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Martina ne combina un’altra, annuncia il congresso Pd nel giorno della Memoria dell’Olocausto

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Uno può fare il congresso del Pd in qualunque giorno dell’anno, ci mancherebbe. È evidente che come non è bello piazzarlo nel giorno di Pasqua o Natale, prevedere di celebrarlo nel giorno della Memoria non solo in Italia ma in Europa è una scelta infelice. E infatti la comunità ebraica italiana ha già fatto sapere che non ha gradito.

Torre di Babele Pd. Un gruppo dirigente litigioso, elettori in fuga e il segretario uscente Martina che organizza il congresso nel giorno della Memoria

La data indicata dal segretario uscente del Pd, Maurizio Martina, domenica 27 gennaio, potrà essere cambiata, sposata una settimana prima, una settimana dopo o chissà quando a questo punto. “Ci sono date in cui bisognerebbe fermarsi a riflettere un po’ di più. E il giorno della Memoria,  rientra tra queste. Siamo un po’ sconcertati” fanno trapelare il loro malumore nella Comunità ebraica romana, presieduta da Ruth Dureghello. Il congresso del Pd nel un giorno scelto dall’Europa per ricordare le vittime dell’Olocausto e, soprattutto, per interrogarsi sul perché della Shoah è stato un errore. Ma è sicuro che l’hanno fatta in buona fede, per ignoranza della data della giornata della Memoria. La concomitanza e la coincidenza forse non era stata calcolata, calendario alla mano, dal Nazareno. Per molto meno è stata già spostata la data della manifestazione del Pd contro il governo, in un primo momento convocata per domani (giorno del derby Lazio-Roma) poi rinviata al giorno dopo.

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Lo scetticismo di Meloni, Mosca risponda chiaramente

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Da una parte c’è la “propaganda” russa, dall’altra la volontà di Kiev di chiudere il conflitto. Giorgia Meloni propone un netto distinguo tra le due parti, una “responsabile della guerra” e l’altra “certamente a favore della pace”, come “dimostra” anche il fatto che Volodymir Zelensky sia pronto a incontrare a Istanbul Vladimir Putin. Uno scenario di fronte al quale la premier sollecita “una chiara risposta” di Mosca alla proposta di cessate il fuoco, e garantisce sostegno all’Ucraina “fino alla fine”. Sulle mosse del presidente russo, però, c’è scetticismo, a Roma come nelle capitali del formato Weimar+ che si è riunito a Londra a livello di ministri degli Esteri. L’opinione diffusa, nella riunione a cui hanno partecipato Antonio Tajani e gli omologhi di Gb, Germania, Francia, Polonia, Spagna e Ue, è che l’apertura di Putin a trattative dirette con Zelensky sia una mossa tattica di fronte alla maggiore attenzione mostrata da Washington ai punti di vista degli alleati europei e di Zelensky.

In quest’ottica Meloni ha esortato la Russia a “una chiara risposta”, approfittando delle dichiarazioni alla stampa al termine del vertice intergovernativo Italia-Grecia, assieme a Kyriakos Mitsotakis. Un appuntamento in cui sono stati siglati memorandum e dichiarazioni, 14 in tutto: dalle reti ferroviarie (in arrivo 760 milioni di investimenti sulla rete greca con l’accordo fra Fs e il governo di Atene) alle interconnessioni elettriche (Terna realizzerà con la greca Ipto una nuova interconnessione, accordo da circa 2 miliardi), dalla lotta alla droga alla Protezione civile. Tra gli annunci della speaker e le strette di mano, la cerimonia è durata una decina di minuti, al termine dei quali la premier, tra una smorfia di impazienza e un sorriso, ha allargato le braccia, come a dire “ora basta…”. Poi ha preso la parola per indicare i vari temi condivisi tra i governi di “due nazioni senza le quali l’idea stessa di Occidente che conosciamo non esisterebbe”.

