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Politica

Marina Berlusconi contro Report: I servizi su mio padre? Pattume mediatico

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Marina Berlusconi si schiera in difesa della memoria del padre Silvio, attaccando duramente il servizio di Report. In una nota ufficiale, definisce l’inchiesta trasmessa come un «pattume mediatico-giudiziario» e preannuncia «azioni legali» contro quello che giudica un «ignobile esercizio di pseudo-giornalismo».

Le accuse rivolte a Silvio Berlusconi

Il servizio, firmato da Paolo Mondiani, ha analizzato i presunti rapporti tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Cosa Nostra, concentrandosi sulla riapertura dell’inchiesta fiorentina sulle stragi mafiose del 1993. Marina Berlusconi ha replicato duramente, definendo le accuse «sconnesse e illogiche», oltre a ricordare che sono state già smentite da più archiviazioni dei Tribunali di Palermo, Caltanissetta e Firenze.

Nella nota, Marina Berlusconi ha anche rivendicato i risultati ottenuti dai governi del padre nella lotta contro la criminalità organizzata, come la stabilizzazione del carcere duro (41 bis) per i boss mafiosi e l’introduzione del primo Codice antimafia nel 2011.

La replica di Report e le reazioni politiche

Il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, ha difeso il servizio, definendolo «rigoroso» e basato su documenti e testimonianze validate dai magistrati. Ha inoltre sottolineato come fosse stata offerta alla famiglia Berlusconi e a Dell’Utri la possibilità di intervenire o di rispondere tramite i loro legali.

La vicenda ha provocato forti reazioni politiche. Forza Italia ha chiesto un intervento dei vertici Rai per fermare quello che definisce «uno scempio mediatico». La Lega ha criticato il programma come «fazioso», mentre Fratelli d’Italia lo ha descritto come una manifestazione di «ideologia anti-destra».

Difesa di Report dalle opposizioni

Dal fronte dell’opposizione, diverse voci hanno espresso solidarietà a Report. Barbara Floridia, presidente della commissione di Vigilanza Rai, ha ribadito la necessità di difendere il giornalismo d’inchiesta, considerandolo un «presidio di indipendenza». Anche il Partito Democratico, attraverso Sandro Ruotolo, ha difeso il programma, accusando la destra di voler censurare il giornalismo investigativo.

Un dibattito destinato a continuare

Lo scontro tra Marina Berlusconi e Report non sembra destinato a chiudersi rapidamente. La vicenda evidenzia una profonda divisione politica e solleva interrogativi sul futuro del giornalismo d’inchiesta e della libertà di informazione in Italia.

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Politica

L’Italia disunita e la sua eterna frammentazione politica che mina l’interesse nazionale

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L’Italia, sin dalla sua unificazione, ha vissuto una frammentazione politica interna che ha spesso reso difficile la costruzione di una politica coesa ed efficace. Questa debolezza strutturale si è aggravata nel corso del tempo, trasformandosi in un vero e proprio “teatrino politico”, in cui l’obiettivo primario dei partiti non sembra essere il benessere della Nazione, ma piuttosto la delegittimazione dell’avversario politico di turno.

Uno degli effetti più evidenti di questa fazione esasperata è l’incapacità dell’Italia di mantenere una posizione solida e coerente sulla scena internazionale. Ogni governo, indipendentemente dal suo colore politico, si trova ostacolato da un’opposizione che, invece di contribuire al consolidamento dell’interesse nazionale, cerca di sfruttare qualunque situazione per minare la stabilità dell’esecutivo in carica.

Un esempio lampante di questa cronica incapacità di fare sistema riguarda la politica estera. A parole, tutti i governi italiani si dichiarano atlantisti, occidentalisti e sostenitori della cooperazione internazionale, ma nei fatti questa coerenza viene spesso sacrificata sull’altare della lotta politica interna.

