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Politica

Manovra, attesa per ultime pagelle. Pesa ingorgo decreti

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La legge di bilancio va avanti al Senato ma il percorso non sembra in discesa. Nemmeno per i tempi, come sbandierato finora da gran parte della maggioranza, convinta che la seconda finanziaria del governo Meloni potesse chiudersi in netto anticipo rispetto alla deadline del 31 dicembre e rispetto al passato. Complici i numerosi decreti che, tra Camera e Senato, potrebbero incrociare e rallentarne la marcia, visto che vanno convertiti rapidamente. In più, da domani, sui contenuti incombono ‘pagelle’ di peso come quella della Banca d’Italia, della Corte dei conti o di Confindustria che si esprimeranno nelle audizioni davanti alle commissioni Bilancio dei due rami del Parlamento. Fino a martedì, quando chiuderanno il cerchio l’Ufficio parlamentare di bilancio (spesso giudice severo di norme e finanziarie) e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Ultimo ma sicuramente il più temuto, il verdetto di Moody’s sulla situazione del debito italiano e la capacità di risanarlo. La valutazione dell’agenzia di rating è attesa venerdì sera. Potrebbe confermare il giudizio delle altre agenzie, lasciando il quadro difficile ma stabile. Ma l’Italia si presenta alla prova con un outlook negativo e l’attuale valutazione Baa3 è appena sopra la soglia del livello per investire. Se scendesse, sarebbe al cosiddetto livello ‘spazzatura’. Dunque, un percorso meno lineare del previsto per una legge di bilancio prudente nelle misure ma con la ‘mission’ di evitare che impegni rilevanti, come quello sulle pensioni, possano incidere troppo sui conti. Da qui il patto stretto tra i gruppi di maggioranza per una finanziaria a zero emendamenti e quindi blindata. Eppure proprio sulle pensioni – specialmente su quelle di oltre 700 mila lavoratori pubblici, che verrebbero ridotte – il governo non esclude correttivi. Anche per placare le rivendicazioni dei medici, tra le categorie più in vista dopo aver minacciato scioperi e abbandoni di massa del servizio sanitario nazionale.

Così tra le possibili soluzioni – come annunciato dalla ministra del Lavoro, Calderone – ci sarebbe la revisione delle aliquote solo per chi sceglie di andare in pensione anticipatamente (e non anche per le pensioni di vecchiaia) e il rinvio dell’entrata in vigore della norma. In ogni caso, al Senato, dopo il ciclo delle audizioni, si farà il punto fissando la road map della Manovra che significa indicare il termine per presentare emendamenti – almeno da parte delle opposizioni – e successivamente l’avvio della discussione e delle votazioni. Un lavoro che impegnerà la commissione Bilancio e che si incrocerà con l’esame dei decreti in scadenza. Tra i più urgenti (la deadline è il 28 novembre) ci sono il decreto Proroghe e il cosiddetto Bollette.

Sul primo, l’appuntamento è martedì quando la commissione Finanze dovrebbe votare gli ultimi emendamenti (una ventina circa) e portarlo in aula martedì pomeriggio. Poi il passaggio alla Camera. Da lì arriverà il Proroghe (la discussione parte domani a Montecitorio) e chissà che il governo non ricorra al voto di fiducia per dare uno sprint, specie se subissato di modiche dalla minoranza.

Altro impegno da chiudere è il decreto Anticipi, anche se c’è tempo fino al 17 dicembre. In realtà sul provvedimento si erano concentrate le speranze del centrodestra di poter proporre – almeno lì – richieste e modifiche (come il bonus psicologo e la mini proroga del superbonus targate entrambe Forza Italia). Speranze stoppate il 9 novembre dalla decisione della maggioranza di ‘stralciare’ gli emendamenti onerosi.

Sul tavolo resterà poco e tra domani e martedì si saprà quali sopravviveranno. Da approvare in fretta ci sono poi le leggi su immigrazione, sull’emergenza sisma nei Campi Flegrei, la riforma della giustizia penale e la legge annuale sulla concorrenza, che è collegata agli obiettivi previsti nel Pnrr insieme al disegno di legge sulle guide turistiche. E nel calendario potrebbe entrare perfino la riforma dell’autonomia differenziata, trainata finora dal ministro Calderoli e al rush finale nella commissione Affari costituzionali del Senato.