A partire dal sostegno all’Ucraina. Nelle stesse ore Emmanuel Macron annunciava ad horas nuovi colloqui “con Zelensky e i miei colleghi europei”. Non è chiaro se si sia trattato di una call o solo di una serie di telefonate a due. Comunque nulla di questo dovrebbe essere entrato nell’agenda di Meloni, che sabato in occasione dell’appuntamento dei Volenterosi a Kiev ha partecipato solo in videocollegamento. Sulle trattative tra Ucraina e Russia “l’Europa deve parlare con una voce sola”, è la linea espressa da Tajani, che dopo Londra è volato a Verona per il quarto evento preparatorio della Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, in programma a Roma il 10-11 luglio. Nel governo sperano che nelle prossime settimane si creino le condizioni per parlare concretamente di pace in quell’occasione. “L’Italia – ha aggiunto Meloni – ribadisce il sostegno agli sforzi per una pace giusta e duratura, che non può prescindere da garanzie di sicurezza efficaci per Kiev”.

Un obiettivo che non appare ancora a portata di mano. Per dirla con il ministro degli Esteri, “tutta la responsabilità oggi è nelle mani di Putin”. La crisi ucraina potrebbe finire anche al centro del primo incontro fra Meloni e il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz, tra i leader attesi nel fine settimana a Roma per l’intronizzazione del Papa. Gaza dovrebbe essere invece al centro di alcune delle interrogazioni delle opposizioni a cui la presidente del Consiglio dovrà rispondere mercoledì alla Camera per il premier question time (riarmo, sanità e referendum fra gli altri temi attesi). Intanto, dopo il vertice con la Grecia a Villa Pamphilj, Meloni ha ribadito il sostegno alla mediazione dei Paesi arabi e definendo “molto importante la missione di Trump nella regione. Penso che dagli Stati Uniti possa arrivare un impulso decisivo”.

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De Luca all’attacco: “I ciucci non possono dirigere la Campania”. Nuova frattura con Pd e M5s

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“I ciucci non possono dirigere una regione come la Campania”. Vincenzo De Luca non usa mezzi termini e, nel giorno del giuramento di Ippocrate dei nuovi medici, affonda con parole durissime contro i vertici della sua stessa coalizione. Dopo il no della Consulta al terzo mandato, il presidente campano si dice deciso a non accettare un candidato non gradito scelto da Pd e M5s. Sullo sfondo c’è il nome di Roberto Fico, sempre più accreditato per guidare la coalizione progressista.

Conte e Ruotolo replicano: “Non decide una sola persona”

La replica non tarda. Da Roma Giuseppe Conte interviene a gamba tesa: “Il Movimento sta dando una grossa mano per costruire un programma che risponda ai bisogni dei campani. Dopo verrà scelto l’interprete, ma saranno tutti i territori a decidere, non una singola persona”. Il messaggio è chiaro: l’era De Luca è chiusa, e il futuro passa da una nuova leadership condivisa.

Anche Sandro Ruotolo, della segreteria Pd, prende posizione: “Io ciucci non ne vedo. Noi siamo pronti a costruire il futuro. Ricordo a De Luca che l’avversario si chiama Meloni, non i suoi alleati”.

Il centrodestra: “La Campania non è un feudo”

Dal canto suo, il centrodestra coglie l’occasione per attaccare: “La Campania non è un feudo personale di De Luca”. Parole che risuonano come benzina sul fuoco in un clima già incandescente. La sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato l’ipotesi di un terzo mandato ha lasciato in eredità una frattura profonda nel centrosinistra regionale.

L’ombra di Fico e la strategia di Manfredi

Nel frattempo, Roberto Fico prosegue il suo attivismo in Campania, spesso affiancato da esponenti del Pd e dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, figura centrale del cosiddetto campo largo. Una presenza che De Luca mal digerisce, come dimostrano i ripetuti attacchi a “politici politicanti”, “analfabeti” e “molluschi”.

“A Napoli e in Campania nessuno è in vendita”, ha ribadito oggi il presidente ai giovani medici. “Se vogliono farci tornare nella palude da cui siamo usciti, mi devono uccidere”.

Le ipotesi in campo: Bonavitacola, Fortini o lo strappo?

De Luca vorrebbe come successore un nome a lui vicino, come Fulvio Bonavitacola o Lucia Fortini, ma Pd e M5s non ci stanno. Il presidente potrebbe allora scegliere di candidarsi come capolista, facendo pesare il proprio consenso in sede di trattative, oppure puntare su una candidatura alternativa, anche fuori dal centrosinistra.

La risposta è attesa nelle prossime settimane. Ma una cosa è certa: il clima nel centrosinistra campano si fa sempre più infuocato.

