del Direttore del Settore Ambiente- Igiene Urbana – ing. Luca CASELLI, con la quale veniva disposta la decadenza dell’affidamento dei “servizi di manutenzione ordinaria e conservativa del patrimonio cittadino”.

Salerno. Il neo rieletto sindaco Vincenzo Napoli

Nel decreto di perquisizione, infatti, erano contestai i reati di turbativa d’asta e truffa ai danni dell’ente pubblico a carico dei presidenti delle cooperative affidatarie del relativo servizio. Da quel momento è stata registrata una febbrile attività di contatti, colloqui e riunioni tra Zoccola Fiorenzo e gli imprenditori facenti capo al sodalizio, personaggi politici e pubblici funzionari, tutti finalizzati ad uno scopo unico, ovvero la conservazione dello status quo ante.
L’obiettivo è stato perseguito attraverso espedienti amministrativi e giudiziari che potessero ammantare di apparente legalità l’azione della p.a. e, al contempo, garantire il protrarsi degli affidamenti dei servizi comunali senza soluzione di continuità all’imprenditore ed ai suoi sadali. L’aggiramento dell’azione giudiziaria è avvenuto secondo tre linee direttrici: l) l’annullamento del precedente bando di gara con indizione di una nuova licitazione che della prima riportasse le medesime caratteristiche; 2) la sostituzione degli organi di vertice delle cooperative destinatarie di informazione di garanzia in modo che la compagine sociale non fosse interessata da impedimenti derivanti dall’esistenza di un procedimento penale a carico degli organi apicali; 3) l’adozione di delibere di indirizzo politico a sostegno e motivazione delle proroghe medio tempre concesse al precedente affidamento, che potessero, altresì, incidere e condizionare l’andamento della parallela vicenda giudiziaria in sede amministrativa. Questo il ragionamento degli inquirente. E’ evidente che sono accuse ma non sentenze che devono essere portate e dibattute in giudizio.  Per la giudice Romaniello, il gip che ha concesso gli arresti, il “piano dell’imprenditore” era quello di “sfruttare la campagna elettorale per consolidare il monopolio”.

In un’intercettazione del 31 agosto 2020, Zoccola, scrive il, giudce,”attribuisce direttamente al governatore la direttiva” di sostenere Savastano: “Nino ha un competitore forte e non può fare figure, ci mette la faccia Vincenzo (De Luca, ndr) quindi se non esce fa lui la figuraccia”. Durante le perquisizioni di giugno ’20, nella sede di un consorzio erano stati sequestrati due appunti intestati come “Promemoria per il presidente” e un manoscritto in dieci punti, intitolato “per il dottor Roberto De Luca”, il secondogenito del governatore, già assessore al Bilancio a Salerno che aveva detto di aver lasciato la politica. Documenti definiti dagli inquirenti “particolarmente importanti” perché, scrive la giudice Romaniello, Zoccola “ha lasciato intendere, in alcune conversazioni, essere destinati al governatore De Luca”. Nel primo promemoria, il ras delle coop indica 10 punti che vanno da ” Rotatoria via Rocco Cocchia” a ” Bandi parchi”, ma fanno riferimento, al punto 4, anche a un non meglio precisato ” responsabile di tutti i casini che sta ancora al suo posto” oppure, punto 6, “Soresa, appalti in provincia » .

Giuseppe Borrelli. Fine giurista da poco procuratore di Salerno

Dalle intercettazioni emerge che Zoccola era “particolarmente interessato” alla realizzazione della rotonda di Rocco Cocchia. Il secondo promemoria è in 19 punti che spaziano da ” Consorzio fermo al palo” a “passaggio cantiere spazzini” e ” disinfestazioni e derattizzazioni”. Il manoscritto “per il dottor Roberto De Luca”, è in 10 punti, fra i quali ” Lavori di pulizia e giardinaggio alle municipalizzate”.  Dopo le elezioni, il 24 settembre del 2020, Zoccola confida a Savastano di aver parlato con Roberto De Luca “facendogli pesare, vantandosene, il buon risultato elettorale” del candidato. “Gli ho detto: stammi a sentire, Roberto, ci siamo rotti il c…avete avuto un’altra dimostrazione che cinque vostri candidati della vecchia guardia hanno fatto il c… a tutti quanti a Salerno, hanno preso 21mila voti, tuo fratello ne ha presi 2400”. Insomma siamo ancora in una fase embrionale di una inchiesta che la procura di Salerno non ha svelato del tutto perchè lo show down con gli arresti non è tutto. Anzi, ferma restando che gli indagati non sono colpevoli ma innocenti soggetti ad un controlli di legalità, sebbene con gravi contestazioni di reato, le indagini su presunte mazzette e appalti a Salerno si arricchirà presti di nuovi capitoli, nuovi filoni.

 

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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