Massacri di Pasqua in Sri Lanka e nuova geografia del terrore, parla Guido Olimpio: il Califfato di Al Bagdadi non è morto e l’Italia non è immune da rischi
I massacri di cristiani per mano jihadista a Pasqua in Sri Lanka mostrano come il terrorismo sia una minaccia a più facce, costante e ingestibile che utilizza diverse forme di violenza per palesarsi al mondo. Un fenomeno che su scala globale destabilizza la società tutta, facendo leva sul senso di insicurezza che prende piede nella vita di tutti i giorni, scompaginando le certezze dei singoli individui. Annichilisce gli avversari, ribalta del tutto i rapporti di forze colpendo in seno alle politiche dei vari Stati, non sempre pronti a prevedere questi continui colpi inferti. “Il terrorismo è un male complicato” dice Guido Olimpio, giornalista, editorialista del Corriere della Sera, esperto di terrorismo, intelligence e Medio Oriente con il quale abbiamo tratteggiato un’analisi geopolitica sulla geografia del terrore.
Alla luce degli ultimi attentati avvenuti in Sri Lanka si può affermare che l’Isis stia diventando una sorta di franchising del terrore globale, come fu Al Qaeda, soprattutto dopo aver perso l’opportunità di diventare Stato?
Il fenomeno deve considerarsi per fasi. È complicato fare previsioni a lunghissimo termine perché questo fenomeno terroristico si adatta alle realtà contingenti. È vero che l’Isis voleva diventare Stato ma ha fatto un errore: se da una parte, diventando Stato ha potuto raccogliere maggior denaro e reclutare elementi, dall’altra ha spinto ad una dura reazione la comunità internazionale che ha compromesso il suo territorio. Ma il Califfato di Al Bagdadi non è finito, a mio avviso si stanno preparando, riorganizzando per ritornare. Non si può sapere se c’è sempre un collegamento strutturale con gruppi già esistenti. Alcuni gruppi hanno dichiarato fedeltà al Califfato e quindi è evidente che strutture operanti in Africa o Medio Oriente sono allineate con il Califfato e c’è questo rapporto. In altri casi, come ad esempio nello Sri Lanka, sono gruppi inseriti in una realtà piccola, magari perché hanno avuto dei contatti in Siria, in Iraq con qualche elemento ed hanno usato un gruppo esistente per fare questo attacco. Le indagini ci diranno se c’è questo rapporto diretto, ma è chiaro che loro si affidano a chi c’è. Questo è anche un processo inverso. Magari ci sono dei gruppi che non avevano nessun collegamento reale con lo Stato Islamico ma compiendo l’azione con la rivendicazione entrano nella sua orbita.
Cosa dobbiamo aspettarci adesso?
Un frazionamento di queste tipo di operazioni terroristiche. Vedremo sempre di più attacchi come quello in Sri Lanka – mi auguro e spero non di quella magnitudine -. Assisteremo allo Stato Islamico o a queste forme di lotta jihadista violenta che cercheranno di sfruttare delle realtà estremamente locali dove ci sono crisi politiche. Se rimaniamo ai fatti in Asia, possiamo notare come nello Sri Lanka il fenomeno islamista era piccolo,però in seno vigeva e c’è tutt’ora una situazione politica instabile che ha una vecchia tradizione. La guerra civile, tensioni, fratture nella società, divisioni all’interno delle istituzioni, tutte queste coseaprono spazi ed il piccolo gruppo legato – si vedrà poi come – allo Stato Islamico si inserisce. Ci sono Paesi Asiatici, come le Filippine o l’Indonesia dove ci sono piccoli gruppi che cercano di colpire in nome di qust’ultimo.
Chi sono gli attentatori di Colombo?
Gli ultimi dati, un po’ più precisi, parlano di persone della media borghesia. Alcuni abbastanza ricchi, istruiti, appartenenti ad una realtà piccola ma molto militante e abbastanza radicalizzata che evidentemente hanno studiato da terroristi. Hanno iniziato dapprima a distruggere qualche statua e forse sono rimasti coinvolti, prima della strage, in qualche omicidio. Di sicuro sono stati sottovalutati perché poi le conseguenze si sono viste. Una cellula è stata così abile nello strutturarsi e nel passare sotto il radar della polizia locale, nonostante ci fossero stati degli allarmi. Questo deve preoccupare ancora di più.
Per quanto riguarda l’Italia – per ora immune da attentati terroristici – sarà ancora così?
