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Cronache

Mazzette alla funzionaria del Ministero dell’Istruzione, arrestato un imprenditore

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Soldi per ottenere affidamenti di progetti ministeriali per milioni di euro. Mazzette e utilita’ per circa 500 mila euro in favore di un ex alto funzionario del ministero dell’Istruzione. Sono queste le accuse mosse dalla Procura di Roma nei confronti dell’imprenditore Federico Bianchi di Castelbianco arrestato oggi per l’accusa di corruzione assieme ad altri due suoi collaboratori. Le indagini, affidate al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, hanno fatto emergere un sistema illecito che andava avanti dal 2018. L’arrestato, editore della agenzia di stampa Dire, è amministratore di fatto di tre societa’ e di una fondazione, tutte con sede a Roma, operanti nel settore della comunicazione e della formazione. A ricevere le tangenti, secondo l’accusa, era l’ex capo dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero dell’Istruzione, Giovanna Boda. Il procedimento, nell’aprile scorso, aveva vissuto un passaggio drammatico dopo un tentativo di suicidio messo in atto dalla dirigente ministeriale, forse legato al fatto che la notizia del suo coinvolgimento era comparsa su alcuni articolo di stampa. “Le accuse a me rivolte mi hanno sconvolto – afferma oggi l’ex dirigente per bocca del suo difensore, l’avvocato Giulia Bongiorno -. Non chiedo compassione, ma rispetto per l’umiliazione e il dolore che mi sono stati inflitti. Ho sempre servito lo Stato con rigore e onesta’: ho chiesto di essere interrogata proprio per chiarire la mia posizione. Questa situazione, pero’, mi ha reso molto fragile, dunque per il momento chiedo a tutti rispetto e comprensione per lo stato di prostrazione in cui mi trovo”. Nei confronti di Boda e’ stato disposto un sequestro preventivo di circa 340 mila euro. Agli indagati e’ contestato anche il reato di rivelazione e utilizzazione del segreto istruttorio. Secondo quanto accertato dai pm di piazzale Clodio, l’imprenditore in cambio di una corsia preferenziale per ottenere affidamenti per progetti pubblici per un totale di 23 milioni di euro (sui quali si effettueranno ulteriori accertamenti investigativi) ha elargito alla funzionaria tangenti consistite in carte di credito prepagate, bonifici, spese per noleggio auto e il pagamento del canone di locazione per l’appartamento dei genitori. Bianchi di Castelbianco, che aveva accesso anche a riunioni riservate al ministero dove venivano discussi i progetti da affidare, avrebbe pagato a Boda anche le spese per la domestica, trattamenti medici e lezioni di violino oltre che promesse di assunzioni e promesse di acquisti di immobili. Le altre due persone raggiunte da misura cautelare sono Valentina Franco e Fabio Condoleo, dipendenti dell’imprenditore ma di fatto collaboratori di Boda. L’indagine era scattata dopo alcune segnalazioni per operazioni sospette. Gli uomini della Guardia di Finanza hanno analizzato i flussi finanziari dell’imprenditore e disposto intercettazioni. “C’avete i telefoni sotto controllo come cazzo ve lo devo dire e c’ho pure il mio, mo basta”, afferma Bianchi di Castelbianco in un audio carpito e citato nell’ordinanza di custodia cautelare. Per il gip l’imprenditore “si muoveva e si muove ancora con disinvoltura all’interno del dipartimento potendo contare su rapporti di collaborazione risalenti e consolidati” e il carcere e’ misura adeguata alle esigenze cautelari in quanto l’indagato puo’ “perseverare nell’illecito per accaparrarsi l’aggiudicazione di gare gia’ bandite ovvero predisporre i futuri bandi e o progetti”. Nelle scorse settimane gli inquirenti hanno acquisito, nel corso di perquisizioni che hanno riguardato anche gli uffici del ministero di viale Trastevere, una serie di documenti. Per Bianchi di Castelbianco l’interrogatorio di garanzia e’ fissato per il 13 settembre. Intanto i giornalisti dell’agenzia Dire, in una nota del comitato di redazione, “sottolineano che il loro lavoro va avanti garantendo continuita’ professionale e quell’impegno che da sempre li contraddistingue nel raccontare i territori e le istituzioni”. (

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Cronache

Il legale di Impagnatiello, l’assassino confesso di Giulia, rinuncia al mandato

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Alessandro Impagnatiello, il barman che ha confessato di aver ucciso la sua fidanzata Giulia Tramontano, rimane senza avvocato. Sebastiano Sartori, il suo difensore, si è recato a San Vittore, dove Impagnatiello è detenuto, per comunicargli ufficialmente la sua rinuncia al mandato. “È stata una questione tra me e il mio assistito”, ha affermato Sartori, lasciando intendere che il rapporto di fiducia con il 30enne si è deteriorato, poiché quest’ultimo si trova in uno stato crescente di angoscia. Gli inquirenti stanno cercando di ottenere riscontri sulla confessione di Impagnatiello, analizzando le immagini delle telecamere raccolte tra Senago e Milano.

