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Esteri

María Corina Machado, la “dama di ferro” del Venezuela, vince il Nobel per la Pace: “Un premio per tutto il mio popolo”

La leader dell’opposizione venezuelana María Corina Machado riceve il Premio Nobel per la Pace. “È un riconoscimento per tutto il Venezuela”. Congratulazioni da Trump, Ue e Onu.

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Svegliata nel cuore della notte, María Corina Machado ha accolto con incredulità la notizia del Premio Nobel per la Pace. “Oh mio Dio, non ho parole, non lo merito”, ha detto commossa la leader dell’opposizione venezuelana, definendo il riconoscimento “una conquista per tutto il popolo del Venezuela”.

La “dama de hierro”, come viene soprannominata per la sua determinazione e per l’ammirazione verso Margaret Thatcher, è stata scelta dal comitato norvegese come simbolo di chi “mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente”.


Una leader clandestina che non ha mai smesso di lottare

Costretta da un anno alla clandestinità dal regime di Nicolás Maduro, Machado ha voluto condividere il Nobel “con un intero movimento che continua a sfidare la dittatura chavista”.
Il presidente del comitato, Jorgen Watne Frydnes, ha definito la 58enne “una delle figure più straordinarie di coraggio civico dell’America Latina”, capace di unire un’opposizione “una volta frammentata” nella richiesta di libere elezioni.

Nel 2023 Machado aveva trionfato alle primarie dell’opposizione con il 90% dei voti, ma la sua candidatura alle presidenziali fu annullata da una sentenza politica. Dopo le elezioni manipolate che hanno confermato Maduro per un terzo mandato, il suo candidato Edmundo González Urrutia è stato costretto all’esilio in Spagna.

Nonostante la repressione, Machado ha continuato a fare politica, diventando il volto internazionale della resistenza democratica venezuelana.


Reazioni da tutto il mondo: “Un simbolo di libertà”

Il premio a Machado ha suscitato applausi e sostegno internazionale.
“La libertà non si imprigiona”, ha commentato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, mentre Emmanuel Macron ha espresso la “riconoscenza della Francia per la sua azione a favore della democrazia”.
Per il ministro italiano Antonio Tajani è “un riconoscimento giusto a una donna coraggiosa”.

Anche l’Onu e il Vaticano hanno salutato la decisione. Il cardinale Pietro Parolin ha auspicato che il premio “aiuti il Venezuela a ritrovare serenità e democrazia”.

Da Buenos Aires, il presidente Javier Milei ha celebrato “l’ispirazione che illumina il mondo nella lotta contro la narcodittatura”, mentre Gustavo Petro dalla Colombia ha espresso “ammirazione per la forza e la coerenza” della leader venezuelana.


La telefonata di Trump e la risposta di Machado

La notizia del Nobel ha “bruciato” le ambizioni di Donald Trump, che sperava nel riconoscimento per il suo piano di pace a Gaza. Nonostante ciò, il tycoon ha telefonato a Machado per congratularsi, definendola “una donna straordinaria che combatte per la libertà”.

Machado ha risposto con pragmatismo politico, scrivendo su X: “Siamo alle soglie della vittoria e contiamo sul presidente Trump, sul popolo degli Stati Uniti e su tutte le nazioni democratiche del mondo come nostri principali alleati per raggiungere la libertà e la democrazia”.

Un appello che evidenzia il suo ruolo di ponte tra l’opposizione latinoamericana e l’Occidente, in un momento in cui Caracas rafforza le alleanze con Russia, Cina e Iran.


Un Nobel che riaccende la speranza del Venezuela

Il riconoscimento a María Corina Machado non è solo un premio personale, ma un atto politico e morale che rilancia la speranza per milioni di venezuelani stremati da anni di crisi economica e repressione.

Questo premio appartiene a chi non si è arreso”, ha detto la leader in un messaggio clandestino.
E in un Paese dove libertà e giustizia restano ancora un sogno, la sua voce – oggi amplificata dal Nobel – risuona come un segnale di riscatto e di rinascita democratica.

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Esteri

Arrestato in Europa Pipo Chavarria, il boss dei Los Lobos: «Lo abbiamo cercato fino all’inferno»

Il presidente Noboa annuncia l’arresto di Pipo Chavarria, capo dei Los Lobos, catturato in Europa dopo anni di latitanza. Il boss aveva finto la morte e continuava a ordinare omicidi dall’estero.

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«Lo abbiamo cercato fino all’inferno». Con queste parole il presidente Daniel Noboa ha annunciato la cattura di Pipo Chavarria, leader dei Los Lobos, definito «il delinquente più ricercato della regione». L’arresto è avvenuto in Europa grazie a una collaborazione tra Ecuador e polizia spagnola.

La falsa morte e la rete criminale internazionale

Secondo quanto spiegato da Noboa, Chavarria aveva finto la propria morte, cambiato identità e trovato rifugio in Europa, da dove continuava a impartire ordini. Dall’estero dirigeva omicidi in Ecuador e controllava il traffico di droga insieme al cartello messicano Jalisco Nueva Generación.

Un arresto simbolico nel giorno del referendum sulla sicurezza

La cattura arriva nel giorno del referendum promosso da Noboa su temi cruciali della sicurezza nazionale, diventando un segnale politico fortissimo. «Oggi le mafie indietreggiano. Ha vinto l’Ecuador», ha dichiarato il presidente, celebrando un risultato definito come un punto di svolta nella lotta al crimine organizzato.

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Regno Unito, stretta storica sull’asilo: fine del permesso quinquennale e revisione continua dei rifugiati

Il governo Starmer annuncia una stretta senza precedenti sull’asilo: permesso ridotto a 30 mesi, revisione continua e residenza permanente solo dopo 20 anni. Polemiche da destra e sinistra.

