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Mattarella e le riforme: unire non dividere, unità rafforza il Paese

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“L’unità rafforza l’Italia” e la forza dei sindaci sta proprio nel “saper unire e non dividere”. Sergio Mattarella arriva a Brescia, nel cuore produttivo dell’Italia, e di fronte a centinaia di sindaci lombardi esalta il valore della cultura e il coraggio delle due città “capitale della cultura del 2023”, cioè Bergamo e Brescia declinate per scelta al singolare, nel reagire alla crisi provocata dalla pandemia. Ma non sfugge un inciso dell’intervento del presidente della Repubblica che parte dalla cultura ma sembra arrivare a circoscrivere i confini intangibili di una delle riforme più delicate che si muovono nel cantiere del centrodestra: il rafforzamento del sistema delle autonomie. Il capo dello Stato vola alto e si guarda bene dall’entrare nel merito di una polemica caldissima anche dentro la maggioranza di governo.

Ma le sue parole sono inequivocabili e ben disegnano la cornice entro la quale la riforma potrebbe essere realizzata: “nell’anno appena concluso – premette il presidente – un forte segnale di unità e innovazione è stato lanciato da una piccola isola, incantevole, Procida. La cultura non isola, hanno proclamato. La cultura, infatti, unisce e moltiplica. È una forza dei campanili quella di saper unire e non dividere le energie. Voi raccogliete, nel nord del nostro Paese, lo stesso testimone di Procida; a conferma – sottolinea – dell’unità che rafforza l’Italia”. Parole accolte da applausi da un uditorio ben disposto nei confronti del capo dello Stato come dimostrano i lunghissimi applausi tributati a Mattarella dall’intero teatro Grande di Brescia e dal teatro Donizzetti di Bergamo che ascoltava l’intervento di Mattarella in collegamento. Il tutto avviene mentre i lavori per affrontare il dossier sull’Autonomia non sono ancora stati calendarizzati, con Fdi e Fi che non hanno fretta e la Lega che spinge forte per portare a casa il risultato prima delle regionali della Lombardia. Il centrosinistra ne approfitta e non lesina critiche. Le più pesanti vengono dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano: “I segnali che arrivano dal Governo sono equivocabili, nel senso che è evidente che la Meloni e i suoi collaboratori l’autonomia non la vogliono”.

A correggere il tiro ci pensa il ministro degli Esteri Antonio Tajani che però attribuisce a Forza Italia il merito dell’avanzamento dei lavori ma non fornisce date: “Martedì ci sarà una riunione e in uno dei prossimi cdm verrà presentata la proposta del centrodestra. Grazie al lavoro di Forza Italia abbiamo trovato una soluzione di grande equilibrio che garantisce sia il nord che il sud, e che verrà tradotta in un ddl”. Solo ieri il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli aveva spiegato che era stato trovato il punto di equilibrio nel “superamento, una volta per tutte, del criterio della spesa storica, che è un grande passo avanti per il sistema Paese. Il lavoro di definizione delle decisioni richiederà una settimana. Dopodiché starà al presidente del Consiglio stabilire l’ordine del giorno”. La palla, insomma, passa a Meloni, la Lega c’è e si farà trovare pronta. Tanto che pur elencando i vari step necessari per l’ok definitivo – compresi i Livelli essenziali di prestazioni, da definire in 12 mesi e al centro delle polemiche dell’opposizione – Calderoli azzarda che “l’arrivo in porto potrebbe avvenire contemporaneamente” alle altre riforme. Ma Emiliano mette in guardia il governo sul fatto che “gli abusi che il Sud ha subito in tutti questi decenni ove sovvertiti da un principio di eguaglianza personale, finanziamenti e obiettivi, rischia di far saltare il bilancio dello Stato. L’autonomia si può realizzare solo se metti tutti quanti sulla stessa linea di partenza. Invece se autonomia è far andare avanti chi è già molto ricco e sviluppato, sarebbe un errore catastrofico che rischia di spaccare l’unità italiana”.

Un altolà arriva anche dalla ministra Anna Maria Bernini: “L’autonomia differenziata non deve sacrificare i territori, deve essere perequata e deve prevedere i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni e su questo tema siamo tutti d’accordo”. Di Lep parla anche la candidata civica sostenuta dal Terzo Polo in Lombardia, Letizia Moratti: “La proposta sull’Autonomia differenziata va rivista, anche tenendo conto della necessità di inserire nella proposta i Lep”. Si dice convinto che “l’autonomia di Calderoli non andrà in porto per i conflitti nella destra” il candidato di Pd e M5s in Lombardia, Pierfrancesco Majorino: “Allora dico a tutti: azzeriamo il confronto, e cerchiamo di capire se può esserci una base comune tra Regioni, Comuni e governo su cui ripartire”. Per la Cgil, la proposta di riconoscimento di autonomia differenziata “è un attacco all’unitarietà dei diritti che porterà a una inaccettabile cristallizzazione dei divari esistenti o al loro ulteriore allargamento”. Per queste ragioni il segretario auspica una mobilitazione di massa. Gli risponde Calderoli: “Per me può fare ogni mobilitazione ma almeno prima verifichi i contenuti della mia proposta”.