In Italia come in Europa esiste un problema diverso. C’è una conoscenza abbastanza alta dei militanti che sono andati nello Stato Islamico. Un loro ritorno non è che sia impossibilema è più complicato per il semplice fatto che sono schedati. Ovviamente c’è sempre la possibilità, basta uno che passa sotto la rete, aggancia due o tre simpatizzanti che ci sono ed organizza un attentato. Ad oggi, credo, che questi militanti abbiano paura a tornare.
Che fine fanno i combattenti quando tornano in Europa?
In questo caso ogni governo si organizza. Alcuni vengono messi sotto controllo, altri vengono messi in prigione, altri ancora non si pentono ma rimangono buoni, sperando che questo gli eviti il carcere o i guai con la legge. Non c’è una linea comune, chiaramente un problema è il futuro a lungo termine, soprattutto per loro ma anche se hanno dei figli piccoli, cresciuti nello stato Islamico, “allevati” in un clima di violenza, odio, distruzione. Che cosa si fa con questi minori? Come li si rieduca o come li si toglie da questa bolla?Vengono tolti ai genitori e dati ad altri familiari? Questi sono tutti problemi che i governi hanno difficoltà ad affrontare. Tanto è vero che gli europei volevano che fossero i curdi ad occuparsi dei militanti catturati, ma i curdi non avevano e non hanno le forze per gestirli tutti. A lungo termine questo può diventare un problema, così come il rilascio di elementi che sono stati arrestati prima e che in carcere sono diventati più radicati.
Quando si parla del dossier libico, spesso si fa l’associazione migranti/terrorismo, anche perché si pensa che in Libia ci sia un alto numero di terroristi dell’Isis ed uno dei reali pericoli è sul fronte immigrazione. L’Italia, in questo contesto, che cosa rischia?
Se guardiamo dalla nascita del Califfato, ad oggi gli elementi arrivati con i barconi e che poi hanno fatto attentati in Europa, sono pochissimi. La Libia, se continuasse questa situazione, certamente rischia di diventare un’area di instabilità perenne e lo Stato Islamico ma anche Al Qaeda potrebbero trovare spazio, attirando reclute così da rilanciarsi. Anche perché lo Stato Islamico in Libia era stato molto ridimensionato. Appena sono riprese le lotte tra Haftar ed il governo di Tripoli, si è notato un suo ritorno. Ovviamente non bisogna collegare in maniera stretta quello che accade nel deserto con l’Italia o la Francia ma è chiaro che ci sono degli indicatori che vanno tenuti in considerazione. Le aree dove prosperano guerriglie, armi e traffici sono l’ideale per il proliferare del terrorismo.
Il difensore di Chiara Petrolini, avvocato Nicola Tria, ha depositato il ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale del Riesame di Bologna che il 17 ottobre ha disposto la custodia cautelare in carcere per la 21enne di Traversetolo, con ordinanza depositata il 30 novembre. La giovane è accusata da Procura e carabinieri di Parma di omicidio e soppressione di cadavere in relazione al ritrovamento dei corpi di due neonati, da lei partoriti a poco più di un anno di distanza, maggio 2023 e agosto 2024, al termine di gravidanze di cui nessuno aveva saputo nulla, né familiari né fidanzato. Il Gip del tribunale di Parma il 20 settembre aveva applicato gli arresti domiciliari, la Procura aveva fatto appello e quindi si è pronunciato il Riesame, segnalando il rischio di reiterazione e l’insufficienza della custodia cautelare a casa coi genitori, ma l’esecuzione della misura in carcere rimane sospesa fino alla pronuncia della Cassazione.
Eventi internazionali come il Giubileo 2025 e le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Ma anche più semplicemente un periodo di difficoltà o dei debiti da saldare. O al contrario una nuova apertura e un inizio promettente. Sono queste le cose grandi e piccole che fanno gola alle mafie e amplificano il rischio di infiltrazioni in un settore vitale, ramificato e dal grande indotto come quello del turismo. Emerge da uno studio realizzato da Demoskopika che quantifica in 3,3 miliardi di euro, il giro d’affari della criminalità organizzata italiana derivante dall’infiltrazione nell’economia legale del settore turistico del Belpaese di cui quasi 1,5 miliardi concentrato nelle realtà del Nord.