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Politica

Umberto Ranieri sul Pd campano: “Siamo al limite, Schlein intervenga personalmente”

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Umberto Ranieri, ex riferimento nazionale della sinistra riformista, oggi professore universitario e autore di saggi politici, pur vivendo a Roma è ancora iscritto alla storica sezione Pd di San Ferdinando a Napoli. Intervistato dal Corriere della Sera, non nasconde il suo sgomento di fronte alla situazione attuale del partito in Campania:

“Le ultime notizie sulle inchieste che coinvolgono dirigenti importanti non possono che provocare dolore e sgomento in chi, come me, è ancora legato alla mia città e al mio partito. È tutto così assurdo”.

Napoli e la Regione: due facce di una stessa crisi

Ranieri sottolinea come, nonostante le difficoltà, Napoli possa contare su una giunta Manfredi che sta governando bene e su Vincenzo De Luca, un politico con mille difetti ma riconosciuto come un amministratore capace:

“A Napoli c’è la giunta Manfredi che sta ben governando e alla Regione c’è De Luca, che ha le sue ruvidezze, ma che più volte si è dimostrato un amministratore efficiente”.

Tuttavia, il Pd si è diviso proprio sulla figura del governatore campano, arrivando a definirlo un “cacicco”. Un errore, secondo Ranieri:

“Siamo finiti nel deserto proprio per questi eccessi. Chiamarlo ‘cacicco’ è stato un errore. Ma anche De Luca ha le sue colpe”.

Il sistema De Luca e il futuro del Pd in Campania

Quando gli viene chiesto se il problema sia il “sistema di potere” costruito dal governatore, Ranieri risponde con prudenza:

“Se ci sono state degenerazioni lo accerterà la magistratura. Di sicuro, c’è da recuperare rigore e sobrietà nei comportamenti pubblici”.

Ma l’ex deputato non risparmia critiche a De Luca nemmeno sul piano politico, citando il titolo provocatorio del suo libro Nonostante il Pd:

“Come si può scrivere un libro con un titolo del genere e poi presentarlo in tutta Italia? Il Pd non può fare a meno delle capacità e del consenso di De Luca, ma allo stesso tempo De Luca non può credere davvero di poter fare a meno di un grande partito come il Pd”.

L’appello a Elly Schlein: “Non bastano più i commissari”

Secondo Ranieri, la segretaria del Pd Elly Schlein deve intervenire direttamente nella questione campana:

“Non bastano più i commissari. Deve incontrare De Luca. Devono vedersi senza accompagnatrici e accompagnatori e parlarsi con reciproco rispetto. In certi momenti il rispetto è tutto”.

Un appello chiaro, che invita la leader dem a prendere in mano la situazione per evitare ulteriori spaccature interne e garantire un futuro stabile al partito in Campania

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Politica

Meloni vs Salvini: i retroscena delle chat di Fratelli d’Italia

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Non si sono mai davvero amati, anzi. Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sono sfidati, scontrati e attaccati reciprocamente, sia pubblicamente che in privato. È quanto emerge dal libro “Fratelli di chat” del giornalista Giacomo Salvini, che raccoglie una serie di messaggi scambiati in una chat interna a Fratelli d’Italia su WhatsApp, dove la stessa Meloni interveniva regolarmente per dare direttive, confrontarsi e, talvolta, rimproverare i suoi.

Le chat contro Salvini: insulti e strategie politiche

Dai messaggi emerge un quadro impietoso della precedente legislatura, caratterizzata da una guerra interna al centrodestra. Salvini veniva descritto con epiteti come “bimbominkia”, “cialtrone”, “ridicolo”, “incapace”. Ignazio La Russa lo accusava di “rendere se stesso ridicolo senza bisogno di aiuto” e il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari rincarava la dose con la frase: “Ministro Bimbominkia colpisce ancora”.

