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Mattarella all’Ue: è tempo di fare un salto di qualità

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Lo sfondo, più che il tredicesimo piano del Palais Berlaymont, è stato ancora una volta la Turandot di Giacomo Puccini. E quel “nessun dorma” scandito da Sergio Mattarella da Coimbra, con lo sguardo rivolto a Bruxelles. Giunto,pochi giorni dopo, al cospetto dei 27 commissari europei il capo dello Stato non ha ripetuto le stesse parole. Ha articolato il suo appello, chiamando l’organo esecutivo comunitario ad una scatto nell’attuale ciclo istituzionale,. Nel breve e non nel lungo termine. Accanto a lui Ursula von der Leyen ha ascoltato con volto serio e attento. “Risponderemo al suo nessun dorma”, ha assicurato la presidente della Commissione. La numero uno della Commissione ha voluto sottolineare di essere perfettamente consapevole della gravità del momento e della necessità di quel “salto di qualità” richiesto da Mattarella. “Oggi le diamo il benvenuto qui non solo come statista, ma anche come europeo nel cuore”, è stata l’introduzione di von der Leyen prima di avviare la discussione sul come rispondere al “nessun dorma” quirinalizio.

L’occasione è stata il Collegio dei commissari della mattina di mercoledì. Sul tavolo l’approvazione di una proposta di riforma del mercato unico, tema caro allo stesso presidente della Repubblica. Ma il discorso del presidente è andato ben oltre il singolo provvedimento. Difesa comune, allargamento, relazioni commerciali, migrazione, diritti sociali e economici. il capo dello Stato ha toccato diversi punti, tutti ritenuti imprescindibili. A cominciare dalla spinta sulla sicurezza del Vecchio continente, “una sfida cruciale per poter incidere su scala planetaria”. “Un attore globale deve saper governare sfide strutturali di portata globale, stabilendo rapporti strutturati e proficui con tutti i Paesi del mondo”, ha insistito Mattarella. L’Europa, ha ricordato in ogni tappa della sua missione di due giorni a Bruxelles, vive un periodo di transizioni internazionale che porterà a nuovi equilibri. Un periodo segnato da guerre che portano “instabilità” e “sofferenza umana”.

E “se l’Ue sarà assente o inefficace negli scacchieri” internazionali, “altri attori prenderanno il sopravvento in queste aree del mondo, come stanno palesemente cercando di fare, sostituendosi all’Europa”, ha scandito il presidente della Repubblica. Senza tralasciare – con riferimento implicito agli Usa – il compito dell’Ue di tessere reti, in un periodo “di dichiarata sfiducia da diverse parti sul valore dell’apertura dei mercati” Il filo rosso con il discorso del Cotec di Coimbra e con i concetti da tempo sottolineati da Mario Draghi (che da Torino ha richiamato l’Ue a innovarsi) è stato evidente. “Quanto più le istituzioni comunitarie si dimostrano trasparenti e efficienti, tanto più se ne rafforza l’indispensabile consenso sociale”, ha rimarcato Mattarella al Palais Berlaymont. Ai commissari il capo dello Stato ha ricordato anche l’importanza di un rapido processo di allargamento.

“L’alternativa di cui purtroppo già si vedono alcuni segnali – è stato il suo avvertimento – è quella di un affievolimento della spinta europeista nelle opinioni pubbliche, e quindi nei governi. Consiglio, Commissione, Parlamento. Mattarella in 24 ore ha toccato le tre teste dello “straordinario” processo di integrazione. L’accoglienza all’Eurocamera, per citare la presidente Roberta Metsola, è stata “incredibile”. Il capo dello Stato ha visto i funzionari, i giovani stagisti. Incontrando la delegazione dei 76 eurodeputati italiani, ha loro sottolineato il “ruolo decisivo” che ricopre il Parlamento Ue, “baricentro di raccordo tra istituzioni e cittadini”.

“In un momento così complicato avvertiamo tutti molto intensamente la proiezione europea della nostra responsabilità”, ha sottolineato il capo dello Stato. Quella stessa “responsabilità” con cui l’Italia “lavorerà cantieri aperti nell’Ue”, ha assicurato. Erano dieci anni che Mattarella non visitava le istituzioni Ue. E, come accadde nel 2015, è possibile che il capo dello Stato, invitato personalmente da Metsola, nei prossimi mesi torni a parlare all’Europa, questa volta dalla Plenaria di Strasburgo.

