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Politica

Manovra: da bollette al cuneo, conto vicino a 50 miliardi

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Dall’emergenza energia al nodo delle pensioni, dal fisco alle spese indifferibili. Tra misure da rinnovare, scadenze da rispettare e ‘desiderata’ politici gia’ espressi in campagna elettorale, la ‘lista della spesa’ in vista della prossima manovra, e prima ancora forse di un nuovo decreto aiuti per coprire il mese di dicembre (cui potrebbero contribuire gli incassi dagli extraprofitti, con il saldo da versare entro il 15 dicembre), e’ gia’ lunga. E porta in dote un costo notevole, che arriverebbe a sfiorare i 50 miliardi. Una legge di bilancio che sara’ il nuovo governo di centrodestra, trainato da Fdi, a mettere nero su bianco. Tenendo conto che, con la previsione di un Pil in forte frenata l’anno prossimo, lo spazio di manovra in deficit sara’ minimo. A certificare il quadro della crescita sara’ la Nadef, cui sta lavorando il governo Draghi e che potrebbe arrivare in cdm giovedi’: il documento, come piu’ volte ripetuto dal ministro dell’economia Daniele Franco, conterra’ solo il quadro ‘tendenziale’ con gli obiettivi gia’ fissati dal Def.

ENERGIA. Il caro-prezzi richiede nuovi interventi di sostegno a famiglie e imprese: se si dovessero replicare per il primo trimestre del 2023 gli ultimi interventi introdotti dall’esecutivo uscente, potrebbero servire complessivamente circa 20 miliardi: dall’azzeramento degli oneri di sistema delle bollette, che costa circa 3 miliardi, all’Iva ridotta al 5% sul gas (500 milioni), dal credito di imposta rafforzato per le aziende (circa 4,7 miliardi al mese), al bonus sociale rafforzato, fino allo sconto sulla benzina.

FISCO. Il governo Draghi ha portato il taglio del cuneo fiscale a 2 punti percentuali: una conferma di questa misura, che costa complessivamente circa 4,5 miliardi per un anno, sarebbe indispensabile per non appesantire le buste paga dei lavoratori. Un tema questo su cui Giorgia Meloni ha idee ancora piu’ ambiziose: la leader di Fdi ha infatti gia’ indicato l’obiettivo nel corso della legislatura di tagliare di 5 punti il cuneo fiscale per i redditi piu’ bassi, fino a 35mila euro, per un costo di 16 miliardi. Tutto questo al netto della flat tax, la tassa su cui le proposte delle varie anime del centrodestra mostrano ancora dei distinguo.

PENSIONI. A gennaio 2023 scatta la rivalutazione delle pensioni, il cui costo dipende dall’indice Ipca cui verranno agganciati gli assegni. L’anticipo di tre mesi scattato a ottobre, di due punti percentuali, e’ costato circa 1,5 miliardi: se lo si mantenesse cosi’ servirebbero dunque 6 miliardi per un anno, ma con la corsa inarrestabile dell’inflazione (ad agosto l’indice acquisito per il 2022 era gia’ al 7%), e’ verosimile che possano servire anche 8-10 miliardi. C’e’ poi la necessita’ di trovare un’alternativa per evitare il ritorno dal 2023 della legge Fornero. Il leader della Lega Matteo Salvini spinge per ‘quota 41′: secondo l’Inps, introdurre la possibilita’ di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’eta’ costerebbe 18 miliardi in tre anni, ovvero 6 miliardi l’anno.

CONTRATTI P.A. Tra le altre voci vanno infine considerati i rinnovi contrattuali nella P.a., per i quali servirebbero 5 miliardi, oltre alle spese indifferibili che valgono circa 2-3 miliardi.

INCOGNITA REDDITO. E’ infine tutto da scrivere il capitolo sul reddito di cittadinanza, misura bandiera del M5s cui Conte ha gia’ detto di non voler rinunciare, ma che nel centrodestra molti vogliono modificare (Meloni ha detto chiaramente che va aiutato solo chi non puo’ lavorare). La misura, che e’ gia’ finanziata, sta costando in media 7,5-8 miliardi l’anno.

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Rai e Report: polemiche e tensioni dopo la trasmissione della telefonata di Sangiuliano

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La puntata di Report, andata in onda domenica scorsa, ha scatenato una bufera ai vertici della Rai. Al centro della polemica, la decisione di trasmettere l’audio di una conversazione privata tra l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini (nella foto Imagoeconomica in evidenza), registrata di nascosto da Maria Rosaria Boccia. Una scelta editoriale che ha portato a critiche severe nei confronti del conduttore Sigfrido Ranucci e del direttore dell’Approfondimento Paolo Corsini, responsabile del controllo editoriale del programma.