Gli attacchi non si limitavano alle offese personali, ma toccavano anche la gestione del ministero dell’Interno da parte di Salvini, i suoi rapporti con la Russia e la sua strategia politica. Meloni scriveva: “Il messaggio che va fatto passare è che la Lega è un partito che non mantiene la parola data. Hai voglia a fare il partito di destra se non hai onore”. Tuttavia, avvertiva anche i suoi: “Dobbiamo andarci piano sui rapporti con la Russia, potrebbe essere un problema serio per loro”.

Dal governo Conte a Draghi: il percorso di FdI verso la leadership

Il libro racconta anche la scalata di Fratelli d’Italia all’interno del centrodestra, passando dalla fase in cui Salvini era il dominatore della scena politica fino al sorpasso di Meloni. Durante il governo Conte e successivamente con Draghi, le critiche erano feroci. Berlusconi veniva considerato un leader in declino e l’elezione di Sergio Mattarella come presidente della Repubblica veniva vista come un altro tassello della strategia di distacco dalla vecchia politica.

Le tensioni attuali e la reazione del centrodestra

Da FdI precisano che le chat risalgono alla precedente legislatura e che, da quando il centrodestra è tornato unito al governo, Meloni ha abbandonato la chat interna. La premier ha infatti commentato recentemente solo una questione legata alle ferrovie con una battuta su Salvini: “Ah sì, il blocco della linea. Ma sono molto soddisfatta invece. Pensavo saremmo tornati al dorso di mulo e invece ci sono ancora i treni dopo due anni…”.

La pubblicazione di queste chat ha scatenato reazioni forti. Dai vertici della Lega filtra irritazione: “Non buttiamo benzina sul fuoco, ma ci sono molte cose che ci fanno pensare”, affermano fonti interne. Nicola Procaccini, co-presidente dei Conservatori europei, ha definito “illegale” la pubblicazione delle chat, sottolineando che anche la Cassazione lo vieta. Alberto Barachini di Forza Italia ha parlato di “interrogativi etici” che questa vicenda pone.

L’opposizione all’attacco: “Governo dell’ipocrisia”

Le opposizioni non hanno perso occasione per cavalcare il caso. Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi-Sinistra ha attaccato duramente il governo definendolo “l’ennesima dimostrazione dell’ipocrisia della destra”. Matteo Renzi di Italia Viva ha rincarato la dose: “L’Italia oggi è governata dai bimbominkia e da persone senza onore per loro stessa ammissione. Chi si dimette ora? Salvini o Fazzolari? O meglio, entrambi?”.

Una ferita che potrebbe riaprirsi

La chat incriminata è stata chiusa nell’ottobre 2024 a seguito di alcune fughe di notizie, con Meloni che minacciò di dimettersi e avviò una caccia alla “talpa infame”. Il caso, sebbene apparentemente chiuso, potrebbe riaprire vecchie ferite e alimentare nuove tensioni all’interno della maggioranza. Se la pace tra Meloni e Salvini sembra reggere per ora, la pubblicazione di questi messaggi lascia trasparire un passato di scontri difficilmente dimenticabili.

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Politica

L’Italia disunita e la sua eterna frammentazione politica che mina l’interesse nazionale

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L’Italia, sin dalla sua unificazione, ha vissuto una frammentazione politica interna che ha spesso reso difficile la costruzione di una politica coesa ed efficace. Questa debolezza strutturale si è aggravata nel corso del tempo, trasformandosi in un vero e proprio “teatrino politico”, in cui l’obiettivo primario dei partiti non sembra essere il benessere della Nazione, ma piuttosto la delegittimazione dell’avversario politico di turno.

Uno degli effetti più evidenti di questa fazione esasperata è l’incapacità dell’Italia di mantenere una posizione solida e coerente sulla scena internazionale. Ogni governo, indipendentemente dal suo colore politico, si trova ostacolato da un’opposizione che, invece di contribuire al consolidamento dell’interesse nazionale, cerca di sfruttare qualunque situazione per minare la stabilità dell’esecutivo in carica.

Un esempio lampante di questa cronica incapacità di fare sistema riguarda la politica estera. A parole, tutti i governi italiani si dichiarano atlantisti, occidentalisti e sostenitori della cooperazione internazionale, ma nei fatti questa coerenza viene spesso sacrificata sull’altare della lotta politica interna.