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Esteri

Putin boccia l’ultimatum, Trump vuole andare a Istanbul

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Nessuna tregua di 30 giorni in Ucraina. Vladimir Putin ha respinto al mittente l’ultimatum “inaccettabile” lanciato sabato da Kiev dai leader dei Volenterosi – sostenuti da Donald Trump – di un cessate il fuoco di un mese, pena l’inasprimento delle sanzioni. “Non è questo il modo di parlare alla Russia”, ha tagliato corto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il presidente americano è tuttavia convinto che “un buon risultato” possa arrivare dai primi colloqui diretti tra russi e ucraini dal 2022, in programma il 15 maggio a Istanbul, ai quali non esclude di partecipare lui stesso, inserendo una tappa in Turchia al suo viaggio in Medio Oriente: “Ci sto pensando”, ha spiegato Trump prima di imbarcarsi per l’Arabia Saudita, convinto che a Istanbul ci saranno sia Putin che Volodymyr Zelensky.

Ma il solo ad aver confermato finora la sua partecipazione, sfidando lo zar a raggiungerlo, è stato il leader ucraino che ha sentito per la prima volta Papa Leone XIV, in una telefonata definita “molto calorosa e davvero significativa”. Zelensky lo ha quindi invitato “a compiere una visita apostolica in Ucraina”: “Porterebbe vera speranza al nostro popolo”, ha sottolineato il presidente, dopo aver invitato più volte a Kiev, ma invano, Papa Francesco. Zelensky ha poi informato il nuovo Pontefice “dell’accordo tra l’Ucraina e i partner, secondo cui dovrebbe iniziare un cessate il fuoco completo e incondizionato per almeno 30 giorni” e ha confermato “la disponibilità a ulteriori negoziati in qualsiasi formato, compresi i negoziati diretti”.

“L’Ucraina – ha assicurato a Leone XIV – vuole porre fine a questa guerra e sta facendo tutto il possibile per questo. Aspettiamo che la Russia adotti misure adeguate”. A cominciare dai negoziati di Istanbul che, per il leader ucraino, “potrebbero contribuire a porre fine alla guerra”. “Non sottovalutate” l’incontro di “giovedì in Turchia, ha il potenziale di un buon incontro”, ha detto anche Trump. “Non doveva tenersi, ma ho insistito perché si facesse”, ha quindi ribadito, annunciando di valutare “di fare un volo” per Istanbul. “Non so dove sarò giovedì, ho tanti incontri. Ma c’è una possibilità” che ci vada, “se riterrò che le cose possano andare avanti”. Immediata la reazione positiva di Zelensky che tenta di mettere all’angolo Putin agli occhi del presidente americano: “Ho sostenuto Trump nell’idea di colloqui diretti con Putin. Ho espresso apertamente la mia disponibilità a incontrarlo. Io sarò in Turchia. Spero che i russi non si sottraggano all’incontro”, ha dichiarato via social.

“E naturalmente, tutti noi in Ucraina apprezzeremmo se Trump potesse essere presente a questo incontro in Turchia. È l’idea giusta”, ha sottolineato, ribadendo di aver anche sostenuto la proposta del presidente americano “di un cessate il fuoco completo e incondizionato”, al contrario del Cremlino. Che attraverso Peskov ha ricordato che è stato lo stesso Putin a proporre negoziati diretti tra Mosca e Kiev, ma con l’obiettivo di raggiungere “una soluzione pacifica di lungo periodo”, non una tregua temporanea. “Il linguaggio degli ultimatum non è accettabile per la Russia, non è appropriato, non si può parlare alla Russia in questo modo”, ha quindi affermato Peskov, riferendosi alle dichiarazioni dei leader dei Volenterosi che avevano dato tempo a Mosca fino a lunedì sera per accettare o meno il cessate il fuoco.

Riaggiornandosi per un nuovo round di colloqui al termine della scadenza, come annunciato da Macron. Riuniti a Londra i ministri degli Esteri europei, tra cui Antonio Tajani, in formato Weimer+ allargato all’Ucraina hanno espresso la volontà di mantenere la pressione su Mosca e il loro “scetticismo” sulla reale volontà di Putin di “volere la pace”, anche alla luce degli ultimi attacchi notturni sull’Ucraina con “108 droni”, di cui uno ha fatto una vittima a Sumy. “Non sono messaggi che vanno nella giusta direzione”, ha commentato il capo della Farnesina.

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