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Basta asilo a tempo indeterminato. Il Regno Unito del dopo Brexit cambia paradigma e annuncia una stretta senza precedenti rispetto alla sua storica tradizione di accoglienza. A farlo è il governo laburista di sir Keir Starmer, in piena crisi di consenso e sotto la pressione crescente di forze come Reform UK di Nigel Farage.

Mahmood: «Fine del golden ticket per i richiedenti asilo»

La ministra dell’Interno Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ribadisce alla Bbc la linea dura:

  • permesso di soggiorno ridotto a 30 mesi;

  • revisione periodica obbligatoria;

  • rimpatrio possibile se il Paese d’origine torna “sicuro”;

  • residenza permanente solo dopo 20 anni, quattro volte più del regime attuale.

La normativa vigente garantisce 5 anni di permesso ai rifugiati e accesso quasi automatico alla residenza permanente alla scadenza del quinquennio.

Londra guarda alla Danimarca e punta a frenare gli arrivi via Manica

Il governo Starmer si ispira alla linea durissima di Copenaghen, che ha ridotto le richieste di asilo ai minimi da 40 anni. L’obiettivo è scoraggiare gli arrivi via Manica sulle small boat, aumentati nonostante le promesse: nel 2025 sono già 39.000 le persone sbarcate, più di tutto il 2024.

La Francia attribuisce a Londra parte del problema, sostenendo che le norme britanniche finora troppo permissive abbiano reso difficile il controllo dell’immigrazione illegale.

Critiche da destra e sinistra

Le opposizioni conservatrici e i seguaci di Farage definiscono la stretta “superficiale” e insufficiente.
Dall’altro lato, ong, sinistra del Labour e Verdi denunciano una violazione dei principi di solidarietà e diritti umani.

Mahmood respinge ogni accusa:
«È la più grande revisione della politica d’asilo dei tempi moderni. Non sto accettando gli argomenti dell’estrema destra: è una missione morale».

Starmer cerca ossigeno in un clima politico esplosivo

Il premier laburista tenta così di frenare un’emorragia di consensi data per inarrestabile dai sondaggi, mentre anche dentro il Labour monta il malcontento. La questione migratoria diventa quindi un terreno decisivo per la sopravvivenza politica del governo.

La promessa, però, resta tutta da verificare nella sua efficacia.

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Esteri

Trump elimina i dazi su carne, frutta e caffè: retromarcia per frenare il carovita negli USA

Trump rimuove i dazi su centinaia di prodotti alimentari per placare l’ira degli americani contro il carovita. Dubbi degli esperti: è una mossa politica dettata dal nervosismo della Casa Bianca.

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Donald Trump fa marcia indietro e rimuove i dazi su carne, banane, caffè, avocado, mango, pomodori e decine di altri prodotti agricoli. Una decisione che la Casa Bianca giustifica con i “progressi nelle trattative commerciali” e con il fatto che gli Stati Uniti non producono abbastanza di questi beni per soddisfare la domanda interna.

Una spiegazione che non convince molti esperti, secondo cui la mossa nasconde il timore dell’amministrazione di fronte a prezzi sempre più alti e al crescente malcontento dei consumatori.

Il nervosismo della Casa Bianca e il tema dell’“accessibilità”

Dietro questa retromarcia c’è un’evidente tensione politica. L’inflazione sul carrello della spesa pesa da mesi sui bilanci delle famiglie, mentre Trump — che in pubblico ha liquidato il tema dell’accessibilità come una “truffa dei democratici” — teme una rivolta contro la sua agenda economica.

Il presidente era arrivato alla Casa Bianca promettendo una drastica riduzione dei prezzi e una nuova “età dell’oro”. Finora, però, gli effetti della sua ricetta economica hanno premiato soprattutto i mercati e i più ricchi, senza alleggerire la pressione sui portafogli degli americani.

Il rischio gennaio: l’esplosione dei costi sanitari

La tensione è destinata a crescere. A gennaio potrebbero schizzare i prezzi delle assicurazioni sanitarie per milioni di americani, con la fine dei sussidi dell’Obamacare. Una riforma criticata per anni dai repubblicani, ma per la quale non è mai stata proposta un’alternativa credibile.

Se i sussidi non verranno prorogati, il prezzo politico da pagare alle prossime elezioni potrebbe essere altissimo.

La retromarcia sui dazi rilancia il soprannome “Taco”

La nuova ondata di cancellazioni tariffarie ha riportato in auge il soprannome “Taco” — Trump always chickens out — con cui i critici accusano il presidente di annunciare misure aggressive salvo poi ritirarle sotto pressione.

Dal 2 aprile l’amministrazione è stata costretta a correggere più volte il tiro sui dazi, elemento centrale della sua agenda economica. Trump ha sempre sostenuto che le tariffe servono a rimettere in equilibrio gli scambi e a finanziare parte del taglio delle tasse, il suo big beautiful bill.

La minaccia della Corte Suprema

Sulle politiche tariffarie del presidente incombe ora il giudizio della Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità. I giudici hanno mostrato scetticismo sulla tesi della Casa Bianca, che invoca un’emergenza nazionale per giustificare le tariffe.

Una bocciatura sarebbe devastante: metterebbe in discussione la credibilità dell’amministrazione e potrebbe obbligare Washington a restituire — secondo Trump — fino a 3.000 miliardi di dollari.

Una prospettiva che spiega il clima di crescente agitazione attorno a un presidente che, per la prima volta, vede indebolirsi uno dei pilastri della sua identità politica: essere il “Re delle Tariffe”.

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