I video registrati mostrano il barman con un lenzuolo sotto il braccio, apparentemente poco dopo il delitto, e successivamente mentre carica due sacchi di plastica in macchina, uno dei quali sembra contenere indumenti sporchi di sangue. Secondo le ipotesi degli investigatori, l’uomo stava cercando di eliminare le prove del suo crimine e si era preparato per nascondere il corpo di Giulia, la quale per quattro giorni è stata oggetto di una finta scomparsa organizzata da Impagnatiello. Tuttavia, i genitori di Giulia non hanno mai creduto alla versione della scomparsa volontaria, poiché hanno notato la mancanza di risposte al telefono da parte della figlia e la vaghezza del convivente.

L’avvocato difensore ha sottolineato che i genitori di Giulia sono rimasti sospettosi fin dall’inizio e hanno temuto un epilogo tragico come quello che si è verificato. Giovanni Cacciapuoti, il legale della famiglia, ha descritto il gesto di Impagnatiello come imponderabile e ha affermato che se avessero avuto anche solo il sospetto di una simile evoluzione, sarebbero intervenuti immediatamente. La famiglia è attualmente in uno stato di prostrazione e desidera vivere il proprio dolore e lutto nel modo più sereno possibile.

Le indagini, condotte dai carabinieri e dalla polizia di Rho, coordinati dai pm Alessia Menegazzo e Letizia Mannella, sono state incentrate sulla raccolta di prove per confermare la ricostruzione fornita da Impagnatiello, concentrandosi principalmente sulle immagini delle telecamere di sorveglianza. Nei prossimi giorni, verranno effettuati rilievi scientifici nell’appartamento dove Giulia è stata assassinata e dove il suo corpo è stato successivamente nascosto tra le sterpaglie dopo due tentativi di bruciarlo. Durante questi accertamenti, verrà sequestrato il coltello (indicato da Impagnatiello come nascosto in un ceppo sopra il frigorifero) e saranno raccolti tutti gli elementi utili per ricostruire la cronologia degli eventi, compresa la fase di occultamento del cadavere, al fine di dimostrare la premeditazione.

Nell’ambito delle indagini, sono state interrogate diverse persone, tra cui il custode del palazzo in via Novella, che ha notato tracce di cenere sulle scale. Sono stati ascoltati anche la sorella e la madre di Giulia, al fine di ricostruire gli ultimi momenti di vita della giovane donna. Prima di essere uccisa, Giulia si era incontrata con una ragazza con cui Impagnatiello aveva una relazione parallela. La collega di lavoro, avendo intuito che qualcosa di terribile era accaduto, si è rifiutata di far entrare Impagnatiello a casa sua. Ha testimoniato di aver avuto paura e di non aver conosciuto fino a quel momento la vera natura dell’uomo.

L’autopsia sul corpo di Giulia è prevista per venerdì, mentre le indagini continuano a cercare prove concrete per stabilire la dinamica e i motivi che hanno portato a questo tragico evento. La famiglia di Giulia, intanto, si prepara a vivere un lungo periodo di sofferenza per elaborare il dolore e dare una degna sepoltura alla figlia e al suo bambino non ancora nato.

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Traffico di droga e armi tra Italia, Germania e Belgio

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Droga e traffico di armi. Sono due i pilastri del ‘core business’ dell’holding criminale transnazionale, con base logistica in Calabria, nella Sibaritide, e proiezioni in Germania, smantellata dalla Guardia di finanza di Catanzaro con il coordinamento della Dda del capoluogo calabrese e di Eurojust. Venticinque le persone finite in manette all’alba nell’ambito dell’operazione “Gentleman2”, accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, reati in materia di armi e, a vario titolo, reati fine in materia di stupefacenti. Sono stati anche sequestrati beni per 3,8 milioni di euro tra società, ditte individuali, fabbricati, terreni, autoveicoli e motoveicoli. Sono stati oltre 200 i militari impegnati nell’esecuzione delle misure cautelari scaturite a seguito di un’attività investigativa partita nel 2020 sotto l’egida della Squadra investigativa comune (Sic) costituita da Nucleo di Polizia economico-finanziaria/Gico della Finanza e il Polizeipräsidium di Francoforte sul Meno (Germania), la Polizia giudiziaria federale di Liegi(Belgio) con il supporto della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa) e dell’Ufficio europeo di polizia (Europol).