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Meloni: non lascio l’Italia indifesa, sì alle spese al 5%

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Gli appelli alla via diplomatica e negoziale cadono mentre arrivano, sempre più preoccupanti, le conferme di attacchi iraniani alle basi americane in Medio Oriente. Guido Crosetto, che pure è rimasto tutto il pomeriggio, lascia la Camera quasi di corsa dopo la replica. Giorgia Meloni entra ed esce dall’Aula sempre più scura in volto, dopo avere ribadito le priorità italiane sui diversi scenari di crisi, come il sostegno a Kiev, il cessate il fuoco a Gaza, il ritorno a un tavolo di negoziato dell’Iran. E dopo avere confermato l’impegno a raggiungere i nuovi target Nato delle spese militari (il 3,5% per la difesa e l’1,5% per la sicurezza) perché, scandisce, “non lasceremo l’Italia esposta, debole e incapace di difendersi”.

Il momento è grave, la premier apre il suo intervento in vista del prossimo Consiglio europeo dicendo di volersi tenere lontana dalle “polemiche” e tendendo una mano alle opposizioni, assicurando di voler tenere aperto e di “ampliare” un canale di dialogo riallacciato con Elly Schlein proprio dopo gli attacchi Usa all’Iran. Attacchi che, dice Meloni ai deputati, hanno “aggravato la crisi che coinvolge” Teheran e Israele. Non solo, mentre ribadisce con forza che l’Italia finora non è stata coinvolta assicura inoltre: se mai dovesse arrivare una richiesta dall’alleato statunitense, l’utilizzo delle basi italiane per interventi in Iran passerebbe comunque per il vaglio delle Camere. Al momento si tratta di un periodo totalmente ipotetico, sottolinea la premier, perché “l’Italia non è impegnata militarmente” e “non è stato chiesto l’uso delle basi. Posso dire – aggiunge – che penso che non accadrà ma posso garantire che una decisione del genere dovrà fare un passaggio parlamentare, a differenza di quello che è accaduto quando al governo non c’eravamo noi”. Una risposta che non basta alle opposizioni, che chiedono, Schlein e Giuseppe Conte in testa, una parola “chiara” sul fatto che l’Italia “non entrerà in questa guerra”.

Non basta ai dem nemmeno la presa di posizione sull’azione di Israele a Gaza, che per la premier sta “assumendo forme drammatiche e inaccettabili”. I cittadini sono “preoccupati”, i toni da “campagna elettorale” vanno lasciati da parte, insiste Meloni anche nella replica in cui alza la voce solo nel passaggio in cui respinge la tesi di un’Italia “subalterna” agli Stati Uniti e rivendica di essere già “leader di una nazione che conta, non perché io conto – dice- ma perché sono presidente del Consiglio di una nazione che si chiama Italia”. Risponde piccata anche a chi la accusa di non avere citato né Donald Trump né Benjamin Netanyahu (“non ho nessun problema a farlo”) ma non si lascia andare ad affondi pesanti, come è successo in altre occasioni, nei confronti delle opposizioni. Non attacca frontalmente neanche il Movimento 5 Stelle che presenta una risoluzione che non esclude la ripresa della collaborazione con la Russia sul gas. Azione incassa anche il parere favorevole del governo ad alcuni impegni della sua risoluzione come quello di rilanciare il negoziato con l’Iran che, per la premier, è uno dei punti in cui in Parlamento si registra una sostanziale “convergenza”.

Resta tutta la distanza, invece, sulle spese militari, che certo non entusiasmano la Lega (in Aula c’è Salvini ma non sempre i deputati, che quando scatta la standing ovation sull’Italia “che conta” applaudono ma non si alzano). Meloni si lancia in una citazione di Margaret Thatcher per argomentare la scelta di aderire al nuovo obiettivo Nato, dopo una trattativa che ha portato ad esempio ad allungare al 2035 i tempi. Gli impegni peraltro, risponde a chi le chiede perché non abbia fatto come Pedro Sanchez, “sono uguali per tutti, non c’è alcuna differenza tra quelli assunti dall’Italia e dalla Spagna”. L’importante è che siano target “chiari, trasparenti e sostenibili”, un messaggio che la premier manda anche a Bruxelles, insistendo, come aveva fatto nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sull’esigenza di rendere il Patto di stabilità “compatibile” con l’aumento delle spese per la difesa, senza creare “disparità di trattamento” per quei paesi, come l’Italia, in procedura per deficit eccessivo.