  • Caso Ocalan (1998-1999): durante il governo di centrosinistra di Massimo D’Alema, la permanenza del leader curdo in Italia provocò uno scontro diplomatico con la Turchia e creò un duro confronto interno tra le forze politiche, esponendo il Paese a tensioni internazionali.
  • Caso Almasri (2024): il governo di centrodestra ha espulso un cittadino libico senza tener conto del rischio di gravi ripercussioni diplomatiche per un mandato di arresto della CPI. L’opposizione, invece di lavorare per una soluzione condivisa, ha colto l’occasione per attaccare il governo, aggravando le tensioni con il mondo arabo e delegittimando l’Italia sulla scena internazionale.

Questi episodi dimostrano come la politica estera italiana sia ostaggio di interessi di parte, incapace di trovare una strategia univoca che vada oltre il mandato di un singolo governo.

Uno dei dossier più critici per l’Italia è senza dubbio quello dell’immigrazione. Un fenomeno complesso, che necessita di soluzioni strutturali e condivise, ma che invece è diventato il terreno di scontro per eccellenza.

  • Quando governa il centrosinistra, il centrodestra accusa l’esecutivo di essere troppo permissivo e incapace di gestire i flussi migratori.
  • Quando governa il centrodestra, il centrosinistra accusa il governo di essere disumano e di violare i diritti fondamentali dei migranti.

Nel frattempo, l’Italia resta senza una politica migratoria efficace, priva di accordi stabili con i paesi di origine e di transito, esposta alla pressione dell’Unione Europea e incapace di tutelare i propri confini in modo equilibrato e sostenibile.

Oltre alla faziosità politica e all’assenza di una linea unitaria, l’Italia soffre di una cronica instabilità di governo. Negli ultimi 30 anni, il nostro Paese ha visto un’alternanza così rapida tra governi di diverso orientamento da rendere impossibile qualunque strategia di lungo periodo.

  • I governi italiani durano in media 1-2 anni, mentre in altri paesi europei come Germania o Francia, gli esecutivi hanno un ciclo di vita molto più lungo, permettendo loro di attuare riforme di ampio respiro.
  • Le continue crisi di governo impediscono all’Italia di costruire relazioni internazionali solide, poiché ogni nuovo esecutivo spesso ribalta le decisioni del precedente, lasciando gli alleati internazionali nel dubbio su quale sia la reale posizione del Paese.

Questa incapacità di fare sistema ha ripercussioni pesanti sull’immagine e sulla credibilità dell’Italia a livello internazionale.

  • Affidabilità compromessa: gli alleati della NATO e dell’UE percepiscono l’Italia come un partner inaffidabile, incline a cambi repentini di posizione.
  • Marginalizzazione nelle decisioni globali: l’Italia raramente riesce a incidere sui grandi tavoli della geopolitica internazionale, rimanendo spesso relegata a un ruolo di secondo piano.
  • Danni economici: la mancanza di stabilità politica e diplomatica disincentiva gli investimenti esteri e ostacola le grandi strategie di sviluppo economico.

L’Italia non può permettersi di essere un Paese perennemente bloccato dalle divisioni interne, soprattutto in un mondo sempre più complesso e competitivo. È necessaria una riforma della cultura politica, basata su alcuni principi fondamentali:

  1. Separare il dibattito interno dalla politica estera: le questioni di rilevanza internazionale non possono essere utilizzate come arma politica per screditare il governo in carica.
  2. Creare un consenso bipartisan su dossier strategici: immigrazione, difesa, politica industriale e rapporti con le grandi potenze devono essere affrontati con una visione condivisa, indipendentemente dal colore politico del governo.
  3. Stabilizzare il sistema istituzionale: una riforma che garantisca maggiore stabilità ai governi permetterebbe all’Italia di avere un ruolo più influente nello scenario internazionale.
  4. Superare il benaltrismo: smettere di delegittimare le azioni di governo senza proporre alternative concrete e realizzabili.

Se l’Italia vuole essere un protagonista credibile sulla scena internazionale, deve uscire dalla logica della lotta continua tra fazioni e costruire una strategia unitaria che metta l’interesse nazionale al primo posto.