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In Basilicata Bardi vince col 56,6%, Fdi primo partito col 17,3% mentre al Pd va il 13,8%

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Il candidato del centrodestra Vito Bardi è stato confermato governatore della Basilicata con il 56,63% dei voti, secondo i risultati definitivi dello scrutinio delle elezioni regionali. Piero Marrese del centrosinistra ha ottenuto il 42,16% dei consensi. Al terzo candidato Eustachio Follia è andato l’1,21%.  Fratelli d’Italia risulta il partito più votato, con il 17,39%.  Segue il Partito democratico col 13,87%.  Nella coalizione di centrodestra Forza Italia ottiene il 13,01% dei voti, mentre la Lega si ferma al 7,81% dei consensi seguita da Azione con il 7,51%. Nel centrosinistra il Movimento 5 stelle ottiene il 7,66%, dietro a Basilicata casa comune (11,18%).

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42 simboli per le Europee, tra doppioni e omonimie

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La corsa al Parlamento europeo è davvero inziata. Sulla bacheca del Viminale ci sono 42 simboli, che rappresentano altrettante forze politiche accomunate da un solo obiettivo: strappare il ticket utile per volare a Strasburgo. L’albo delle affissioni è al completo. E appare come un caleidoscopio di colori, immagini e parole che raccontano la politica italiana. Quella del presente, ma anche quella del passato. Quella dei grandi partiti e quella delle piccole formazioni che sperano nell’impresa. Spiccano i nomi: Meloni, Salvini e Berlusconi per il centrodestra. Con gli azzurri che restano ancorati al nome del Cavaliere. Personalizzazione, sì. Ma anche qualche slogan: come la parola “pace” inserita dal Movimento 5 Stelle. E poi i simboli delle famiglie europee. Il Partito democratico mette nel contrassegno il logo del Pse. Scrivono quello del gruppo di ‘Renew Europe’ sia Azione e che la lista ‘Stati uniti d’Europa’. Ed è proprio il nome della lista che vede correre in tandem +Europa e Italia Viva, insieme ad altre quattro formazioni, ad attirare l’attenzione del Viminale.

La lista lanciata da Emma Bonino non è l’unica con il nome ‘Stati uniti d’Europa’. C’è un’altro simbolo, quello con pugno e rosa rossa depositato dai Radicali Italiani, che presenta la stessa denominazione. E non si tratta del solo caso di omonimia in bacheca, su cui potrebbe essere chiamato a esprimersi il ministero dell’Interno. C’è il ‘Partito pirata italiano’, con scritta su sfondo verde, e ci sono anche i ‘Pirati’, con tibia, teschio e bandana viola su sfondo nero. E poi il ‘Movimento per l’Italexit’, in basso nel simbolo della lista ‘Libertà’, presentata da Cateno de Luca, che si contrappone a ‘Italexit per l’Italia’, in coppia nel simbolo col ‘Partito animalista’. Per le verifiche di regolarità bisognerà aspettare 48 ore. Intanto, i big possono già cominciare a scaldare i motori. Il nome della premier Giorgia Meloni, accompagnato dalla consueta fiamma tricolore, compare nel simbolo di FdI con un carattere ben più grande del nome del partito.

La Lega ha invece da tempo il nome del suo leader Matteo Salvini nel logo. Il nome di Berlusconi “è nello statuto non solo nel simbolo”, spiega Alessandro Battilocchio, responsabile elettorale di Forza Italia. Gli azzurri sono gli unici, tra i partiti di governo, a richiamare nel simbolo la famiglia europea di appartenenza, quella del Partito popolare europeo. Stesso riferimento per Stefano Bandecchi con la sua ‘Alternativa popolare’. A puntare sul nome nel contrassegno è anche Carlo Calenda, leader della lista ‘Azione-Europa Unita’. Alleanza Verdi e Sinistra ai nomi contrappone la simmetria dei due partiti che compongono la lista, Verdi Europei e Sinistra Italiana. Tra i simboli del passato non mancano ‘falce e martello’ e scudo crociato. Il Partito comunista italiano presenta una classica bandiera rossa con simbolo in giallo.

Mentre lo scudo con la parola ‘libertas’ si trova sia sul contrassegno depositato dall’Udc che su quello della Democrazia Cristiana. “Il simbolo che abbiamo presentato è quello del 1992”, spiega Carlo Leonetti della Dc. La parola pace, accompagnata da un hashtag nel contrassegno M5s, trova il suo simbolo nella lista ‘Pace terra dignità’ di Michele Santoro: colomba bianca con un ramoscello d’ulivo. E sono diversi i simboli che suscitano curiosità. Come quello degli ‘Esseritari’ di Luciano Chiappa, che è autore anche dell’omonimo libro. Oppure il ‘Movimento Poeti d’Azione’ di Alessandro d’Agostini, attore che decide di ripresentarsi con ‘spada e penna’. Alle quali si aggiungono le insegne di ‘Sacro romano impero cattolico’ di Mirella Cece e di ‘Italia reale’. Non tutti i cosiddetti ‘piccoli’, però, supereranno il vaglio degli uffici elettorali. Molti di loro potrebbero ritrovarsi nella bacheca dei ‘ricusati’.