Secondo fonti interne, l’amministratore delegato della Rai, Giampaolo Rossi, avrebbe espresso una «forte irritazione» per quanto accaduto, definendo l’episodio una possibile violazione del mandato del servizio pubblico.

Le accuse ai vertici editoriali

Paolo Corsini, che supervisiona i contenuti di trasmissioni come Report, è finito sotto accusa per non aver sollevato dubbi sull’opportunità di trasmettere l’audio integrale della telefonata. Secondo i vertici Rai, Corsini avrebbe dovuto valutare se la conversazione avesse una reale valenza pubblica tale da giustificarne la diffusione.

La notizia della messa in onda sarebbe arrivata ai piani alti di viale Mazzini solo poche ore prima della trasmissione, senza lasciare il tempo di intervenire per modificarne il contenuto o trasformare la registrazione in una narrazione sintetica.

Questo episodio, sommato alle critiche già mosse in passato per altre puntate di Report, potrebbe compromettere la riconferma di Corsini nella prossima tornata di nomine Rai.

Danno d’immagine e ammonimenti

La Rai ritiene che la trasmissione della registrazione abbia causato un danno d’immagine al servizio pubblico, esponendo Federica Corsini, giornalista Rai e moglie di Sangiuliano, a una gogna mediatica. Questo non è il primo episodio controverso legato a Report: sull’inchiesta sulla Liguria, mandata in onda il giorno prima delle elezioni regionali, pende già un ammonimento dell’Autorità per le Comunicazioni.

Secondo alcune voci ai piani alti, il metodo Report, accusato di «inseguire lo scoop per fare ascolti», non sarebbe sempre in linea con gli obblighi del servizio pubblico, né efficace in termini di share. L’ultima puntata, infatti, ha registrato l’8,5% di ascolti, in calo rispetto al 14% della puntata precedente sul caso Boccia.

Un futuro incerto per Report

Le tensioni tra la Rai e il team di Report riflettono un dibattito più ampio sul ruolo del servizio pubblico e sui limiti dell’informazione giornalistica. Mentre la trasparenza e la denuncia restano valori fondamentali, episodi come questo sollevano interrogativi su etica, privacy e responsabilità editoriale.

Il futuro di Report potrebbe dipendere dalla capacità di bilanciare la ricerca della verità con il rispetto delle regole del servizio pubblico, in un contesto sempre più complesso e competitivo.

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Scudo erariale resta, allarme dei giudici contabili

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Resta alta la tensione fra giudici contabili e maggioranza di governo. L’ultimo fronte è aperto dal decreto legge Milleproroghe, che allunga di quattro mesi la durata dello scudo erariale, che solleva gli amministratori pubblici da responsabilità contabili in caso di colpa grave, limitandole al danno “dolosamente voluto”. La novità suscita “fortissime perplessità” nell’Associazione dei magistrati della Corte dei conti. La critica si somma a quelle sulla riforma sulla Corte dei conti che in Parlamento procede a rilento, e su cui è acceso anche il faro del Quirinale, come ammettono fonti di centrodestra. Doveva approdare in Aula alla Camera in questi giorni, poi a metà dicembre e ora ha come orizzonte gennaio.

In attesa di uno o più emendamenti, che potrebbero riscrivere alcune parti cruciali della proposta di legge targata Tommaso Foti e quindi FdI. Le modifiche in fase di definizione dovrebbero riguardare soprattutto il capitolo organizzativo, ossia l’accorpamento delle sezioni territoriali e la centralizzazione a Roma delle funzioni requirenti delle Procure. Due aspetti duramente contestati dall’Associazione dei magistrati contabili e dalle opposizioni, richiamando a più riprese il recente monito di Sergio Mattarella, che ha rimarcato come la Corte sia “garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche”.

Sono in arrivo uno o più emendamenti, che dovrebbero essere presentati nelle prossime ore alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia dai relatori (Sara Kelany di FdI e Pietro Pittalis di FI): ci si lavora, spiegano in ambienti parlamentari, in asse con Palazzo Chigi, e non mancano interlocuzioni con il Colle. Da mesi i giudici contabili sostengono che qualsiasi riforma della responsabilità amministrativa dovrebbe essere accompagnata dall’abolizione dello scudo erariale, adottato sulla scia dell’emergenza Covid, prorogato più volte per rimediare alla ‘paura della firma’ e ora di nuovo fino al 30 aprile. “Si rischia un vero e proprio scudo tombale – nota la presidente dell’Associazione magistrati della Corte dei conti, Paola Briguori -, in violazione del dettato della Corte costituzionale.