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Cronache

Il caso Nicola Salvati: il tesoriere silenzioso del Pd campano travolto dall’inchiesta sui migranti

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Fino a pochi giorni fa, Nicola Salvati era un perfetto sconosciuto fuori dagli ambienti politici ristretti del Pd campano. Un commercialista riservato, mai una dichiarazione pubblica, sempre in giacca e cravatta, seduto ai margini delle riunioni della direzione regionale del partito. Un uomo di numeri e conti, più che di parole e strategie. Ma oggi, il suo nome è diventato il centro di un terremoto politico e giudiziario: agli arresti domiciliari, insieme al padre Giuseppe, con accuse pesantissime: associazione per delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso in atto pubblico e autoriciclaggio.

L’inchiesta: il business dei permessi di soggiorno

Le indagini della Procura di Salerno ricostruiscono una doppia vita di Salvati. Di giorno, un rispettato professionistacon un ruolo chiave nel Pd campano, di notte (metaforicamente parlando), al centro di un presunto sistema di gestione illecita di permessi di soggiorno. Un meccanismo che passava per il click day, la procedura prevista dalla legge per regolarizzare l’ingresso dei migranti, e che sarebbe stato trasformato in un business.

Secondo l’accusa, chi voleva un permesso di soggiorno doveva pagare fino a 7.000 euro. Un giro d’affari enorme, con almeno 2.000 pratiche sospette finite sotto la lente degli inquirenti. Un ruolo che il giudice per le indagini preliminari ha definito “attivo, consapevole e costante”, tanto da far emergere il sospetto che Salvati fosse un perno dell’organizzazione.

Un profilo politico nell’ombra: l’uomo del Pd che tutti vogliono dimenticare

La reazione del Partito Democratico non si è fatta attendere. Salvati è stato sospeso con effetto immediato, e in molti hanno preso le distanze. Ma il suo percorso politico non è secondario: è stato vicesindaco di Poggiomarino sotto l’amministrazione di Leo Annunziata, fedelissimo di Vincenzo De Luca, ed è legato a Mario Casillo, il consigliere regionale più votato del Pd in Campania.

Eppure, la sua nomina a tesoriere regionale del partito non è stata una scelta di De Luca, ma è stata confermata da ben due commissari, inviati da Roma per “risanare” il Pd campano:

  • Francesco Boccia, all’epoca in quota Enrico Letta.
  • Antonio Misiani (foto Imagoeconomica), scelto direttamente da Elly Schlein.

Oggi, nel partito nessuno vuole ricordarlo, ma la sua posizione era frutto di una continuità politica trasversale.

Uno scandalo che divide: la sinistra lo cancella, la destra lo usa

Se per il Pd Salvati è già un uomo da dimenticare, nel centrodestra invece il suo caso è diventato un’arma politica. La destra lo sta utilizzando come un contrappeso al caso Almasri, il libico scarcerato per decorrenza dei termini che ha infiammato il dibattito sull’immigrazione.

Per Fratelli d’Italia e Lega, il caso Salvati è la prova dell’ipocrisia della sinistra sul tema dei migranti. Ma davvero Salvati era un personaggio così rilevante? Oppure, come scrive qualcuno tra i dem, era solo un piccolo ingranaggio di un meccanismo molto più grande?

Un Pd campano sempre più nel caos

Lo scandalo Salvati si inserisce in un contesto già esplosivo per il Pd campano. Il partito è ancora scosso dalle inchieste su Antonio Poziello (ex sindaco di Giugliano arrestato per scambio elettorale politico-mafioso), Franco Alfieri (ai domiciliari, ma ancora presidente della Provincia di Salerno) e altri esponenti vicini a De Luca.

“C’è una questione morale e va affrontata prima che intervenga la magistratura”, ha dichiarato Sandro Ruotolo, responsabile Informazione e Cultura del Pd.

Il problema, però, è che la magistratura è già intervenuta, e il Pd campano si ritrova senza una leadership chiara e con un commissario, Antonio Misiani, sempre più contestato.

Conclusione: un partito senza pace

Il Pd in Campania sembra essere finito in un vortice senza fine, tra commissariamenti, faide interne, scandali e guerre di potere. Il caso Salvati è solo l’ultimo tassello di una crisi profonda, che rischia di travolgere non solo il partito locale, ma anche i vertici nazionali.