Era in Calabria, tra Cassano allo Ionio e Corigliano Rossano, lo snodo strategico dell’importazione di ingenti quantitativi di droga provenienti da diverse direttrici: la cocaina dal Sudamerica, l’eroina, molto richiesta sul mercato, che arrivava dall’est Europa attraverso la rotta dei Balcani e l’hascisc dal Marocco. Un circuito in grado di garantire enormi guadagni ricostruito attraverso attività di indagine tradizionale e intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, condotte sia in Italia che in Germania grazie alle quali si è anche riusciti a decifrare un sistema di comunicazione criptato. “Un’indagine importante – ha detto il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri – che si è avvalsa del supporto di Eurojust, Europol e Interpol. E la collaborazione con la Direzione centrale servizi antidroga, organismo che ha sede a Roma e che consente di rapportarci con gli altri organismi tra i quali le forze di polizia di Germania e Belgio”. Tra le persone arrestate c’è Nikolaos Liarakos, di 47 anni, latitante da sette anni, catturato in Germania. L’uomo, di origini greche, ritenuto uno dei vertici dell’organizzazione, si era reso protagonista, nell’ottobre del 2016, di una rocambolesca evasione dal carcere di Rebibbia. Nel suo covo aveva un manoscritto con conteggi sul prezzo della cocaina.

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Scagionata la mamma condannata per la morte dei 4 figli

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Prima dipinta come un’assassina, condannata per aver tolto la vita ai suoi quattro figli. Ora, invece, come una vittima, perché stando agli scienziati in realtà quel crimine atroce non l’ha mai commesso. È questa la storia di Kathleen Folbigg, finora conosciuta come “la peggior serial killer donna australiana” ma che dopo vent’anni di ingiusta detenzione può ritornare a scrivere il suo destino. Tutto ha avuto inizio nel 2003, quando la donna – che ha sempre professato la sua innocenza – è stata condannata a 40 anni, poi ridotti a 25, di carcere con l’accusa di aver ucciso i suoi quattro figli (Sarah, Laura, Patrick e Caleb), di età compresa tra nove settimane e diciannove mesi. In assenza di solide prove forensi, per i pubblici ministeri dell’epoca Folbigg aveva soffocato i bambini, morti improvvisamente tra il 1989 e il 1999. Per loro non sembrava esserci altra spiegazione. Oggi però nuove evidenze scientifiche hanno dimostrato il contrario. Un team di immunologi ha infatti scoperto che le due figlie della donna condividevano una mutazione genetica – chiamata CalmM2 G114R – che può causare la morte cardiaca improvvisa.

I due figli maschi, invece, possedevano una mutazione genetica diversa, legata all’epilessia. Come riportato dalla Bbc, secondo la professoressa Carola Vinuesa, a capo del gruppo di ricerca dell’Australian National University, una sequenza genetica insolita poteva risultare immediatamente evidente nel Dna della signora Folbigg prima ancora che i campioni dei bambini fossero testati. Casi simili, comunque, sono rarissimi. Stando a Vinuesa, ce ne sarebbero 134 in tutto il mondo. Il sospetto che la morte dei bambini potesse essere stata provocata da cause naturali era già emerso nel 2021, sostenuto da una decina di scienziati australiani e stranieri, che avevano anche organizzato una petizione per la scarcerazione della donna. Da qui la riapertura dell’inchiesta, nel 2022, che ha portato alla revisione della sentenza. La donna, ha spiegato il procuratore generale del Nuovo Galles del Sud Michael Daley, è stata graziata per “ragionevole dubbio” sulle condanne, e così rilasciata dalla prigione di Grafton, nel New South Wales, dove stava scontando gli ultimi anni. La grazia ricevuta non annulla la sentenza di condanna, che dovrebbe essere ribaltata in un ulteriore processo. Se così fosse, Kathleen Folbigg potrebbe potenzialmente citare in giudizio il governo, chiedendo milioni di dollari di risarcimento. Intervistata in esclusiva dalla testata australiana 9news, la donna ha dichiarato però di non sapere cosa accadrà: “Ho bisogno di un bicchiere d’acqua, non so nient’altro”, ha detto alle telecamere. Intanto, può finalmente camminare libera.

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