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Il M5s apre al gas russo, rottura con Pd e Avs

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La Russia divide le opposizioni. Alla Camera, i gruppi di Pd, Avs e M5s non solo hanno presentato ognuno una propria risoluzione sulle crisi internazionali – specie quelle in Medio Oriente e in Ucraina – ma si sono scontrati su un passaggio di quella del M5s, che chiedeva di non escludere “a priori e pro futuro una possibile collaborazione con la Russia” sulla fornitura di gas, nel caso in cui la guerra all’Iran determini una stretta alle importazioni. Poche righe che hanno subito fatto fibrillare il campo largo. Pd e Avs hanno deciso che non avrebbero votato quel passaggio. “Lo trovo irricevibile”, ha scritto sui social il senatore del Pd Filippo Sensi. E a ruota, il segretario di Azione, Carlo Calenda: quella del M5s è una risoluzione “vergognosa, il Pd deve prendere atto che non può esserci” un’alleanza con chi, sulla Russia, “ha una linea identica a quella di Salvini”.

Per il Pd, anche un’altra richiesta del M5s era irricevibile, quella di “interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine”. Nella risoluzione Pd, invece, era stata sottolineata la necessità di “continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine”. Una posizione ribadita anche dalla segretaria Elly Schlein, nelle dichiarazioni di voto in Aula. Insomma, al fronte delle armi all’Ucraina, da sempre motivo di frizione all’interno del campo largo – anche Avs, come il M5s, è per lo stop all’invio – si affianca quello “nuovo” sul gas russo. Lo scopo di una eventuale collaborazione, ha scritto il M5s nella risoluzione, è “garantire il contenimento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale” e mettere l’Unione europea “in grado di adeguarsi ai mutevoli scenari del quadro geopolitico mondiale, senza legarsi a specifiche fonti energetiche in maniera quasi monopolista”.

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Commissione d’inchiesta in visita a Casamicciola ed a Napoli

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Mercoledì 25 e giovedì 26 giugno, la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico, presieduta da Pino Bicchielli, sarà in missione a Casamicciola, a Napoli e nei Campi Flegrei e svolgerà audizioni di sindaci e rappresentanti istituzionali, secondo il seguente programma. Mercoledì 25 al Comune di Casamicciola Terme: ore 12.15 audizione Commissario straordinario per la ricostruzione a Ischia, Giovanni Legnini; ore 12.45 audizione Sindaco di Casamicciola, Giuseppe Ferrandino; ore 14.15 sopralluogo alla zona colpita dalla frana del 26 novembre 2022. Al termine è previsto un punto stampa. Giovedì 26 in Prefettura a Napoli: audizioni dei sindaci dei Comuni interessati dal rischio sismico (ore 10 Sindaco di Napoli e della Città Metropolitana, Gaetano Manfredi; ore 10.45 Sindaco di Pozzuoli Luigi Manzoni; ore 11.15 Sindaco di Bacoli, Josi Gerardo Della Ragione. Alle ore 11.45 è previsto un punto stampa. Alle ore 12 seguiranno le audizioni del Vicepresidente della Giunta Regionale della Campania con delega all’Ambiente, Fulvio Bonavitacola; ore 12.30 Assessore all’urbanistica e governo del territorio, Bruno Discepolo; ore 13 Segretario generale Autorità di bacino dell’Appennino meridionale, Vera Corbelli; ore 13.30 Commissario Straordinario per i Campi Flegrei, Fulvio Maria Soccodato. Alle ore 15 partenza dalla Prefettura per i sopralluoghi nei Comuni di Bacoli e Pozzuoli. L’ultimo appuntamento è in programma alle ore 18 e prevede la visita dell’Osservatorio vesuviano (sede operativa).

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