Mentre a Napoli si cerca una via d’uscita, Roma non può più ignorare il problema. Quanto ancora potrà reggere il Pd campano prima di un definitivo crollo?

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In Evidenza

Caos Pd in Campania: il caso Salvati, le inchieste e lo scontro con De Luca

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Il Partito Democratico campano si trova nuovamente al centro di una tempesta politica e giudiziaria. L’ultimo terremoto riguarda l’arresto di Nicola Salvati, tesoriere del partito, finito ai domiciliari per un’indagine della Procura di Salerno sul presunto traffico di permessi di lavoro per migranti, che sarebbero stati venduti anche a 7.000 euro l’uno.

La vicenda ha acceso lo scontro con gli alleati potenziali, come il Movimento 5 Stelle, il cui capogruppo alla Camera Riccardo Ricciardi ha lanciato un messaggio chiaro:

“Ci auguriamo che chi vuole sottoscrivere un accordo con i 5 Stelle faccia una pulizia totale in casa propria”.

Ma Salvati non è l’unico problema per il Pd campano, che da anni vive in una perenne crisi interna tra commissariamenti, guerre di potere e scandali giudiziari.

Il Nazareno commissaria i conti: arriva il tesoriere nazionale

Per cercare di limitare i danni, la segretaria Elly Schlein ha deciso di commissariare anche la gestione economica del partito in Campania, affiancando al commissario Antonio Misiani il tesoriere nazionale Michele Fina, che da oggi prenderà il posto di Salvati.

Il Pd sembra però intrappolato in un eterno giorno della marmotta, con guerre intestine, lo scontro aperto con Vincenzo De Luca e una sfilza di esponenti coinvolti in inchieste.

Uno scandalo dietro l’altro: i nomi che imbarazzano il partito

L’arresto di Salvati si aggiunge a una lunga lista di esponenti del Pd campano, attuali o ex, finiti sotto inchiesta o agli arresti:

  • Antonio Poziello, ex sindaco di Giugliano, arrestato per scambio elettorale politico-mafioso.
  • Franco Alfieri, storico fedelissimo di De Luca, ai domiciliari ma ancora presidente della Provincia di Salerno.
  • Nicola Oddati, Luca Cascone e Giovanni Zannini, tutti legati al governatore e finiti nelle cronache giudiziarie.

Un quadro che ha spinto Sandro Ruotolo, eurodeputato Pd e responsabile Informazione e Cultura, a lanciare un allarme interno:

“C’è una questione morale e va affrontata subito. Non dobbiamo aspettare sempre la magistratura”.

Ruotolo è tra i promotori di una due giorni a Napoli che, a metà febbraio, metterà al centro il tema della questione sociale e morale nel partito.

La frattura con De Luca: il governatore all’attacco

Nel caos generale, Vincenzo De Luca non perde occasione per attaccare il Pd nazionale e il commissario Antonio Misiani, inviato da Schlein per “fare pulizia”.

“Il Pd in Campania non esiste, è sotto sequestro. Salvati? Chiedete ai sequestratori”, ha dichiarato ironicamente De Luca, che continua a puntare al terzo mandato, nonostante lo stop della Corte Costituzionale.

Il governatore ha poi attaccato duramente il commissariamento e il metodo con cui il partito sta gestendo la situazione:

“Il livello di vita democratica è paragonabile al Pcus di Breznev, anzi al Partito popolare di Kim Jong-un”.

Intanto, il mandato di Misiani scade il 28 febbraio, e se dovesse essere riconfermato, si ipotizza l’affiancamento di un vice per gestire una situazione sempre più ingestibile.

Pd campano: quale futuro tra inchieste e lotte interne?

Il Pd in Campania continua a navigare in acque agitate, tra inchieste, faide interne e un commissariamento che non ha ancora portato a una svolta.

Mentre a Roma si discute del dopo-De Luca, in Campania il partito sembra paralizzato, senza una strategia chiara per ricostruire credibilità e alleanze.

La domanda che molti si pongono è: quanto ancora potrà reggere questa situazione prima di un definitivo crollo politico?

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