Assoluto primato della ‘ndrangheta con un giro d’affari di 1 miliardo 650 milioni (50% degli introiti totali), poi camorra a 950 milioni (28,8%), mafia a 400 milioni (12,1%) e criminalità organizzata pugliese e lucana con 300 milioni di euro (9,1%). Secondo Demoskopika che utilizzato una serie di dati rilevati da alcune fonti ufficiali o autorevoli: Unioncamere, Direzione Investigativa Antimafia, Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Istat, Cerved e Banca d’Italia si tratta di un’attività sempre più pervasiva di controllo del territorio che metterebbe a rischio quasi 7mila imprese attive pari al 14,2% su un totale di oltre 48mila realtà a “rischio default”, maggiormente fiaccate da crisi di liquidità e indebitamento e, dunque, più vulnerabili al “welfare criminale” delle mafie che dispongono, al contrario, di ingenti risorse finanziarie pronte per essere “ripulite”.
Ben 307, inoltre, gli alberghi e i ristoranti confiscati ad oggi, di cui quasi il 60% nei territori tradizionalmente caratterizzati da un maggiore radicamento della criminalità organizzata. Osservando il livello territoriale emerge che nelle realtà del Mezzogiorno si concentrerebbe il 33,6% degli introiti criminali, pari a 1 miliardo 108 milioni di euro. A seguire il Nord Ovest con 927 milioni di euro (28,1%), il Centro con 715 milioni di euro (21,7%) e il Nord Est con 550 milioni di euro (16,7%). Sono 9 i sistemi turistici regionali a presentare i rischi più elevati di infiltrazione criminale nel tessuto economico, dove si concentra quasi ben il 75% del giro d’affari dei proventi illegali: Campania (380 milioni di euro), Lombardia (560 milioni di euro), Lazio (430 milioni di euro), Puglia (200 milioni di euro), Sicilia (190 milioni di euro). E, ancora, Liguria (90 milioni di euro), Emilia Romagna (230 milioni di euro), Piemonte (260 milioni di euro) e, infine, Calabria (125 milioni di euro).
A pesare sul primato negativo della Campania, che ha totalizzato il massimo del punteggio (122,0 punti), i 67 alberghi e ristoranti confiscati, pari al 21,8% sul totale delle strutture turistiche confiscate dalle autorità competenti, le quasi 2mila richieste di avvio di istruttorie antimafia connesse al Pnrr, i 155 provvedimenti interdittivi antimafia emessi dagli Uffici Territoriali del Governo, nell’intero anno 2023, a seguito degli approfondimenti svolti dalle articolazioni della Dia e, infine, le quasi 16mila operazioni finanziarie sospette comprendenti anche le SOS a rischio criminalità organizzata. “Il turismo italiano – spiega il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio – è sotto attacco. Oltre 7mila aziende vulnerabili rischiano di diventare ghiotta preda dei sodalizi criminali, con la ‘ndrangheta, Cosa Nostra, camorra, criminalità pugliese e lucana che si infiltrano nei settori dell’ospitalità, dalla ricettività alberghiera alla ristorazione passando per l’intermediazione. Debiti erariali, prestanome legati ai clan e una fragilità imprenditoriale sempre più diffusa creano le condizioni ideali per un controllo mafioso”
È giallo a Torino sulla morte di una donna di 21 anni, di origini albanesi, trovata senza vita nel marzo del 2021 in un alloggio alla periferia della città. La storia della ragazza, Sonila il suo nome, sfruttata da un gruppo anch’esso albanese che gestiva un giro di prostituzione nel capoluogo piemontese, è emersa dopo l’operazione della squadra mobile di Torino, denominata Mariposa, che la scorsa settimana ha portato a cinque misure cautelari per reati che vanno dalla rapina al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sedici le persone indagate.
Per la procura di Torino, come riportato dal quotidiano La Stampa, la ragazza potrebbe essere stata indotta al suicidio. Le indagini sono coordinate dalla pm Valentina Sellaroli. L’operazione che ha portato allo smantellamento della rete ha avuto origine nel maggio 2022 da una rapina ai danni di una prostituta albanese. Le indagini hanno rivelato un sistema criminale che coinvolgeva giovani donne costrette a prostituirsi in zone specifiche della città come Barriera Nizza e Madonna di Campagna. Le vittime, tutte di nazionalità albanese, secondo quanto ricostruito, subivano continue vessazioni fisiche e psicologiche. Le donne erano obbligate a consegnare l’intero guadagno ai propri sfruttatori e versavano in condizioni di totale assoggettamento, mantenuto anche attraverso legami sentimentali manipolatori. Tra di queste c’era Sonila, trovata morta nel bagno di un piccolo alloggio in cui viveva con il compagno – oggi tra gli indagati – e il suo bimbo di due anni.