  • Caso Ocalan (1998-1999): durante il governo di centrosinistra di Massimo D’Alema, la permanenza del leader curdo in Italia provocò uno scontro diplomatico con la Turchia e creò un duro confronto interno tra le forze politiche, esponendo il Paese a tensioni internazionali.
  • Caso Almasri (2024): il governo di centrodestra ha espulso un cittadino libico senza tener conto del rischio di gravi ripercussioni diplomatiche per un mandato di arresto della CPI. L’opposizione, invece di lavorare per una soluzione condivisa, ha colto l’occasione per attaccare il governo, aggravando le tensioni con il mondo arabo e delegittimando l’Italia sulla scena internazionale.

Questi episodi dimostrano come la politica estera italiana sia ostaggio di interessi di parte, incapace di trovare una strategia univoca che vada oltre il mandato di un singolo governo.

Uno dei dossier più critici per l’Italia è senza dubbio quello dell’immigrazione. Un fenomeno complesso, che necessita di soluzioni strutturali e condivise, ma che invece è diventato il terreno di scontro per eccellenza.

  • Quando governa il centrosinistra, il centrodestra accusa l’esecutivo di essere troppo permissivo e incapace di gestire i flussi migratori.
  • Quando governa il centrodestra, il centrosinistra accusa il governo di essere disumano e di violare i diritti fondamentali dei migranti.

Nel frattempo, l’Italia resta senza una politica migratoria efficace, priva di accordi stabili con i paesi di origine e di transito, esposta alla pressione dell’Unione Europea e incapace di tutelare i propri confini in modo equilibrato e sostenibile.

Oltre alla faziosità politica e all’assenza di una linea unitaria, l’Italia soffre di una cronica instabilità di governo. Negli ultimi 30 anni, il nostro Paese ha visto un’alternanza così rapida tra governi di diverso orientamento da rendere impossibile qualunque strategia di lungo periodo.

  • I governi italiani durano in media 1-2 anni, mentre in altri paesi europei come Germania o Francia, gli esecutivi hanno un ciclo di vita molto più lungo, permettendo loro di attuare riforme di ampio respiro.
  • Le continue crisi di governo impediscono all’Italia di costruire relazioni internazionali solide, poiché ogni nuovo esecutivo spesso ribalta le decisioni del precedente, lasciando gli alleati internazionali nel dubbio su quale sia la reale posizione del Paese.

Questa incapacità di fare sistema ha ripercussioni pesanti sull’immagine e sulla credibilità dell’Italia a livello internazionale.

  • Affidabilità compromessa: gli alleati della NATO e dell’UE percepiscono l’Italia come un partner inaffidabile, incline a cambi repentini di posizione.
  • Marginalizzazione nelle decisioni globali: l’Italia raramente riesce a incidere sui grandi tavoli della geopolitica internazionale, rimanendo spesso relegata a un ruolo di secondo piano.
  • Danni economici: la mancanza di stabilità politica e diplomatica disincentiva gli investimenti esteri e ostacola le grandi strategie di sviluppo economico.

L’Italia non può permettersi di essere un Paese perennemente bloccato dalle divisioni interne, soprattutto in un mondo sempre più complesso e competitivo. È necessaria una riforma della cultura politica, basata su alcuni principi fondamentali:

  1. Separare il dibattito interno dalla politica estera: le questioni di rilevanza internazionale non possono essere utilizzate come arma politica per screditare il governo in carica.
  2. Creare un consenso bipartisan su dossier strategici: immigrazione, difesa, politica industriale e rapporti con le grandi potenze devono essere affrontati con una visione condivisa, indipendentemente dal colore politico del governo.
  3. Stabilizzare il sistema istituzionale: una riforma che garantisca maggiore stabilità ai governi permetterebbe all’Italia di avere un ruolo più influente nello scenario internazionale.
  4. Superare il benaltrismo: smettere di delegittimare le azioni di governo senza proporre alternative concrete e realizzabili.

Se l’Italia vuole essere un protagonista credibile sulla scena internazionale, deve uscire dalla logica della lotta continua tra fazioni e costruire una strategia unitaria che metta l’interesse nazionale al primo posto.

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