Cinque anni di mancato risarcimento dei danni erariali per condotte attive gravemente colpose sono davvero troppi danni non risarciti che resteranno per sempre a carico dei contribuenti”. Dalla maggioranza la risposta arriva da FI. “C’è una circostanza che dovrebbe interrogare l’associazione – afferma Pittalis -: dal 2019 al 2024 solo il 9% dell’ammontare delle condanne della Corte dei Conti è stato recuperato. È evidente che c’è qualcosa che non va nel sistema e di questo ci stiamo occupando. Vogliamo valorizzare il lavoro dei giudici contabili e rendere effettive le loro sentenze”. Alla critica dei magistrati contabili si unisce il coro delle opposizioni. Per i dem Debora Serracchiani e Federico Gianassi, dietro la proroga dello scudo erariale c’è “l’ossessione della maggioranza e del governo di approvare in tempi stretti la riforma che stravolge il ruolo e le funzioni” della Corte.

“La destra sta facendo una guerra alla Corte dei conti, poi proroga il cosiddetto ‘scudo erariale’ – attacca Marco Grimaldi (Avs) -: è una vera vergogna. Vanno aggiunti la cancellazione del reato di abuso d’ufficio e lo scudo penale per gli amministratori. Questi tasselli nel loro insieme garantiranno ai colletti bianchi totale impunità”. Per Alfonso Colucci (M5s) la misura, “sbagliata e pericolosa di per sé”, diventa “esplosiva in combinato disposto con l’abolizione del controllo concomitante della Corte dei conti sul Pnrr e con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio”.

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Politico incorona Meloni, “è la più potente d’Europa”

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“Chi chiami se vuoi parlare con l’Europa? Se sei Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e consigliere chiave del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, il numero da chiamare è quello di Giorgia Meloni”. La testata internazionale Politico ha incoronato la premier italiana come la persona più potente d’Europa per il 2025, definendola nella sua classifica d’influenza l’interprete perfetta dello zeitgeist, lo spirito del tempo, “sempre più radicale che fiorisce su entrambe le sponde dell’Atlantico”. “In meno di un decennio, la leader di destra di Fratelli d’Italia è passata dall’essere liquidata come una pazza ultranazionalista all’essere eletta prima ministra d’Italia, affermandosi come una figura con cui Bruxelles, e ora Washington, possono fare affari”, evidenzia la testata considerata una voce autorevole nel panorama politico globale in una lunga descrizione che ripercorre l’ascesa di Meloni e le principali tappe dei suoi due anni anni di governo, definito come “uno dei più stabili mai esistiti nell’Italia del dopoguerra”.

Da quando è arrivata a Palazzo Chigi, osserva Politico, Meloni “ha mantenuto al minimo la sua retorica anti-Ue ed evitato scontri con Bruxelles”, spiazzando anche i suoi detrattori ed “emergendo come una delle sostenitrici più convinte dell’Ucraina”. L’affermazione della leader di Fratelli d’Italia è coincisa con la resa dei conti nel Vecchio Continente sulla crisi migratoria. Meloni ha saputo giocarsi le sue carte: attraverso una “collaborazione con la presidente Ursula von der Leyen” e la firma di “accordi storici con Tunisia, Mauritania ed Egitto”. Oltre al modello Albania da cui, si evidenzia, non si sono discostati nemmeno i leader di centrosinistra come il tedesco Olaf Scholz e il britannico Keir Starmer. Sfruttando il vuoto di potere lasciato da Parigi e Berlino, la premier ha ora spazio per “portare avanti le sue politiche”.

E “la rielezione di Trump”, nel giudizio della testata di proprietà del gruppo editoriale Axel Springer, potrà darle “ancora più slancio”. Anche grazie al sostegno di Elon Musk, che la acclama come paladina del contrasto all’immigrazione illegale. Se finora Meloni ha usato la sua influenza principalmente in Italia, la domanda – evidenzia infine Politico – è se adesso “inizierà a esibire i muscoli a livello internazionale e se, con un nuovo vento che soffia attraverso l’Atlantico, continuerà a giocare bene con istituzioni come l’Ue e la Nato oppure tornerà alle sue radici di destra e sfiderà lo status quo”.

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