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Bardi bis in Basilicata, nuovo exploit del centrodestra

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Il centrodestra resta alla guida della Basilicata. In un voto segnato dal forte astensionismo (alle urne il 49,8%), Vito Bardi ottiene la riconferma con largo distacco (58-40% la forchetta provvisoria) su Piero Marrese, su cui il centrosinistra ha puntato dopo una serie di retromarce. Lo spoglio iniziato a rilento toglie la corona di partito più votato al M5s, che alle Regionali del 2019 e alle Politiche del 2022 era andato oltre il 20% e ora vede più che dimezzati i consensi (attorno all’8%). I dati provvisori vedono primeggiare FdI (oltre il 16%), tallonato da FI che va in doppia cifra (12%), soglia sotto cui potrebbe restare la Lega (8%), alle spalle anche di Azione: un sorpasso che rischia di infiammare il derby tra alleati da qui alle Europee. Rispetto alle Politiche cala di circa un punto anche il Pd (15%), che paga anche errori di strategia e nei prossimi mesi dovrà fare i conti con il complicato rapporto con il Movimento di Giuseppe Conte.

“Ringrazio di cuore tutti i cittadini che hanno voluto confermare il loro sostegno alle nostre politiche – esulta Giorgia Meloni -. La vostra fiducia è il motore che ci spinge avanti ogni giorno”. Il suo partito con ironia parla di “Effetto monologo in Basilicata”, con un riferimento al caso Scurati: “Non ci hanno visti arrivare perché impegnati a rileggere il famoso monologo”. “Grande soddisfazione” arriva dalla Lega, per “l’ennesimo largo successo del centrodestra unito”. Ma soprattutto da FI. “Ha vinto il centrodestra unito. Hanno vinto i lucani che hanno scelto di sostenere il nostro Buon Governo per altri 5 anni”, il tweet di Antonio Tajani, che è riuscito a convincere gli alleati a puntare ancora sull’ex generale della Guardia di finanza che nel 2019 ottenne l’investitura da Silvio Berlusconi.

In attesa dei dati definitivi e dopo aver ricevuto le congratulazioni dello sfidante Marrese, Bardi in serata parla di “una vittoria chiara”, e ringrazia “i lucani per la fiducia che mi hanno accordato, per la seconda volta”. “É una grande responsabilità che sento verso tutti loro, anche verso i lucani che non mi hanno votato o che non si sono recati alle urne. Continuerò ad essere il Presidente di tutti”, il messaggio del governatore che, dopo l’istant poll con 12 punti di vantaggio, nel pomeriggio ha visto crescere la sua coalizione, allargata ad Azione e Iv un mese fa, quando andava in cortocircuito il centrosinistra. Uno psicodramma politico che ha portato Pd, M5s, Avs, Psi e +Europa a convergere su Marrese dopo i dissidi su Angelo Chiorazzo e poi incassare il passo indietro di Domenico Lacerenza, il chirurgo rimasto in corsa solo 72 ore. Il centrosinistra negli ultimi sedici mesi ha vinto solo due appuntamenti regionali (Lazio e Sardegna), perdendo in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Molise, Abruzzo, a Trento e infine in Basilicata.

Un ruolino di marcia che consente a Giorgia Meloni di considerare solido il consenso del suo governo. A differenza dei rivali, lei e gli altri leader di centrodestra, nonostante tensioni e piccoli incidenti parlamentari, riescono a dare un’idea di coesione, premiata nelle urne. Anche in Basilicata, dove pure fino a un paio di mesi fa erano espliciti i dubbi interni sulle chance di successo di Bardi. Poi, di fronte al caos nel campo largo e alla scelta perdente di candidare in Sardegna Paolo Truzzu di FdI anziché puntare sulla riconferma del governatore in quota Lega Christian Solinas, la coalizione ha fatto quadrato intorno all’ex generale. Una scelta che ora è rivendicata soprattutto da Forza Italia, che a Potenza per seguire i risultati ha schierato le prime linee, fra gli altri la ministra Elisabetta Casellati, coordinatrice regionale, e il capogruppo alla Camera Paolo Barelli.

Il risultato, nota il portavoce azzurro Raffaele Nevi, è “frutto del lavoro fatto dal governatore in questi anni, anche nell’allargare la coalizione a forze più riformiste che hanno riconosciuto nel buongoverno di Bardi un approdo migliore per i loro progetti e programmi”. Iv sottolinea la “grande soddisfazione di Matteo Renzi che è stato il primo a sostenere Bardi anche in virtù di un’antica amicizia”. “Il centro si dimostra determinante per vincere”, è la tesi dell’ex premier, la stessa del leader di Noi moderati, Maurizio Lupi.

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